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di Inés Lépori
Il processo di estradizione di Facundo Jons Huala ha messo sul tavolo, ancora una volta, l’utilizzo del potere giudiziario o degli strumenti giudiziari al servizio degli interessi politici. La realtà supera quasi sempre la finzione e questo è uno dei casi. Da una parte un leader mapuche, una comunità che si difende con pietre e con i loro bambini in braccio dagli attacchi delle forze governativi per proteggere le terre dei suoi antenati e, dall’altro, due Stati nazionali (Cile e Argentina) e gli interessi di chi rimane all’ombra (Gran Bretagna, Stati Uniti, Israele, Italia). Il dato era tratto prima di iniziare la lotta.
È molto difficile esprimere un’opinione senza avere accesso alle carte processuali. Quello che si sa è che nel 2016 il giudice federale Guido Otranto dichiarò nullo il primo processo penale di estradizione contro Jones Huala perché fu dimostrato che la polizia aveva torturato il testimone Gonzalo Cabrera. E un anno dopo la Corte Suprema emise la conferma. È noto che i giudici siano riluttanti a dichiarare nulli i procedimenti giudiziari, e ciò fa supporre che i fatti siano di estrema gravità.
Nel nuovo processo l’accusato si è dichiarato prigioniero politico del governo di Mauricio Macri e ha denunciato di essere stato processato due volte per lo stesso reato. Ha inoltre riferito di correre un serio pericolo di vita nelle carceri del Cile e contestato i proprietari terrieri e la classe politica per negarsi al dialogo con la sua comunità. La difesa di Jones Huala ha insistito nella sua scarcerazione sottolineando il fatto che il suo difeso è un detenuto per questioni politiche e la questione del doppio processo. Il presidente Mauricio Macri, in apertura delle sessioni del Congresso, ha ratificato la difesa a oltranza delle forze di polizia e la logica repressiva iniziata nel 2015 con il suo governo. Infine, il giudice Gustavo Villanueva ha respinto ogni argomentazione e le prove presentate dalla difesa, disponendo per Jones Huala l’estradizione in Cile. Una sentenza che per tutti era già scritta prima ancora che iniziasse il processo.
Non c’è dubbio che ci devono essere delle tesi costituzionali, legali e processuali a difesa del processo in questione, della sentenza e della conseguente estradizione. È probabile che la più pura dottrina legale avalli la decisione giudiziaria. Come non c’è dubbio su altre argomentazioni e dottrine a difesa della non-estradizione. La domanda ancora da rispondere è: per la giustizia non c’è più spazio? Nel tempo degli interessi transnazionali e dei governi più amici dei poteri stranieri che dei loro sudditi, sembra che questa non esista più.
Sull’America latina si dispiegano le ali del nuovo Condor, e con esse sorvola l’ombra di una nuova dottrina di sicurezza nazionale, con la creazione di nemici interni e la stigmatizzazione di gruppi che apparentemente rappresentano un pericolo per gli Stati nazionali con il proposito di raccogliere consenso e attuare la repressione. La NATO ha dispiegato le sue forze nell’Atlantico Sud e necessita di eliminare dal suo cammino tutti coloro che possano fare questioni sulla pianificazione dell’utilizzo della terra e delle risorse strategiche nella Patagonia. Con la Terza Guerra Mondiale che bussa già alle porte, il Comando Sud degli Stati Uniti non metterà in gioco le basi delle Malvine, né la Patagonia, né il controllo dell’Antartide.
Di fronte a questo panorama desolante, la resistenza del popolo mapuche diventa eroica e ci ricorda l’epica storia di Davide e Golia. Per questo motivo meritano la nostra ammirazione, il nostro rispetto e il nostro sostegno.

Foto di copertina: José Guzman, Antimafia Dos Mil

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