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sofia migueldi Jean Georges Almendras
L’Osservatorio Luz Ibarburu riferisce: la cattura metterà a prova l'efficacia del sistema giudiziale

"Finalmente arrestato”, questo il titolo apparso sul sito web "El Muerto” lo scorso martedì 8 gennaio 2019, fa riferimento al sinistro personaggio recentemente arrestato dalle autorità dell’INTERPOL. Uno dei molti individui che fecero parte dell'apparato repressivo in Uruguay e Argentina, al tempo della dittatura, arrestato mentre camminava per le strade del quartiere Pocitos di Montevideo. Il soggetto in questione è Miguel Antonio Sofía Abeleira su cui dal 2009 pendeva un ordine di cattura internazionale.
Secondo fonti ufficiali del Ministero dell'Interno, l’arresto è avvenuto durante un’operazione di polizia effettuata a Montevideo. C’era già stato un precedente primo tentativo di arresto a Punta del Este, dove il ricercato non si era fatto trovare, ma fu sequestrata della documentazione ritenuta di vitale importanza, che ha portato gli investigatori, ai risultati oggi noti.
Miguel Sofía, negli anni '60 e '70, faceva parte degli squadroni della morte, denominazione che riportava a dei veri comandi ‘caccia Tupamaros’ (o gruppi tristemente classificati di Difesa Armata Nazionalista) che operavano in modo raccapricciante in Uruguay. Comandi sorti e generati all’interno della estrema destra uruguaiana. Comandi composti in molti casi da personale di polizia e militare o da persone che, pur essendo civili, per motivi ideologici, anche se non sempre, avevano dei vincoli con loro. In sostanza Comandi criminali.
In pratica operavano come altri gruppi a Buenos Aires e nel resto dell'Argentina, nel periodo della dittatura militare. ‘Grupos de tareas’ (gruppi di militari in borghese, ndr), come venivano chiamati all’epoca. ‘Grupos de tareas’ che avevano la loro base all'Esma o in altre strutture della polizia o/e in centri clandestini di detenzione a Buenos Aires e provincia.
A Montevideo, negli anni del terrorismo di Stato - e ancora prima del 27 giugno del 1973, momento in cui "ufficialmente" fu istaurata la dittatura militare - gli squadroni della morte erano lo strumento controinsurrezionale operativo in tutto il territorio nazionale, il cui compito principale era quello di reprimere i membri del Movimento di Liberazione Nazionale Tupamaros.
Gli squadroni si occupavano di sequestrare le persone per dopo sottometterle a tortura e poi assassinarli. I loro obiettivi principali non erano solo i guerriglieri, ma anche sindacalisti, avvocati difensori di prigionieri politici, studenti e persino i familiari di molti attivisti della sinistra uruguaiana.
Facendo una retrospettiva su Miguel Sofía, secondo quanto scrissero i mezzi stampa locali nel 2009, era dimostrato che negli anni ‘70, soprattutto nel ‘72, il personale dell'ambasciata statunitense in Uruguay era già al corrente che nel nostro paese operavano squadroni della morte.
Sempre nel 2009 ci furono importanti azioni penali contro repressori che facevano parte del terrorismo di Stato in Uruguay. Come ad esempio il processo penale e condanna al carcere, contro l’ex fotografo della polizia Nelson Bardesio e l'ex agente della Direzione Nazionale di Informazione ed Intelligence, Pedro Freitas, per "omicidio particolarmente aggravato”,
In quei giorni, l’allora pubblico ministero in ambito Penale Ricardo Perciballe richiese che venisse processato e condannato Miguel Antonio Sofía Abeleira per "associazione a delinquere in qualità di autore in concorso in sparizione forzata e di due omicidi aggravati in qualità di coautore”.
Sempre in quei giorni, anche la giudice penale Graciela Eustachio sollecitò esclusivamente a livello nazionale la cattura di Miguel Sofía, senza escludere la possibilità che il ricercato potessi/e già trovarsi fuori dalla frontiera uruguaiana.
L’ex Pubblico ministero e allora difensore di Miguel Sofía, avvocato Miguel Langón, vista la situazione del suo cliente latitante, ebbe la sfacciataggine di sollecitare l’archiviazione dell’inchiesta sugli squadroni della morte, sostenendo, stando a quanto riportato dal sito “El Muerto”, "la prescrizione dei reati e l'assenza di prove" argomentando che “non c’è prova diretta, né ordini scritti, né testimonianze valide" che dimostrino l'esistenza di questa organizzazione parapoliziesca all'inizio degli anni ‘70.
Qualcosa di assolutamente falso, perché in quei giorni si sapeva già perfettamente che esistevano dei gruppi parapolizieschi e paramilitari (come DAN, JUP e CCT), e che i loro membri agivano nella clandestinità e commettevano sistematicamente attentati, ovviamente dotati di armi fornite dal governo e con una logistica di uguale provenienza.
Come dato complementare dobbiamo dire che ‘El Muerto’, negli ultimi tempi fornisce un'informazione molto concreta sull'esistenza degli squadroni della morte.
