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di Jean Georges Almendras
Traffico internazionale di droga con il marchio della ‘Ndrangheta italiana in Uruguay?

In cronaca nera, di cui mi sono occupato per 30 anni, sui quotidiani e in televisione, riferendoci alle azioni della Legge nei confronti di chi aveva commesso reati contro l'integrità fisica delle persone, omicidi, rapimenti a scopo di estorsione, agressioni contro cittadini, commercianti o istituti bancari o finanziari con esito di morte e di narcotraffico, solevamo dire, ricorrendo ai più duri appellativi, che tutto il peso della Legge sarebbe ricaduto sui colpevoli. Oggi i codici, i tempi, i valori ed i termini sono cambiati e le attività dei trafficanti di droga internazionali in Uruguay sembrano essere immuni, non solo al peso della Legge, ma anche ai suoi controlli. Sarà che la Legge e lo Stato, in alcuni dei suoi frangenti fa già parte del sistema criminale o che il sistema criminale fa già parte dello Stato? Forse l'onestà del funzionario pubblico uruguaiano non è sufficientemente presente e di conseguenza ha perso terreno all'interno dell'apparato statale di controllo e di repressione del narcotraffico, cedendo il terreno alla criminalità?
Potrebbe essere che siamo già soggiogati dal flagello mafioso del narcotraffico con marchio straniero? Sotto l'insegna della ´Ndrangheta, una delle più potenti organizzazioni mafiose italiane dedita al narcotraffico internazionale? Tenendo in considerazione questi interrogativi non possiamo non vedere che gli episodi di cronaca della polizia, sono strettamente legati al narcotraffico internazionale. Un impatto violento perché non parliamo oramai più di narcos che trafficano 50 chili di cocaina, spacciata sul mercato locale da una frammentata rete di narcos divisi in famiglie che si disputano le zone dei quartieri di Montevideo, con sanguinari regolamenti di conti generati da sicari che uccidono per 5.000 o 10.000 pesos o riempiono di droga le carceri, regolando le vendite dentro e fuori direttamente dalle loro celle, ma parliamo di narcos di alto potere economico, che fanno traffici a livello internazionale, di portata monetaria inimmaginabile e di reti di corruzione impensabili, dentro e fuori dal territorio uruguaiano.
Un intero apparato criminale installato dentro i limiti territoriali del nostro paese, ingraziandosi le istituzioni di governo dedite al controllo e alla repressione del narcotraffico e forse alcuni uomini di governo che in varie occasioni si lanciano nell'arena mediatica come i paladini della lotta contro il traffico internazionale di stupefacenti che opera nel mondo, e che poi, cercano di limitare le riforme e di minimizzare il problema. Tanto è che che negli ultimi dieci anni, per delimitare un periodo, che non è necessariamente esatto, mentre le dissertazioni contro il traffico locale ed internazionale si sono fatti sentire su quotidiani, radio e televisione, sempre in termini cauti per bocca di capi della Polizia Nazionale, di Ministri dell'Interno, di Vice Ministri o di operatori delle dogane, i tentacoli del narcotraffico di portata internazionale e con la presenza di operatori internazionali, come ad esempio dall'Italia, sebbene siano presenti anche cartelli messicani e colombiani, si sono stabiliti e consolidati di nascosto in Uruguay a passi da gigante.
Oggi, questo panorama feroce e scandaloso è così evidente che alle file del governo uscente, risulta impossibile nasconderlo, quindi non c'è stata altra scelta che ammettere la gravità della situazione, alcuni strappandosi le vesti, altri con facce sorprese ed espressioni di stupore, cercando affannosamente di mettersi nella migliore posizione, perchè è indubbio che se ci è arrivati a questo punto significa che c'è stata negligenza, che ci sono stati funzionari chehanno guardato da un'altra parte o che si sono cuciti la bocca, permettendo che il cancro della mafia si impossessasse dell'Uruguay, arrivando dai quattro punti cardinali.
Tonnellate di cocaina sono entrate in Uruguay, hanno sostato in Uruguay e sono partite dall'Uruguay verso l'Europa, per mano di elementi di organizzazioni criminali di altri paesi che si sono installate a diversi livelli nella nostra società, per preparare il terreno, la logistica, i contatti e tutto ciò che è utile per il commercio che oggi rende di più al mondo, infatti stiamo parlando di cifre ingenti in dollari ed in euro.
