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el chapo guzman c abc newsRiconosciuti tutti e 10 i capi d’accusa
di Karim El Sadi

Potrebbe scontare la pena in una prigione di isolamento in Colorado

Dopo una vita criminale seconda solo a quella di Pablo Emilio Escobar, arresti, fughe spettacolari, traffici di droga, eccidi, e ancora incarcerazioni ed evasioni hollywoodiane, Joaquin “El Chapo” Guzman ha udito per la prima volta il colpo di martelletto di una giuria americana in un processo a suo carico. Dopo 6 giorni di camera di consiglio El Chapo è stato condannato per tutti i 10 capi d’accusa. Dall’associazione a delinquere nell'ambito della criminalità organizzata al traffico di droga, dal riciclaggio di denaro sporco all'uso e traffico di armi da fuoco. Fermo e impassibile, alla lettura del verdetto, El Chapo non è stato tradito da alcuna emozione come ha sempre fatto nel corso di tutte le udienze alle quali ha sempre partecipato fino ad ora. A lungo silente osservatore ha cambiato espressione solo quando sua moglie, l’attrice Emma Coronel Aispuro (ultima avventura amorosa del Narcos), lo ha salutato e lui le ha risposto con un sorriso.
Il “signore della droga” dovrà scontare l’ergastolo in un carcere di isolamento e massima sicurezza in un deserto del Colorado in compagnia di terroristi e altri criminali. Sarà il giudice federale Brian Cogan a mettere la parola fine a questo processo il prossimo 25 giugno con l’annuncio dei dettagli della pena, anche se la squadra di avvocati del narcotrafficante messicano tenterà ancora una volta la carta dell’appello. “Questa condanna - ha detto il procuratore Richard Donoghue - è una vittoria per tutte le famiglie americane che hanno perso dei cari nel buco nero della tossicodipendenza. È una vittoria per il Messico dove centomila esseri umani hanno perso la vita nelle violenze legate alla droga”.
Un processo “monstre“ quello a carico del “re dei narcos” aperto lo scorso 5 novembre con oltre 13 mila fascicoli (inizialmente dovevano essere 25.000) e una giuria composta da 12 membri protetta dall’anonimato e da servizi di sicurezza. Nel corso dei 3 mesi di dibattimento i giudici e gli avvocati hanno visto sfilare 56 testimoni tra alleati o traditori, collaboratori di giustizia ed ex fiancè di Guzman che hanno disegnato un quadro chiaro e spaventoso dell’impero del boss del potente cartello di Sinaloa. Un impero dal patrimonio di 14 miliardi di dollari, caratterizzato da una brutalità inaudita fatta di efferati assassinii, spietate torture, stupri, violenze su donne e minorenni, ma anche di tecniche sempre più raffinate e sofisticate che hanno rivoluzionato il traffico di droga. Tecniche che hanno permesso ai tentacoli del cartello di Sinaloa di distendersi fino ai meandri del continente americano, dai confini con il Brasile alle strade di New York, Los Angeles e Chicago. Un processo, quello di Joaquin Guzman, che rimarrà negli annali della città di New York che in questi mesi è stata paralizzata più volte per consentire il passaggio dei blindati della polizia che trasportavano l’imputato dal carcere di massima sicurezza di Manhattan fino alle aule del tribunale. Il suo vissuto ha ispirato romanzi, film e fiction televisive. Come la serie tv “Narcos: Mexico” in onda su Netflix il cui attore protagonista Alejandro Edda che impersona il patròn di Sinaloa è andato a trovare il suo sosia della vita reale in aula nella Grande Mela. Joaquin “El Chapo” Guzman verrà dunque quasi certamente condannato all’ergastolo. Nonostante la condanna e i numerosi arresti il cartello di Sinaloa tutto si potrà dire meno che sia stato sconfitto, anzi, il vice di Guzman, Ismael Zambada Garcìa, resta latitante ancora a piede libero. Ciò potrebbe confermare la tesi della difesa di Guzmann secondo la quale sarebbe Garcìa, e non il loro assistito, il boss dei boss, il vero Signore del crimine, colui che avrebbe tenuto a libro paga due presidenti del Messico (con una tangente da 100 milioni di dollari per l’ultimo, Enrique Pena Nieto), decine di ministri, giudici e capi della polizia, nonché la quasi totalità dei parlamentari della Colombia. Quel che è certo è che con l’assenza di Guzman i cartelli messicani si stanno contendendo il territorio per il monopolio del traffico di stupefacenti. Ciò ha causato dal gennaio al febbraio 2016, in coincidenza con la cattura di “El Chapo” un incremento del 52% delle morti nello Stato di Sinaloa. Una violenza che non accenna a fermarsi, sempre a seguito della caduta di El Chapo, nel maggio scorso si è segnalata una preoccupante crescita costante degli omicidi arrivando fino a 2534, la cifra mensile più alta degli ultimi 21 anni, quando si iniziarono a registrare i delitti dei narcos. In ogni caso a ripagarne è sempre la brava gente.

Foto © ABC News

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