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di Fátima Amaral* - Foto
Cronaca di un viaggio dove l'arte è stata una scuola di vita ed un percorso di lotta

Dal mio punto di vista, questo viaggio (dei mesi di marzo ed aprile), è iniziato congedandomi dalla mia piccola figlia, che sarebbe partita dall'Uruguay, per ritrovarci, diversi giorni dopo.
L'oscurità di una notte fredda, nel terminale della città di Campana, Argentina, mi ha dato il benvenuto sotto un bel cielo stellato; qui sono venuti a prendermi e la mattina dopo mi sarei incontrata con molti dei ragazzi che erano già lì, al lavoro da alcuni giorni.
Tutti sentivamo a fior di pelle l'emozione di ritrovarci, ma non c'era tempo per le banalità, eravamo lì per preparare la presentazione della nuova opera teatrale, che sarebbe andata in scena pochi giorni dopo: "Sueño Blanco". Avevamo ancora tante cose da organizzare e da completare, e così ognuno di noi si è letteralmente sommerso nel proprio compito, individualmente o in gruppo, esprimendo nel proprio sguardo l'emozione di un indescrivibile avvenimento: ritrovarci.
Uno scambio di sorrisi ogni volta che ci incrociavamo, ma anche qualche espressione preoccupata nel vedere che il tempo passava ed era necessario darsi da fare. Le ore trascorrevano, e noi continuavamo a godere dello stare insieme, senza trascurare i nostri impegni, la diffusione dell’evento, procurare le cose di cui avevamo bisogno per la messa in scena, scrivere e sistemare i copioni, i ruoli e tante altre cose necessarie per l’esecuzione di un'opera teatrale. Un po’ di nervosismo per il poco tempo a disposizione e anche perché la maggior parte di noi non erano professionisti del settore. Impegno e dedizione non mancavano e poi c’era l’immensa gioia di stare insieme. Consapevoli di sentire questa unione anche con chi non era con noi in quel momento, ma impegnato aiutando e lavorando lo stesso per quello che in quel momento era il nostro massimo obiettivo e progetto: la nostra opera "Sueño Blanco".

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L’opera doveva arrivare a quanti più giovani possibile, per suscitare in loro un'infinità di emozioni ed essere uno spunto di riflessione.
Un'opera che, appena si accendono le luci, propone uno scontro generazionale attraverso una conversazione tra un padre ex militare e sua figlia, una studentessa universitaria: lui si vede costretto ad affrontare i suoi demoni del passato, e di conoscere la verità riguardo il ruolo da protagonista del suo genitore, nelle atrocità commesse dalla dittatura militare, rendendosi conto che quegli oltraggi ai diritti umani continuano ad accadere anche oggi, mascherati in diversi modi.
In questa occasione, l'opera è stata scelta da noi per risvegliare negli spettatori la loro voglia di mettersi in gioco, spesso assopita a causa di stimoli esterni. Stimoli che li spingono unicamente verso azioni nefaste contro la vita. È la strada scelta da noi per portare anche loro a decidere di intraprendere una strada a favore della tanto augurata pace ma che verrà solo con la vera giustizia.
Le prime prove sono state uniche, avvincenti, piene di colpi di scena. Quando uno di noi era in scena gli altri facevano da spettatori. Comparvero le risate e le lacrime, espressioni di stupore in volto, sguardi complici di compiacimento per quelle esibizioni, uniche, che sono rimaste scolpite nella mia anima ed in tutto il mio essere.