La gravità del problema esplose senza mezze misure alcuni anni fa quando la società uruguaiana ha ricevuto attraverso i media le notizie delle catture di personaggi delle mafie del narcotraffico mondiale: uno del cartello del Messico, I Cuinis, Gerardo González Valencia, stabilitosi in Uruguay già da tempo, che non crediamo sia venuto a vendere libri o caramelle; e Rocco Morabito, trasferitosi con la sua famiglia, membro dell'organizzazione italiana di tipo mafioso denominata `Ndrangheta, che non crediamo sia venuto per vendere cianfrusaglie per strada o per aprire una gelateria. Entrambi i personaggi, con una esemplare vita sociale, si presentavano in società come ricchi uomini d'affari e cultori della legalità.
Alti pezzi grossi delle mafie che dominano il mondo hanno reso l'Uruguay una delle terre più fertili per le loro attività, sviluppando da noi un intenso traffico di droga. Solo ora, nello scorso anno elettorale, sono emersi casi di traffico internazionale di stupefacenti. Casi scandalosi che sono indicatori ineludibili e molto chiari che la marea criminale ha raggiunto la sabbia della spiaggia, spazzando via tutto, annullando soprattutto la democrazia e lo Stato di diritto.
Uno dei leader dell'opposizione che era ed è un severo critico del Fronte Ampio, al punto di averlo soprannominato "Frode Ampia", e che recentemente è stato candidato alla presidenza con un partito ambientalista ed animalista che non ebbe eco alcuno nelle ultime elezioni, è il personaggio mediatico, avvocato penalista, Gustavo Sarchi. Pochi giorni fa Sarchi ha dichiarato pubblicamente, in un video caricato sul suo account facebook, ciò che dati gli ultimi avvenimenti in realtà è evidente. Le affermazioni di Sarchi hanno uno stile e un profilo inconfondibili, tuttavia la sua visione e opinione non risultano inverosimili.
"Guarda caso in queste ultime ore, il senatore Javier García, futuro ministro della Difesa, che fu anche presidente della Commissione per la Difesa del parlamento, fa sapere che le nostre frontiere in realtà non sono porose, come si diceva da parte della stampa e dei governanti, ma afferma che tutta la nostra frontiera è un enorme squarcio, vale dire, è un accesso senza nessun tipo di controllo. Questo è molto grave, con implicazioni molto negative per la società, ma soprattutto per le generazioni future, per i nostri figli. Per prima cosa dobbiamo dire che c'è un presidente della Repubblica che è assolutamente un inetto nell'adempimento dei compiti essenziali imposti dalla Costituzione della Repubblica. Lo stiamo dicendo da moltissimo tempo, perchè se la presidenza della Repubblica non ammette che stiamo vivendo in un narco-stato occupato dai cartelli che usano l'Uruguay come polo logistico per l'esportazione di cocaina, non possiamo ipotizzare inettitudine, ma abbiamo tutto il diritto del mondo di pensare che c'è complicità da parte del governo, della "frode ampia", nel convertire l'Uruguay in un polo strategico del narcotraffico latinoamericano"
"È molto grave che apprendiamo ora, da un funzionario pubblico che faceva parte della Commissione di Difesa e che sarà un futuro ministro, che per quindici anni il governo mafioso della "frode ampia", ha reso possibile l'installazione dei cartelli della droga in Uruguay per trasformarlo in un importante narco-stato della struttura di distribuzione della droga latinoamericana verso i paesi del primo mondo. La classe politica sembra anestetizzata, sembra accettare questo tipo di situazioni, cosa che in un altro paese, con un'altra coscienza civica, con un altro grado di istruzione civica, sarebbe catastrofico. Perché non è solo un comportamento negligente, insisto ancora a dire che: a questo punto abbiamo tutti gli elementi per sospettare che è un comportamento intenzionale e premeditato, che ci fu l'intenzione, da parte di questo governo, di facilitare l'insediamento dei cartelli nel paese."
