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maldonado santiago hijo de todosÈ morto Santiago Maldonado, il suo corpo dirà l’ultima parola perché sia fatta giustizia
di Jean Georges Almendras
Santiago Maldonado è stato trovato morto nel fiume Chubut. Lo ha riconosciuto suo fratello Sergio grazie ai tatuaggi sul corpo.
Dal 1° agosto 2017 un concatenarsi di situazioni e circostanze ha portato a questo epilogo, comune a quegli uomini che decidono di liberarsi dalle pesanti catene dell’individualismo per servire il prossimo. In questo caso per la causa della comunità mapuche.
Dopo il ritrovamento del corpo sono state eseguite le perizie forensi, che speriamo possano far calare il sipario dell’indifferenza e dell’insensibilità del governo. Ma nel frattempo la morte di Santiago ha scosso profondamente la società civile, nonostante l’epilogo fosse già in qualche modo annunciato, considerando le caratteristiche della repressione avvenuta contro la comunità Pu Lof de Cushamen, l'ultima volta in cui Santiago è stato visto in vita.
La famiglia Maldonado, la comunità mapuche, la società argentina, si sono visti obbligati a digerire il boccone amaro della morte di Santiago con lacrime altrettanto amare. Che ci inducono a trasformare il nostro grido di giustizia in un movimento popolare di proporzioni inimmaginabili.
Perchè questa morte non deve restare impunita. E ciò dipenderà esclusivamente dal corso delle indagini, in un contesto che per di più si presenta alquanto intricato e criminale. Il ritrovamento del corpo fa infatti pensare a una rozza messinscena. Il cadavere sarebbe stato posto in un tratto del fiume Chubut in modo che fosse trovato alla luce del giorno, visibile da qualunque punto, a 78 giorni dalla sua scomparsa. Ciò fa pensare, con un po’ di senso comune, che la Gendarmeria c’entra molto con questa morte, perché Santiago quel 1° agosto era nelle sue mani. Il che significa che può averlo ucciso, o avergli negato assistenza (dopo che Santiago era affogato nel tentativo delle guardie di sottometterlo). Vivo o morto, quel giorno la Gendarmeria lo portò via.
Tutto faceva supporre, in quei primi giorni di agosto, che la Gendarmeria sapeva. E taceva, con fredda premeditazione. Oggi, con il corpo di Santiago su un tavolo dell’obitorio giudiziario, tutto sembra ancora indicare un possibile coinvolgimento dei militari. Lo sapeva Maurizio Macri, il Ministro della Sicurezza pubblica Patricia Burlrich, Pablo Nocetti e tutta la sfilza di gerarchi del Gabinetto, insieme al giudice Otranto e gli assessori di governo, ostinati nel coprire la Gendarmeria ad ogni costo? Ho l’impressione di sì.

Rivediamo quindi passo passo alcuni fatti essenziali:
a) sono ricorrenti e coincidenti le testimonianze sul fatto che la zona dove è stato trovato il corpo senza vita di Santiago era già stata rastrellata senza esito positivo;

b) prima del ritrovamento, il giudice Gustavo Lleral era già pronto per perquisire le sedi dell’azienda italiana Benetton (ciò non è avvenuto poiché il cadavere è stato trovato prima nel fiume);

c) il corpo galleggiava nell’acqua all’ingiù e non era impigliato tra i rami;

d) il corpo era visibile da diverse angolature della zona, vale a dire che non era nascosto o mimetizzato in mezzo alla vegetazione del luogo;

e) il corpo è stato ritrovato da un subacqueo della Prefettura argentina durante un’operazione di rastrellamento della zona, alla quale partecipavano anche membri della comunità mapuche insieme alle autorità;

f) il corpo aveva gli stessi vestiti che Santiago indossava la sera che fuggiva dalle guardie dopo la loro irruzione nel territorio del Puf Lof de Cushamen;

g) il corpo, a prima vista, non presentava il deterioramento che dovrebbe avere dopo 78 giorni in acqua, a meno che non fosse stato tenuto preservato a basse temperature.

