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operai acciaio c reuters china dailydi Giulietto Chiesa
La guerra commerciale tra USA e Cina è cominciata alla grande. E produrrà sfracelli anche da noi. L’ha cominciata Donald Trump è il motivo è evidente: ne ha bisogno l’America, anzi non può evitarla
Il motivo lo si vede nelle cifre. Il saldo commerciale USA è pesantemente negativo. Troppe importazioni e poche esportazioni. Di questo sbilanciamento complessivo la fetta di gran lunga più grande è quella dell'esportazione cinese verso gli USA: 375 miliardi di dollari. La Cina esporta negli Stati Uniti un terzo in più di quanto non importi dagli Stati Uniti.
Ovvio che la Cina non ha motivi urgenti di preoccuparsi. Il problema è tutto americano. Due round di negoziati sono finiti nel nulla: l'ultimo a Pechino il 4 maggio scorso. Ma le crude cifre dello "sbilancio" non rivelano, da sole, una situazione perfino più seria. Lo si vede meglio leggendo l'elenco delle merci americane, che Pechino ha "sanzionato" in risposta ai 50 miliardi di dollari di dazi impostigli da Washington.
Un elenco davvero curioso, dove in grande maggioranza appaiono merci come carne di maiale, fagioli e legumi, frutta, vino, motociclette, automobili. Francamente sbalorditivo che un paese che viene considerato, ed è, una massima potenza mondiale esporti prevalentemente merci agricole e a basso, o bassissimo, contenuto tecnologico.
Viceversa l'elenco americano delle merci cinesi da sottoporre ai nuovi dazi è costituito prevalentemente di prodotti ad alto contenuto tecnologico. Cioè è la Cina che svolge il ruolo di avanguardia della modernità. Una Cina che vuole (e può) esportare la sua tecnologia più raffinata, a cominciare dai suoi cellulari, a bassissimo costo relativo, mentre, simultaneamente vuole acquistare dagli Stati Uniti il massimo di tecnologia dal paese che, al momento, è qualche passo più avanti.
Da queste considerazioni emerge con maggiore chiarezza il significato strategico della mossa di Donald Trump: ostacolare in ogni modo la realizzazione del progetto di Xi Jinping, quello del "Made in China 2015", che, in termini politici, si traduce come "conquista del primo posto mondiale nei principali settori tecnologici più moderni".
Potrebbero, gli USA, vendere di più da questi settori, avvicinandosi agevolmente al pareggio tanto agognato ma, in tal modo, consentirebbero ai cinesi di coinvolgersi, di accorciare le distanze. In altri termini, per Trump e per tutte le Silicon Valley americane la questione è come riuscire a realizzare la propria superiorità tecnologica senza fornire nuovi mezzi al concorrente cinese, quello che considerano strategicamente il più pericoloso e sul quale ormai hanno pochi mezzi per esercitare il loro controllo. I dazi, cioè il protezionismo, sono uno di questi. Ma ciò significa la fine della globalizzazione per tutti.
Dunque il mondo intero si trova all'inizio di una situazione inedita in cui i due giganti hanno capacità d'investimento più o meno identiche, mentre la Cina è già in vantaggio quanto a capacità concorrenziale sul mercato internazionale. Per giunta la nuova "Via della Seta", avviata da Pechino, avvolge nelle sue aspettative l'intero continente eurasiatico, cioè qualcosa come quattro miliardi di individui, annunciando alla Cina nuovi e giganteschi vantaggi commerciali.

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © REUTERS / China Daily

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