"Qui qualcuno deve reagire, qualcuno deve dire ai politici, ai senatori, ai deputati e ai governanti che ci hanno consegnato al narcotraffico e che non hanno adempiuto alle loro funzioni, al governo che la sua condotta è indice di attività criminale e alla falsa opposizione che è stata inetta e negligente. È assolutamente dimostrato che quindici anni di governo, di quello che ora chiamerò con il suo vero nome: questo banda di narcos della frode ampia, ha reso il territorio nazionale un'enclave dei cartelli della droga, un polo logistico dei cartelli della droga per distribuire la droga dell'America latina verso i paesi del primo mondo. Ciò è molto grave; io vedo che né la popolazione, né la classe politica, né i mezzi di comunicazione, reagiscono con la fermezza, la profondità e la radicalità che merita la situazione che il futuro ministro della Difesa ha appena rappresentato. Siamo esposti; i governanti e la falsa opposizione ci hanno lasciato assolutamente indifesi e vulnerabili di fronte alla criminalità organizzata dei cartelli della droga."
Questo è solo una parte dell'esteso intervento del penalista Gustavo Sarchi che riassume senza mezzi termini la particolarità delle circostanze di responsabilità politica e governativa che circonda l'attuale panorama del narcotraffico in Uruguay.
Questo sta succedendo con incredibile naturalezza, non solo perché l'Uruguay è stato scelto come via di uscita per la cocaina, ma perché il commercio gestito dalle grandi organizzazioni mafiose della coca, come per esempio l'italiana `Ndrangheta, è cresciuto e si è potenziato nel mercato europeo generando guadagni incommensurabili, con l'aggravante, ovviamente per noi, che questa organizzazione ha incluso l'Uruguay nel suo scenario operativo, un'area che si estende anche all'Argentina e al Brasile.
Potremo collocare la presenza della mafia italiana sul territorio orientale dal momento stesso in cui Rocco Morabito, nato il 13 ottobre di 1966, personaggio della `Ndrangheta, la mafia calabrese, nel 1994, allontanatosi dalla sua polverosa terra natia, per fuggire dalle autorità italiane, sbarcò in Brasile e dopo arrivò in Uruguay, dove con un'identità falsa, Francisco Capeletto, dall'anno 2002 visse in un lussuoso quartiere del dipartimento di Maldonado, vicino a Punta del Este. Con sua moglie e una figlia, Rocco Morabito, conosciuto in Italia come "Il Re della cocaina di Milano", si integrò alla routine del luogo dove viveva sotto la falsa identità di un uomo d'affari nazionalizzato brasiliano dedito al commercio di soia e a attività immobiliari, di basso profilo e dai modi educati, con ottime relazioni sociali. Sembrava un mafioso? Nessuno che lo conobbe notò analogie con Il Padrino, e perfino un mio amico che ebbe a che fare in modo superficiale con lui, me lo descrisse come un "tano" (italiano) impegnato a prendersi cura della sua famiglia, come tutti noi. Ma quel "tano" era un uomo di mafia, non solo un suo componente, ma un capo, il membro di una famiglia mafiosa degli anni sessanta.
Al momento della sua fuga in Sudamerica, negli anni novanta la Giustizia italiana lo condannò in contumacia per reati gravi, per traffico di droga e per associazione mafiosa. Rocco Morabito fece parte dell'elenco dei criminali più ricercati, fino a che un giorno la sua vita di rispettabile uomo d'affari puntaesteño si interruppe. Ciò accadde all'inizio del mese di settembre del 2017, dopo una lite coniugale lasciò casa sua e andò in un hotel del centro di Montevideo dove fu finalmente arrestato dall'Interpol. Fu scoperto per un errore nell'iscrizione di sua figlia a scuola col suo vero cognome e già da alcuni mesi era nel mirino delle autorità che decisero di fermarlo il giorno in cui si trasferì all'hotel, una circostanza ideale per l'arresto.
Una volta messe le manette a Rocco Morabito, il fantasma dell'estradizione apparve al suo fianco, portandogli la privazione della libertà: per il reato di falsificazione di identità e per l'estradizione che già gli pendeva sulla testa. Ma dentro lo schema mafioso quell'estradizione non doveva avvenire mai, ed effettivamente così è stato perchè la notte del 24 giugno del 2019, Rocco Morabito, nel contesto di una rocambolesca evasione, fuggì dalla Prigione Centrale con altri tre stranieri, anche loro in attesa di estradizione. Mentre pochi giorni dopo la fuga i tre furono via via catturati in diversi punti del paese, Rocco Morabito fino ad oggi rimane latitante.