Rimosso il corpo di Santiago fra la commozione degli osservatori dell’APDH, la famiglia Maldonado, membri della comunità mapuche e lo stesso Giudice Federale Gustavo Lleral, il caso Maldonado si è trasformato all’istante in uno tsunami che già di per se ha avuto delle conseguenze inaspettate.
Santiago Maldonado è sparito forzatamente durante un'irregolare e sproporzionata operazione di repressione della polizia, ad opera di una trentina di agenti della Gendarmeria Nazionale. Un'operazione che si inquadrava nel contesto delle azioni repressive contro la comunità mapuche del Pu Lof di Cushamen, iniziate diversi mesi prima dalle autorità del governo, a seguito di un forte conflitto con l’azienda italiana di Luciano Benetton.
Santiago Maldonado non era un mapuche. Ma un ragazzo con idee anarchiche che mal si sposavano con il modello del giovane che assorbe la cultura consumista e capitalista. Era una persona libera, nobile nelle sue idee e nei valori con i quali era stato educato.
La causa dei mapuche, che mira a recuperare le terre ancestrali del popolo, si è scontrata con le pretese di Luciano Benetton e del suo intero impero della moda, che ha corrotto con i suoi grandi capitali i cuori e il potere dei governanti e dei funzionari pubblici, apparentemente sul posto per difendere la sovranità e gli interessi nazionali. Dai quali, evidentemente, è escluso il popolo mapuche.
In occasione della nostra presenza nella provincia di Chubut a metà agosto (poco dopo la sparizione forzata di Santiago) abbiamo notato che nei terreni circostanti di proprietà di Benetton, tutte le strutture dell’imprenditore italiano offrono la copertura logistica e istituzionale alla Gendarmeria nazionale. Come a dire che i vincoli tra l’apparato privato Benetton e l’apparato statale, con il volto della Gendarmeria Nazionale erano e sono estremamente legati tra loro. Ed a interferire in quelli interessi in comune ci sono le comunità mapuche, che rivendicano le loro terre.
L'ipotesi della sparizione forzata di Santiago ha avuto il suo peso sin dall’inizio. Lo stesso che ha avuto l'atteggiamento del Giudice Guido Otranto nel momento di avviare le indagini, quando ha cercato in ogni modo di delimitare le responsabilità della Gendarmeria. Tale è stata la sfacciataggine della parzialità di Otranto che gli avvocati querelanti lo hanno ricusato e finalmente il Tribunale di Appello lo ha sospeso dal caso, ma senza alcun tipo di misura o ammonimento.
Adesso si apre una nuova tappa per ricostruire i fatti a ritroso e risalire al momento esatto in cui i mapuche erano inseguiti e dell'attimo in cui Santiago non proseguì con loro. Di quando sentirono uno sparo di fucile e qualcuno che gridava “lo abbiamo". Del momento in cui videro i gendarmi portare via Santiago su un Unimog per poi allontanarsi dalla zona a bordo di un camioncino bianco senza una targa distintiva. Restano ancora molti interrogativi, perchè visti i fatti è impossibile supporre che non ci siano esponenti militari coinvolti in questa sparizione.
Nell'autopsia effettuata all'Obitorio Giudiziario di Buenos Aires, il Giudice Lleral ha informato che nel primo esame alla presenza di 56 periti qualificati (più due forensi osservatori designati dalla famiglia Maldonado), si è arrivati alla conclusione che il corpo di Santiago non presentava lesioni. Cosa è successo allora? Il giudice Lleral ha informato che dopo l'autopsia si sapranno altri dettagli, in particolare la causa e la data della morte. Ma se Santiago era già morto "affogato" quando è stato catturato, e portato, crediamo, in un punto non molto lontano, non ci troviamo di fronte ad un gravissimo delitto commesso da funzionari che hanno manipolato il corpo per trasportarlo? Allo stato attuale tutto fa supporre che una buona parte di quei 78 giorni il corpo sia stato preservato a basse temperature. Dove? Quando e perché? Quali menti criminali ci sono dietro?
Un vero nodo gordiano che bisognerà sciogliere con premura. I periti forensi devono offrire al Giudice Lleral e ai cittadini dati precisi dell'autopsia per continuare a mettere insieme i pezzi. Ma è innegabile sin da adesso che la Gendarmeria Nazionale ha enormi responsabilità nella repressione illegale del 1° agosto, nella sparizione forzata di Santiago, nella sua morte e nell'omertà sulla sua fine. Così come il governo di Macri e i suoi massimi gerarchi del Gabinetto, sotto la guida di Patricia Bulrich.
E l’azienda Benetton? Non credo sia esente di responsabilità. Sicuramente c'è molta strada da fare per far emergere i fatti accaduti. Ma forse la sua partecipazione nel conflitto con le comunità mapuche è maggiore di quanto si possa immaginare.
Tutti, istintivamente, chiediamo giustizia per gli esecutori. Ma anche i mandanti, in questo caso, sembrano conoscere molto bene il territorio, la zona, i vincoli e le politiche di Stato.
Quando il dolore della famiglia Maldonado viveva uno dei momenti più drammatici, dopo il riconoscimento del corpo di Santiago, il Presidente Macri ha telefonato alla madre di Santiago, esprimendo la propria solidarietà. Sergio Maldonado, fratello dell'attivista, lo ha definito ipocrita.
I prossimi giorni saranno determinanti. Se la Gendarmeria Nazionale inizialmente ha cercato di rimanere estranea a quanto accaduto a Santiago, oggi dubito che possa farlo. Dal momento stesso in cui i funzionari coinvolti si sono fatti carico di Santiago, l'istituzione si è impantanata ancora di più. E continua a farlo, insieme al governo Macri.

Foto di copertina www.rtsepamas.com

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