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sheql c imagoeconomicadi Margherita Furlan
Con un colpo di spugna, negli Stati Uniti il senatore repubblicano Rand Paul ha posto un “blocco” all’iter legislativo dello "United States - Israel Security Assistance Authorization Act”, legge che autorizzerebbe il più gigantesco finanziamento di uno stato estero, letteralmente a fondo perduto, che gli Stati Uniti abbiano mai elargito in tutta la loro storia, un “prestito” di 38 miliardi di dollari, con buona pace del contribuente americano. Immediatamente l’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) ha attivato una massiccia campagna di denigrazione contro il senatore Paul, anche via Facebook. In aiuto all’AIPAC è arrivato il gruppo Christians United for Israel (CUFI), che, per esercitare una forte pressione sul senatore repubblicano, ha organizzato un’operazione di mail bombing indirizzata all’ufficio del politico e, allo stesso tempo, ha pesantemente investito in pubblicità diretta verso gli elettori di Paul nel Kentucky.

L’attuale "sospensione" nel dibattito parlamentare del pacchetto di 38 miliardi di dollari a Israele, deriva dallo scetticismo da sempre dimostrato dal senatore nei confronti degli aiuti degli USA a Paesi stranieri in generale, ma a Washington, fa notare Paul Craig Roberts dalle colonne del suo blog, sono già in molti gli analisti a osservare come sia difficilmente giustificabile un’esborso di siffatto genere dalle casse del Tesoro americano a favore di un Paese dotato di un arsenale nucleare composto da almeno 200 testate, seppure non dichiarate ufficialmente. Fornire aiuti a Israele dovrebbe infatti essere illegale ai sensi dell'emendamento Symington del 1961, nonché a causa del fatto che Tel Aviv ha sempre rifiutato di firmare il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP). Come non ha mai ratificato la Convenzione sulle armi chimiche CWC (Chemical Weapons Convention) né la Convenzione sulle armi biologiche BTW (Biological and Toxin Weapons Convention).
Per giustificare le forniture militari, nel 1969 il presidente americano Lyndon B. Johnson e il primo ministro israeliano, Golda Meòr, giunsero a un accordo: Washington non avrebbe fatto pressioni per indurre Tel Aviv a firmare il TNP, a condizione che quest’ultima s’impegnasse scrupolosamente a mantenere una forte ambiguità sulle sue attività nucleari. E’ così che Shimon Peres, il padre della bomba, nel suo libro, “Il nuovo Medio Oriente”, potè affermare in tutta tranquillità che la centrale di Dimona fu costruita semplicemente “a scopo dissuasivo”.

Oggi, ancor più di ieri, la lobby anglo-israeliana trae vantaggio dalla sua capacità e di plasmare la narrativa dei media a suo favore e di utilizzare incentivi finanziari. Per i politici che non soccombono subito alla corruzione, c'è sempre l'opzione di una pressione diretta, che negli Stati Uniti e in Gran Bretagna consiste nell'interferenza nel sistema politico diretta a rimuovere i critici, o attraverso la promozione di uno scandalo ad hoc, o con il sostegno finanziario a candidature alternative. Come nel caso di William Fulbright. D’altronde le campagne elettorali non sono gratuite per nessuno.
Eppure sembra d’intravedere un’inversione di tendenza.
L'elezione di almeno tre membri del Congresso, Ilhan Omar, Rashida Tlaib e Alexandria Ocasio-Cortez, che potrebbero essere disposti a mettere in discussione la tolleranza dell’influenza sulla politica della lobby sionista, denota una leggera modificazione nell'allineamento di parte del partito democratico, dove il denaro ebraico avrebbe un’influenza determinante. L’elezione riflette comunque il punto di vista della base del partito, come dimostrato da un recente sondaggio secondo il quale gli elettori dem favoriscono Israele rispetto alla Palestina con un risicato margine del 2%, il 27% contro il 25%. Il resto degli intervistati ha dichiarato di non parteggiare per nessuna delle due parti.

Ma ciò che è più significativo è che anche le chiese cristiane hanno in parte smesso di tacere, nonostante la consapevolezza dell'immenso potere delle lobbies ebraiche. Difatti, anche se Israele si vanta di offrire un rifugio sicuro ai cristiani, ogni tanto emergono resoconti che suggeriscono qualcosa di diverso dalla narrazione del governo Netanyahu. Sacerdoti sono stati molestati e aggrediti da alcuni zeloti lungo le strade di Tel Aviv senza che questi ultimi nutrissero alcun timore di ripercussioni. Chiese e fondazioni cristiane vengono spesso saccheggiate o deturpate da graffiti osceni, mentre il governo israeliano non ha ancora bloccato Il contestato progetto di legge che porterebbe alla confisca delle terre ecclesiastiche poste in vendita a investitori privati. La Chiesa presbiteriana americana ha recentemente guidato l'accusa. All’assemblea generale del giugno scorso l’organizzazione ecclesiastica ha approvato una risoluzione che condanna l'apartheid israeliana contro i palestinesi chiedendo a gran voce: "Dì al Congresso: 70 anni di sofferenza sono sufficienti! Fermare l'omicidio, ritenere Israele responsabile e sostenere i diritti umani per tutti!”  Ora è il turno dei Quaccheri in Gran Bretagna, che hanno appena vietato qualsiasi investimento da parte della Chiesa in compagnie che sostengono "l'occupazione militare dei territori palestinesi da parte del governo israeliano”, accusata d’apartheid e di commercio di schiavi.

Chiosa Philip M. Giraldi, ex specialista dell'antiterrorismo e ufficiale della CIA, ora commentatore televisivo e direttore esecutivo del Council for the National Interest: “Possa la consapevolezza che l'interferenza d’Israele nei Paesi amici danneggia la loro stessa democrazia, finalmente far sì che alcune persone nel Congresso, nei media e persino nella Casa Bianca inizino ad ascoltare”, riferendosi evidentemente anche alle voci estranee ai soliti cori devozionali.

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