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Il capo mafioso della `Ndrangheta è libero. Dov'è? Non si sa, anche se si ipotizza che possa aver attraversato il confine stabilendosi in Brasile. Cosa fa? Non lo sappiamo, ma non crediamo che si stia dedicando alla lettura o alle vacanze, starà operando in attività clandestine del narcotraffico internazionale, come sicuramente fece quando mise piede in territorio brasiliano più di 23 anni fa, quando fuggiva dalla giustizia italiana? È molto probabile. Non bisogna dimenticare che quando venne catturato a Montevideo gli sequestrarono un'arma, due automobili, vari cellulari ed è stato constatato che viaggiava assiduamente in Argentina spostandosi nella regione, ma non gli vennero contestati mai reati commessi nell'ambito del narcotraffico.
Oggi Rocco Morabito è un latitante della giustizia italiana e della giustizia uruguaiana. E' stato il protagonista di una delle evasioni più scandalose del sistema carcerario uruguaiano che ha evidenziato i multipli livelli di corruzione tra le file dei funzionari pubblici per facilitare la sua fuga. Il governo e il Ministero dell'Interno, sapevano perfettamente chi era Morabito e cosa significava la sua cattura per l'Italia, per l'Uruguay e per l'antimafia del mondo, ma è palese che ciò non fu gestito opportunamente da alcuni personaggi del Ministero dell'Interno uruguaiano. Rocco Morabito fu lasciato fuggire prima di poter attraversare l'Atlantico scortato dai carabinieri. La sua fuga fu una mossa geniale, e prevedibile, sulla scacchiera.
Alcuni mesi dopo - il 29 novembre del 2019 - in Italia, sono seguite alcune risposte a questa mossa di scacchi: con l'articolo della nostra redazione italiana, del collega Davide de Bari intitolato: "Le mani della cosca Belloco tra Calabria e Sud-America". Che ha così sviluppato: "La famiglia Bellocco aveva già internazionalizzato le sue attività criminali grazie ad una forte capacità di relazione con altre cosche della 'Ndrangheta, come i Morabito e i Mollica di Africo, con cui avevano posto solide basi nell'area di Rio de la Plata, tra Buenos Aires e Montevideo, da dove coordinavano l'acquisto e la spedizione di quintali di cocaina verso l'Italia e l'Europa". Queste sono le parole di Giovanni Bombardieri, procuratore generale della Repubblica di Reggio Calabria, per descrivere l'operazione che oggi ha portato allo smantellamento del vertice di uno dei clan più potenti della Ndrangheta."
"L'inchiesta - ha affermato il vice procuratore aggiunto Gaetano Paci - prende l'avvio dopo il sequestro di 385 chili di cocaina rinvenuti in mare al largo di Gioia Tauro. Da quell'episodio la Guardia di Finanza ha ricostruito la rete dei Bellocco che avevano da tempo ormai loro referenti in Sudamerica, i quali avrebbero avuto un ruolo anche nella fuga di Rocco Morabito 'u tamunga', arrestato a Montevideo e in attesa di essere estradato, ma poi riuscito ad evadere dalle carceri uruguaiane. Tale episodio è sintomatico della forza e dell'affidabilità dei Bellocco, che erano anche riusciti ad inserirsi tra i 'colletti bianchi' del Tribunale di Buenos Aires, riuscendo ad ottenere informazioni riservate su inchieste a loro carico". La cosca dei Bellocco con grande disponibilità finanziarie per importare la cocaina, ha individuato in Sudamerica, in particolare in Argentina e Costa Rica, fonti di approvvigionamento di ingenti partite di sostanze stupefacenti da inviare in Italia occultate, per il trasporto navale, in appositi borsoni all'interno di container.

