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di Pierfrancesco Curzi
Ibrahim Metwaly Hegazy, avvocato e fondatore della Commissione egiziana per i diritti e la libertà, era stato fermato nel settembre 2017 mentre stava andando a Ginevra per parlare all'Onu del ricercatore italiano. Viene liberato senza aver mai subito un processo. Un passo verso la soluzione del caso, in un Paese dove però aumentano arresti, sparizioni e torture

Scarcerato uno dei legali della famiglia di Giulio Regeni: una speranza nella strada verso una soluzione del caso, nel marasma repressivo messo in atto dal regime egiziano. Ibrahim Metwaly Hegazy, avvocato egiziano e attivista per i diritti umani, membro fondante dell’Ecrf, la Commissione egiziana per i diritti e la libertà, era stato fermato nel settembre 2017 all’aeroporto internazionale del Cairo mentre si stava imbarcando su un volo con destinazione Ginevra. Le sue indagini sulla scomparsa e sul ritrovamento del corpo del ricercatore italiano, tra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016, si erano spinte troppo oltre probabilmente, al punto da convincere i Servizi di sicurezza egiziani a bloccarlo e trasferirlo in prigione. A Ginevra Ibrahim Metwaly avrebbe dovuto incontrare un gruppo di lavoro delle Nazioni Unite focalizzato sul tema delle scomparse di attivisti in vari Paesi del mondo e il caso di Giulio Regeni sarebbe stato centrale in quel tavolo di lavoro. Il Procuratore della Sicurezza di Stato del Cairo ieri, lunedì sera, ha ordinato la sua scarcerazione, provvedimento ufficializzato e che dovrebbe diventare operativo entro pochi giorni. A differenza di altri attivisti e professionisti arrestati in questi anni in Egitto, soprattutto dopo i fatti di piazza Rabaa, nell’agosto 2013, una volta uscito Metwaly non sarà sottoposto al regime di semilibertà, le 12 ore giornaliere a casa, quelle serali e notturne in una stazione di polizia: “L’unico dettaglio che stiamo cercando di capire è se Ibrahim dovrà essere sottoposto al monitoraggio della polizia un paio d’ore a settimana”, spiega Mohamed Lotfy, vicepresidente dell’Ecrf, collega e grande amico di Metwaly. “Di sicuro - aggiunge Lotfy - non sarà soggetto alla pena complementare come accaduto per altri. Questo perché il nostro collega, in questi 24 mesi non solo non è stato condannato ad alcuna detenzione, ma non ha mai subìto un processo e nei suoi confronti non sono stati mossi addebiti. In questo periodo è rimasto in detenzione preventiva, ora, cadute le accuse, il Procuratore ha ordinato la scarcerazione. Siamo molto felici, per lui e per la sua famiglia”. Ora nelle mani della giustizia egiziana resta un altro dei legali dell’Ecrf che ha seguito da vicino il caso Regeni, Haitham Mohamadein, arrestato nel 2018, mentre non si sa più nulla di Ibrahim Ezz el-Din, il giovane ingegnere, anch’egli membro della Commissione Egiziana, sparito dopo essere stato arrestato l’11 giugno scorso. Da allora di lui non si hanno notizie. Il rilascio di Ibrahim Metwaly, tuttavia, riveste una grande importanza per l’indagine sul caso della morte di Giulio Regeni. Una decisione che arriva subito dopo una serie di incontri tra i genitori dello studente di Fiumicello e le più alte cariche istituzionali, dal ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, a David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo.
Una speranza per il caso Regeni e soprattutto soddisfazione per Metwaly e per i suoi colleghi dell’Ecrf. L’atmosfera al Cairo e nel resto dell’Egitto, tuttavia, resta cupa in questo periodo di forte repressione da parte del governo guidato da cinque anni dal colonnello Abdel Fattah al-Sisi. Le manifestazioni di piazza a Tahrir e Taalat Harb il 20 e il 27 settembre scorsi hanno prodotto un’ondata di arresti e di sparizioni come non accadeva da anni. Operazioni mirate stanno colpendo avvocati, giornalisti, operatori dei diritti umani e professionisti. Oltre ai casi resi noti dai media nell’ultimo mese, c’è forte preoccupazione per l’avvocato Mohamed el-Bakr, legale del notissimo attivista Alaa Abdel Fattah, arrestato a fine settembre. El-Bakr è stato fermato soltanto perché cercava informazioni sul suo assistito e adesso si trova nella famigerata sezione 2 del carcere di Tora, alla periferia sud del Cairo. Il legale è accusato di aver formato un gruppo terroristico, anche se la Procura non ha mai nominato questa presunta organizzazione, e dalla prigione denuncia pesanti violazioni dei suoi diritti: “Nei suoi confronti stanno utilizzando il metodo di tortura detto ‘Welcoming party’ (festa di benvenuto): viene bendato, spogliato dei suoi abiti e sottoposto ad insulti, minacce e botte”, spiega un collega di el-Bakr. Infine la storia forse più inquietante, quella di Esraa Abdel Fattah, leader dell’associazione di studi sul femminismo Nazra. Da pochi giorni Esraa Abdel Fattah ha avviato uno sciopero della fame dopo aver denunciato torture e violenze, anche di tipo sessuale.

Tratto da: ilfattoquotidiano.it

Foto © Imagoeconomica

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