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Le prove si sono succedute, giornate intense traboccanti di ogni tipo di esperienze che ci avvicinavano al debutto nella struttura che un tempo ospitava l’ESMA, uno dei centri clandestini di detenzione all'epoca della dittatura argentina, dove torturarono e sparirono oltre 5.000 persone. Un posto dove l'energia era intensa e densa; dove sentivamo la pelle d’oca solo nel pensare le orrende atrocità, le interminabili violazioni di diritti umani avvenute lì. Un posto dove venivano spente vite innocenti, solo perché difendevano ideali e valori. Vite che non furono risparmiate dalla crudeltà. E che furono divorate dalla morte.
All'interno di questa struttura ha sede lo Spazio Culturale i Nostri Figli (ECUNHI), ed è qui che abbiamo presentato la nostra opera. Giustamente, le Madri e Nonne di Plaza de Mayo, che appaiono come simbolo di lotta nella nostra opera, hanno trasformato quella scuola, che educava i giovani a diventare individui di distruzione, in un posto di apprendimento ed arte.
La rappresentazione non è stata all’altezza delle nostre aspettative, ma l'emozione toccò i presenti, e piovvero applausi e congratulazioni da parte del pubblico. Ed a livello di interpretazione abbiamo avuto decisamente conferme di accettazione del nostro messaggio, e ciò ha significato un enorme ed indescrivibile trionfo per noi.
Passarono i giorni, colmandoci di momenti meravigliosi ed indimenticabili. L’impegno seguiva il suo corso. Un lavoro quotidiano, portato avanti con responsabilità, dedizione e professionalità.
E siamo giunti ad un'altra gran presentazione. Questa volta, in una sala da teatro presso una nota libreria in Avenida Corrientes, a Buenos Aires: un punto di quella grande città che ci toglieva il fiato ma allo stesso tempo avevamo la speranza di trasmettere nuovamente il nostro messaggio e poter aprire altre vie alla coscienza e alla riflessione.
La mattina dopo sono iniziati i saluti. Alcuni dovevano ritornare a casa mentre altri restavano per conoscere uno dei nostri massimi punti di riferimento per la grande lotta che porta avanti contro la mafia: il pubblico ministero italiano, Nino Di Matteo che si trovava nel paese per partecipare ad un Seminario Antimafia Italo-argentino.
Un Seminario che è stato un pretesto per reincontrare parte del nostro gruppo, che aveva già avuto l'opportunità di conoscere questo Pubblico ministero, portatore dei sentimenti degli uomini giusti. Un Seminario che si può definire ipocrita, per la presenza di alcuni relatori. Ciononostante, è stata un'esperienza senza uguali ed un promemoria per tutti, che grazie a persone che hanno sacrificato le loro vite nel passato e a quelli che rischiano oggi, come lo stesso Nino Di Matteo, noi possiamo continuare questa lotta, alla ricerca della verità per apportare un cambiamento in questa società piena di corruzione.

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Infine la tournè ci ha portato in Uruguay per presentare l'opera nella città di Fray Bentos, dove abbiamo fatto cose immense: mentre si faceva la pubblicità dell'opera teatrale, i gruppi hanno visitato i licei e, in un modo o in vari modi, hanno realizzato incontri con i giovani. Momenti per ragionare e anche per riflettere.
Le porte di diversi mezzi di comunicazione si sono aperte e i rappresentanti del movimento sono stati i principali intervistati. Il frutto del nostro lavoro si è visto nella grande quantità di spettatori accorsi. C’è stato un intenso scambio con il pubblico ed è nato un dibattito sui temi trattati nell'opera. Una conclusione che ha arricchito le nostre anime e anche le anime di chi ci ha incontrato per la prima volta.
L'arrivo della maggior parte del gruppo, prima a Montevideo e dopo alla città di Artigas, al nord dell'Uruguay, ha segnato un'altra avventura senza uguali. Con nuove sfide e nuove esperienze, in una nuova città. Una città che ci ha segnato a fuoco, per innumerabili ragioni.
Artigas è una città che ha rivelato subito davanti ai nostri occhi il suo aspetto peggiore: il narcotraffico. Il flagello del consumo di droga sembra essere la normalità tra chi cammina lungo quelle strade, principalmente giovani. Il narcotraffico, è un "abitante" in più in questa città così preziosa. Un "abitante indesiderato". Un "abitante che appunto perché indesiderato’ ci ha dato ancora più forza per continuare a diffondere il nostro Movimento e la presentazione della nostra opera teatrale proprio presso l'Auditorium Municipale di questa città.
Mentre alcuni continuavano con le prove, altri percorrevano le strade distribuendo volantini, visitando i licei e i mezzi stampa che con entusiasmo ci aprivano le porte. Il nostro scopo principale era la ricerca di un pubblico giovanile al quale volevamo rivolgerci con il desiderio di risvegliarlo verso un cambiamento di consapevolezza.
La rappresentazione della nostra opera ad Artigas, a livello scenico, è stata una delle più riuscite. Abbiamo portato in scena innovazioni straordinariamente azzeccate che hanno catturato ancora di più i presenti, incominciando così a lasciare alcuni semi in quella città, con la speranza che le loro radici crescano.
Si avvicinavano gli ultimi giorni. Abbiamo avuto l'ultimo spettacolo nell'INJU, a Montevideo, capitale dell'Uruguay. Era arrivato anche il momento di iniziare a salutarci, tra sorrisi e pianti, e con un "abbraccio grande" o molti "forse": che significavano progetti, piani e mete.
Alcuni non comprendono, né apprezzano il valore di queste parole, neanche l'immensità del momento in cui si traducono in azione. Ma per me (e sono sicura per tutti noi), sono parole molto profonde, molto importanti.