"Le investigazioni rivelarono che la famiglia Bellocco si è servita di emissari che hanno effettuato vari viaggi in America del Sud, per visionare la droga e contrattare con i contatti locali l'organizzare degli aspetti logistici dell'importazione. Grazie alla collaborazione tra la Guardia di Finanza di Reggio Calabria e la Gendarmeria Argentina, è stato possibile accertare che proprio a Buenos Aires l'associazione criminale calabrese poteva contare sulla collaborazione di alcuni "colletti bianchi" italo-argentini, appartenenti all'organizzazione e disposti ad agevolare la pianificazione del traffico illegale e l'importazione di ingenti quantitativi di cocaina. Uno di essi, sfruttando la sue conoscenze, riuscì inoltre, ad ottenere informazioni riservate sull'indagine avviata presso il tribunale penale-economico di Buenos Aires, informando immediatamente e fornendo le copie di alcuni atti dell'indagine ai soci calabresi.
"L'areaplatense, quella prospiciente al Rio della Plata su cui si affacciano quasi dirimpettaie Buenos Aires e Montevideo, capitale dell'Uruguay - ha detto il comandante regionale della Guardia di Finanza, gen. Fabio Contini - è diventata da tempo una zona su cui si sono installati vari gruppi di 'Ndrangheta che coordinano i rapporti con i narcos di Colombia, Bolivia e altri paesi Centroamericani. Peraltro, se dal versante argentino le istituzioni finanziarie di quel Paese hanno istituito una legislazione antiriciclaggio efficace e collaborano con le nostre forze di polizia, in Uruguay, la legislazione attuale non offre la medesima possibilità, lasciando maglie più larghe alle attività della mafia".
"L'emissario in America del Sud del clan Bellocco non si limitava alla mera funzione di intermediario nell'ambito dei traffici illeciti, ma si prodigava anche a risolvere questioni estremamente importanti che interessavano la famiglia di 'Ndrangheta dei Morabito di Africo, (RC). A tal fine, risulta emblematica la relazione dell'emissario con alcuni membri del clan Morabito per far arrivare in territorio uruguaiano una grande somma di denaro, circa 50.000 euro, con l'obiettivo di liberare Rocco Morabito, arrestato dopo una lunga latitanza e successivamente evaso. La stessa organizzazione, diversificando i propri affari, si dedicò anche alla coltivazione di droghe tipo cannabis utilizzando alcune serre dislocate in Toscana, per poi occuparsi, attraverso una fitta rete di spacciatori, di commercializzarla sull'intero territorio nazionale."
Mentre il paese uruguaiano dorme chi è sveglio è il crimine organizzato della cocaina internazionale. E svegli sono anche gli uomini di "potere" uruguaiani. Che genere di uomini di potere? Pus il potere di chi col suo silenzio o con la sua partecipazione sotterranea, in mezzo ad una "risplendente" democrazia fanno parte delle multi milionarie manovre affinché tonnellate e tonnellate di cocaina entrino nel territorio uruguaiano, accuratamente occultate in borse, per essere poi inviate oltre l'Atlantico e ricevute dai gruppi mafiosi che sanno perfettamente che farne cosicchè i panetti della sostanza (una delle più bramate del mondo occidentale) diventino denaro sonante.
L'Uruguay, già da qualche tempo non è esente dalla pesante operazione dei narcos che si è abbattuta con la forza distruttrice di un uragano sulle sue terre e sulla sua democrazia. Non è il peso della Legge che si abbatte sulla criminalità, ma il contrario: è il peso della mafia a ricadere sulla Legge sulla democrazia e sullo Stato. Supporre oggi che gli Stati siano una garanzia di onestà, sarebbe veramente un presupposto sciocco e peccheremmo di eccesso di ingenuità.
Se qualcuno presume che i narcos trasportino la droga da un paese ad un altro, dal punto di origine dove è stata prodotta e trasformata in laboratorio, come se si trattasse di un grossolano contrabbando di zucchero, pasta o sigarette, sta sbagliando molto. Parlando di cocaina e parlando di narcos, bisogna solo presupporre che si tratti di un apparato logistico e di corruzione, ai massimi livelli il che significa che per spostare tonnellate i controlli e le strade devono essere libere e che gli occhi degli uomini di "potere", come i funzionari pubblici, devono guardare da un'altra parte e devono obbedire a certi modelli e a determinate linee guida, perché il narcotraffico internazionale non solo corrompe persone singole ma soprattutto le persone situate in posizioni di potere politico o forze di sicurrezza, di potere imprenditoriale, o del puro e semplice potere al governo. Perfino di un potere governativo impegnato mediaticamente contro i narcos, ma legato ad essi, convivendo con i cittadini che ovviamente lo vedono come un paladino della giustizia, mentre in realtà è un mascalzone immerso nel fango, ma con la gran maschera di essere apertamente un anti narcos, in che non è vero.