Nella relazione scritta da Carlos Peláez si legge: "Il 24 febbraio 1972 i tupamaros sequestrarono Nelson Bardesio il quale avrebbe confessato nella ‘Cárcel del Pueblo’ l'esistenza di un'organizzazione terroristica formata da civili, militari e poliziotti responsabili del sequestro e della morte dei tupamaros Abel Ayala, Héctor Castagnetto, Manuel Ramos Filippini e Ibero Gutiérrez. Bardesio avrebbe ammesso di essere stato addestrato a Buenos Aires, mentre altri membri in Brasile e che le autorità di entrambi i paesi avevano fornito armi ed esplosivi agli squadroni. Avrebbe confermato che gli squadroni avevano fatto attentati con esplosivi contro le abitazioni di diversi avvocati difensori di prigionieri politici e realizzato un sequestro a scopo di estorsione contro l'avvocato di un'impresa tessile. La testimonianza più sconvolgente di Bardesio sarebbe stata la sua partecipazione diretta insieme ad altri membri degli squadroni della morte nel sequestro di Castagnetto e la rivelazione che il suo cadavere era stato gettato sulla baia di Montevideo”.
Il coordinatore dell’Osservatorio Luz Ibarburu, Raúl Olivera, ha fornito ad Antimafia Dos Mil un'informazione alquanto esplicativa sui delitti di Sofía.
"Tra i delitti imputati a Sofía (per suo espresso coinvolgimento), c’è la sparizione di Héctor Castagneto avvenuta il 17 agosto del 1971 e gli omicidi di Manuel Ramos Filippini, il 31 luglio del 1971 e di Ibero Gutiérrez Ruiz, il 28 febbraio del 1972".
E aggiunge: "Héctor Castagneto fu sequestrato per strada mentre stava consegnando alcuni dischi che aveva venduto nella zona di Malvín. Si sa che lo assassinarono ma il corpo non fu mai trovato. Il cadavere di Ramos Filippini fu rinvenuto sulle rocce della spiaggia di Pocitos, dietro il Parador Kibón. Aveva numerosi impatti/colpi di proiettili e le braccia rotte. Accanto al corpo c'erano dei volantini del "Comando Caza Tupamaros (CCT) Óscar Burgueño". Ibero Gutiérrez fu probabilmente sequestrato in strada. Il corpo fu trovato il giorno dopo lungo il sentiero che porta a Las Tropas, direzione Melilla. Aveva 13 colpi: "Anche tu hai chiesto perdono. Proiettile per proiettile. Morte per morte. Comando Caza Tupamaros" diceva il cartello che gli assassini lasciarono di fianco al corpo".
Come catturarono questo repressore?
Dall'informazione proveniente dalla Procura che segue il caso, personale dell’INTERPOL, il pomeriggio del 8 gennaio effettuò un’operazione nell'edificio "Miami Boulevard" sito alla fermata 5 di Punta del Este, dipartimento di Maldonado. Nello specifico furono perquisiti gli appartamenti 306 (dove nel periodo estivo risiede Miguel Sofía) e 204 (dove risiede sua figlia).
Le perquisizioni portarono al sequestro di documentazione compromettente, e non trovando Sofía, rapidamente in modo congiunto sono entrate in azione la Procura, il personale della Direzione di Crimine Organizzato e l'Interpol. In una vera corsa contro il tempo, in un azione quasi cinematografica, varie squadre di poliziotti, grazie ai molti indizi che indicavano che il latitante Sofía si trovava nella zona di Pocitos, in strada, o in qualche negozio o ristorante, sono entrati in azione nelle strade del quartiere vicino alla rambla, e verso le 20:00 Miguel Sofía è stato individuato mentre camminava lungo la strada. Una volta identificato e confermata la sua identità gli agenti dell’Interpol si sono avvicinati senza dargli modo di reagire gli hanno intimato subito l’alt, ammanettandolo e caricandolo su un veicolo ufficiale, sotto stretta sorveglianza. Al momento del fermo, ovviamente, Sofía cercò di nascondere la sua reale identità mostrando un documento con un nome falso: Adolfo Aldo Casaballe Lapido, secondo quanto riferisce "El Muerto".
Il suo ultimo stratagemma legale non gli è servito assolutamente a niente. Dopo dieci anni di impunità è caduto nelle mani delle autorità, si chiude così un capitolo e se ne apre un altro.
L'Osservatorio Luz Ibarburu, consapevole che dopo la cattura ci sarà un processo giudiziario, che sarà fondamentale, determinante e vitale per distruggere la cultura imperante dell'impunità, ha emesso pubblicamente una dichiarazione, condivisa integramente dalla redazione di Antimafia Dos Mil.
"L'Osservatorio Luz Ibarburu (OLI) sottolinea che sebbene l’arresto di Sofía apre la possibilità che la giustizia indaghi più a fondo sul funzionamento dello Squadrone della Morte e sulle complicità che resero possibile la sua fuga, le entrate e uscite dal paese durante il decennio di latitanza, metterà anche a prova l'efficacia del sistema giudiziale per neutralizzare le strategie dilatorie che senza dubbio porranno in essere affinché continui a regnare l'impunità".

Foto di Copertina: www.elmuerto.com

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