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Questo rappresenta per me ogni viaggio: un'energia immensa che ci avvolge come un grande abbraccio Un abbraccio che ti sostiene. Che ti tira fuori dalla disperazione. Che cerca la tua calma per darti coraggio per affrontare ciò che verrà. Che cerca di far rivivere la tua speranza e accresce la tua forza, perché tu possa proseguire il cammino accanto a sorelle e fratelli. Fratelli e sorelle che ammiri con passione a che ami alla follia e che difenderei con la mia vita. Forse non conosco gli occhi di tutti né quello che custodiscono, e il sangue che circola oggi nelle nostre vene non è lo stesso, ma anche così, inspiegabilmente, loro per me, sono fratelli e sorelle, dell'anima e del cuore.
Ed è così, vicino a loro, tra partenze e arrivi, con alti e bassi, valigie, borse molto disordinate, canzoni e strani accenti nel parlare, risate e pianti, grida e silenzi, sguardi ed abbracci, emozioni a fiore di pelle, ogni giorno ed ogni notte, questo intenso viaggio è finito, lasciando spazio ad altri futuri.
Stare con loro, vederli e viverli, con grande ammirazione verso il loro impegno, verso quel meraviglioso sentimento di dare tutto, e senza paure che intralcino la nostra meta, mi ha insegnato molto. Loro, quelli che hanno forza e hanno vita. Loro che sono la vita che rimane a questo pianeta.
Senza di loro la mia vita non sarebbe vita. A loro sono profondamente grata per darmi quel grande abbraccio e la speranza che il cambiamento è possibile. Chi più chi meno, dovunque si trovi, si sacrifica per riuscire a realizzarlo.
Loro mi fanno vedere che c'è ancora molto per cui vale la pena continuare. Mi fanno vedere molti che si risvegliano e molti che stanno da risvegliare. Mi fanno vedere che ci sono ancora molti, e sempre di più, che si uniranno a noi nella ricerca di un cambiamento.
Ho ancora l'illusione che questa terra che oggi agonizza, possa recuperare fertilità e vita. Quella fertilità e quella vita che stiamo distruggendo con i nostri interessi malvagi e meschini. Ho ancora l'illusione che i giovani si liberino dallo stato di ipnosi nel quale sembrano stare affinché e si risveglino, per ribellarsi contro questo sistema corrotto che non fa altro che cercare la nostra perdizione.

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Yasmín Guzmán, questo meraviglioso essere di solo 9 anni che ci ha accompagnato facendo parte del cast, per tutta la durata di questo estenuante ma indimenticabile viaggio, ha portato ogni volta un messaggio dell’attivista indigena lenca Berta Cáceres, assassinata per la sua opposizione agli impianti idroelettrici delle multinazionali, tre anni fa nella sua terra nativa, Honduras. Un messaggio pieno di saggezza e di insegnamento.
"Risvegliamoci, risvegliamoci umanità, non c'è più tempo!!
Un messaggio che noi, come giovani, umilmente, facciamo nostro in ogni rappresentazione. Su ogni palcoscenico.
Il messaggio di una donna coraggiosa. Anzi, un sincero appello diretto ad un'umanità dormiente che deve urgentemente risvegliarsi.

*Our Voice Montevideo

Foto © Our Voice/Leandro Gómez e José Guzmán