In Uruguay succede? Potrebbe essere successo e può assolutamente stare accadendo. Applicando il buonsenso, per trovare risposte, basterebbe vedere gli avvenimenti degli ultimi anni dai titoli di quotidiani, telegiornali e radio. Precisiamo che ci stiamo riferendo solo al narcotraffico di portata internazionale, perché se stessimo affrontando il locale traffico di droga, la storia oltre ad essere molto diversa, ci obbligherebbe a trattarla in modo differente, anche se in alcuni dei suoi aspetti i parallelismi non mancano, perché alla fine, tutto quello che circonda la cocaina scatena sempre gli stessi crimini, profitti, corruzione, violenza e morte.
Il ritmo della vita cittadina e del funzionario pubblico dentro la legalità è uno, mentre il ritmo della vita nell'illegalità, quando si tratta di narcotraffico, è un altro. Alcuni fanno della democrazia e delle sue istituzioni un culto dello stato di diritto, ma altri, fanno il contrario: la corrodono e la erodono di nascosto, e quasi sempre si mostrano per ciò che non sono in realtà. Ma l'obiettivo criminale punta sempre in una sola direzione: costruire il narco-stato
In Uruguay, sono molti gli indicatori che di narcos ne abbiamo fino al collo. Non si sono stabiliti solo italiani, come Morabito, ma anche altri personaggi come il leader del temuto cartello messicano Los Cuinis, Gerardo González Valencia, fratello del capo del cartello, Abigael González Valencia. Secondo la DEA, è uno dei cartelli più potenti del Messico, con connessioni per il narcotraffico con Europa, Canada e Asia. Gerardo González Valencia è detenuto in un penitenziario della Guardia Repubblicana di Montevideo e sarà estradato negli Stati Uniti non appena si ottengano le dovute autorizzazioni. E' stato arrestato nell'aprile del 2016 nel parcheggio di una rinomata scuola privata del quartiere Carrasco di Montevideo, mentre andava a prendere i suoi figli. Viveva in Uruguay con sua moglie dal 2005 e in apparenza era un esemplare uomo d'affari. Ovviamente gli Stati Uniti hanno richiesto la sua estradizione. Qui in Uruguay è stato processato per riciclaggio di denaro, la magistratura ritenne che il denaro proveniva del narcotraffico.
Con il tempo, alla presenza di questi personaggi, si sono aggiunti anche i fatti, frequenti e ingenti sequestri di cocaina in altri paesi che coinvolgevano l'Uruguay e sequestri di droga dentro il territorio uruguaiano.
Sebbene nel 2018 in Uruguay furono sequestrati 754 chili di cocaina, il 2019 ha segnato un record con un totale di 12 tonnellate di cocaina: droga arrivata in Uruguay e che, in aereo o in nave veniva esportata in Europa, direttamente o attraverso l'Africa. L'Uruguay è una delle rotte più ambite, probabilmente perché le "facilitazioni commerciali" che offre ai narcos sono estremamente favorevoli.
Facciamo un sunto dell'anno passato: a metà aprile il personale della Dogana di Amburgo, Germania sequestrò quasi mezza tonnellata di cocaina nascosta in un carico di riso proveniente dall'Uruguay e destinata in Sierra Leone, per dopo essere venduta in Europa, rotta preferita dalle mafie della coca; il 25 maggio in un aeroplano privato proveniente dall'Uruguay, fermato in Francia sequestrarono 600 chili di cocaina; nel mese di giugno, dal porto di Amburgo, giunse uno dei primi colpi per l'Uruguay, il sequestro di quattro tonnellate e mezzo di cocaina proveniente dal porto di Montevieo in un carico di soia; agli inizi di agosto, quando lo scandalo cominciava appena a placarsi, in una casa dello stabilimento balneare Parque del Plata, sequestrarono 854 chili di cocaina, apparentemente destinati al consumo locale, ma le delle autorità non escludono che il fine fosse quello di esportarla fuori dai confini; poco dopo, il 20 novembre, nel porto di Montevideo sequestrarono tre tonnellate di cocaina dirette in Africa, dentro un container di riso paraguaiano; ma lo scandalo arrivò al suo massimo livello, quando il 26 e 27 novembre, sempre nel porto di Montevideo, scoprirono altri due container con quattro tonnellate e mezzo di cocaina, e il giorno successivo, in uno stabilimento agricolo del dipartimento di Soriano, quasi una tonnellata e mezza, per un totale di sei tonnellate di cocaina in un carico di pasta di soia, destinate ad una terminal portuale in Africa, per arrivare poi in Europa.
