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Video e Foto
di Karim El Sadi

Alla Casa delle Donne di Milano le mamme dei comitati popolari di Nabi Salih

“Questa è una storia vera senza lieti fini né principi azzurri che salvano la situazione. E forse è per questo che a nessuno va di raccontarla. Non si può cambiare ciò che è avvenuto sinora ma si può fare in modo che tanti la gridino e si appassionino ad essa magari per scriverla insieme a cambiarne il finale”. Ha avuto inizio così con una commovente pièce teatrale dei giovanissimi del movimento culturale internazionale Our Voice la serata sulla Palestina tenutasi venerdì presso la Casa delle Donne a Milano organizzata da Assopace Palestina. In questa storia “non ci sono eroi”, ma tantissima gente umile che nel loro piccolo si è messa di traverso al neocolonialismo, all’occupazione, alla pretesa di impossessarsi con la forza della terra altrui per “volontà divina”, perché “Dio ce l’ha promessa”. C’è gente in questa storia che non ha paura di affrontare l’usurpatore che si chiami “America” o “Israele”. A spolverare le pagine di questo duro quanto affascinante racconto, riportando difficili episodi di vita quotidiana, a Milano sono state Nariman, Boushra e Naijah Tamimi. Tre donne, o meglio tre mamme, che hanno visto sin da bambine il volto più feroce dello stato di Israele in una delle realtà più dure della Cisgiordania: Nabi Salih. Un villaggio di sole 600 anime a due passi da Ramallah che dal 1977 resiste alle angherie dell’insediamento illegale israeliano di Halamish, una delle oltre 200 colonie illegali israeliane in Cisgiordania. Gli abitanti di Halamish, con il supporto dell’IDF (Israel Defence Forces) compiono delle ronde violente grazie alle quali soffocano la vita del piccolo villaggio. A queste continue provocazioni la società civile palestinese ha tentato nel tempo di opporre resistenza tramite manifestazioni pacifiche anche con lancio di pietre ma ad un prezzo altissimo. Chi viene visto partecipare a queste proteste pacifiche, infatti, viene catturato dall’esercito israeliano e detenuto anche per diversi mesi o addirittura anni durante i quali si è spesso sottoposti a torture fisiche e soprattutto psicologiche.

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“A Nabi Salih non c'è una famiglia che abbia un componente che non sia mai stato arrestato. - ha detto Naijah Tamimi - Tutti i giovani sono stati in carcere una o due volte”. Poco importa dunque se a manifestare sono uomini adulti o semplici minorenni, per Israele a chi alza la testa va impartita una dura lezione. Una repressione rivolta anche nei confronti delle donne che, trovandosi specialmente in passato in una situazione complicata dovuta alle limitazioni di ordine culturale dei nuclei famigliari, ancora più accentuate nelle piccole realtà dei villaggi rurali palestinesi come Nabi Salih, “facevamo una gran fatica a ribellarci”. “La mia esperienza di resistenza è iniziata nel 1987 ai tempi della prima Intifada - ha rammentato Boushra Tamimi - Nella nostra zona la lotta delle donne era piuttosto limitata per via dei vincoli imposti dalle nostre famiglie”. A questi vincoli si aggiungeva il terrore “di essere arrestate o ricattate perché le forze di occupazione - ha spiegato Boushra Tamimi - approfittando dei limiti culturali sulla figura della donna tentavano di far diffondere voci denigratorie che facessero passare le donne che lottavano e partecipavano alle manifestazioni come delle poco di buono”. A questa complicata condizione le palestinesi però hanno fatto forza comune aiutando comunque la resistenza come meglio potevano soprattutto durante la prima Intifada. All’epoca “avevamo altri mezzi per sostenere gli insorti. - ha continuato Bouchra Tamimi - In quel periodo le scuole sono state chiuse per 6 mesi allora noi abbiamo fatto scuola ai nostri bambini in modo che non perdessero l'insegnamento. La nostra partecipazione si è sviluppata. Non ci scontravamo direttamente con i soldati ma supportavamo chi lo faceva. Siamo diventate parte dei comitati popolari per il lavoro sociale e ci siamo occupate delle famiglie dei prigionieri e dei martiri”. Una resistenza non violenta tutta al femminile che per certi versi si rispecchia con l’Italia partigiana dei primi anni '40. Ma tutto è cambiato nel 2009, quando la vicina colonia di Halamish ha iniziato a compiere delle azioni per impossessarsi delle falde acquifere della zona che impedivano agli abitanti di Nabi Salih di poter bere e coltivare.

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Le donne dei comitati popolari di Nabi Salih allora sono uscite finalmente in strada e, reduci da quelle limitazioni imposte dai loro padri, hanno deciso di non compiere lo stesso errore lasciando liberi i propri figli e figlie di partecipare alle proteste contro l’occupazione che si tengono ogni venerdì. “I giovani possono utilizzare la loro voce per comunicare quello che noi viviamo”. Ha commentato Nariman Tamimi, la mamma della giovane attivista Ahed, volto famoso della resistenza non armata palestinese arrestata nel dicembre 2017 dall’esercito israeliano. Parlando della figlia, in sala Nariman ha raccontato quali erano i suoi sogni da bambina. “Ahed aveva il sogno di giocare a calcio ma dopo la brutta esperienza che ha avuto (è stata in carcere 8 mesi per aver schiaffeggiato un sodato, ndr) ha pensato che sarebbe stato ottimo studiare legge in modo da diventare avvocato e sostenere i diritti palestinesi a livello locale e internazionale”. Nariman è una madre coraggiosa, come tante in Palestina, che negli anni ha dovuto armarsi di forza e coraggio. Talvolta dovendo allevare i propri figli da sola in quanto il marito Bassem è finito nove volte nelle celle delle autorità israeliane. Nariman ha le idee chiare su come funziona il mondo, sa bene che Israele è solo la manifestazione di un’oligarchia che tiene in pugno il respiro economico e politico del pianeta. Sa bene, per esempio, che per far fronte a questo sistema “l’unica arma che bisogna diffondere e sostenere è quella del boicottaggio dal punto di vista economico e culturale. Boicottare - ha sottolineato - un regime imperialista che vede negli israeliani e negli americani due colonne portanti che violano continuamente i diritti delle popolazioni indigene del mondo”. “Noi in Palestina conduciamo da una parta una lotta nazionale e dall'altra una lotta sul piano sociale per evitare che altrove accada ciò che è accaduto a noi”. E in questa lotta le donne, secondo Nariman Tamimi, hanno un ruolo di primo piano. “Nella lingua araba la parola libertà ed evoluzione sono parole femminili. - ha concluso - Io penso che ciò non sia un caso, noi donne abbiamo una grande responsabilità in questa resistenza”.

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