In tutti i casi gli accusati erano imprenditori e lavoratori che negarono categoricamente il loro legame con il narcotraffico. Le responsabilità sono nell'ambito della sicurezza e dei controlli dei camion delle spedizioni di soia o di riso o dei funzionari pubblici situati in posti chiave? Al momento ciò non è stato accertato.
È un dato di fatto che le produzioni di cocaina in Bolivia e in Colombia sono notevolmente aumentate e che i narcos devono muoversi velocemente affinché la droga abbia la trasformazione necessaria affinché i guadagni siano sempre maggiori. Dalla Colombia e dalla Bolivia, i panetti di cocaina vengono distribuiti sul mercato europeo attraverso i porti prescelti: Montevideo in Uruguay, Zárate e Buenos Aires in Argentina e Santos in Brasile. Ovviamente le merci di contrabbando prima di arrivare nei porti devono attraversare il territorio paraguaiano, in camion o con aeroplani più piccoli, da cui le sacche contenenti la sostanza bianca vengono lanciate sui campi di proprietari terrieri uruguaiani che si arricchiscono già dalla prima partita.
Un percorso impressionante che suggerisce un'imponente e varia logistica, retta da una poderosa rete di corruzione che coinvolge contadini, braccianti e proprietari agricoli, imprenditori, la maggior parte dei quali si unisce al narcotraffico perché sono oppressi dai debiti, avidi ispettori di container, funzionari corrotti addetti ai controlli aerei e portuali e persino elementi corrotti delle forze di sicurezza. Tutta un'infrastruttura al servizio del crimine.
Ma quello che più preoccupa è soprattutto che sicuramente tutto questo suggerisce che non manchino sostanziosi pagamenti agli uomini del "potere" politico e forse del governo, che con la corruzione al suo interno, con ogni sbarco e con ogni spedizione non denunciata, non fa altro che gettare le basi fondamentali per la creazione ed il consolidamento del narco Stato uruguaiano.
Perchè è a questo che arriveremo se contina così, se non lo siamo già. Con il clan della ´Ndrangheta? Con i cartelli messicani? Poco importa, perché quello che conta è che come altri paesi della regione siamo nel narcotraffico fino al collo. E quello è molto grave.
"Da 2009 non esiste un piano per combattere il narcotraffico" questa è stata la recente affermazione del Pubblico Ministero, Jorge Díaz. Parole che scuotono e che di sicuro non fa piacere sentire, perchè se il contesto era già conosciuto che cosa è stato fatto per contrastarlo? O meglio, cosa non è stato fatto per contrastarlo?
Anni fa, o in anni più recenti e successivi, a quel 2009 che Díaz evidenzia come una data che segna l'inizio dell'indifferenza statale per affrontare il problema, il traffico locale di droga in Uruguay ebbe già i suoi casi emblematici, come l'operazione "Campanita", ed i personaggi narcos come il "Lilo" Martínez, Omar Clavijo Cedrés, Washington Rissotto "El Bocha" assassinati in circostanze proprie del commercio di droga, perché la violenza e la morte sono le regole del gioco, o forse anche perché conoscevano molto bene il business e coloro che ne erano coinvolti, ragione più che sufficiente per metterli a tacere.
Quegli anni pesanti, di sangue e fuoco, di narcos locali, di corruzione a tutti i livelli, erano il preludio dell'oggi. Questo è chiaro come l'acqua. Il loro lascito è terribile, ma non meno terribile sarà l'eredità che lo scenario attuale lascerà per il futuro. Anche questo è terribilmente chiaro come l'acqua.
(8 gennaio 2020)

Foto di copertina: www.subrayado.com.uy
Foto di Rocco Morabito: UNICOM Ministerio del Interior