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caceres berta salutodi Jean Georges Almendras
Le detonazioni dei proiettili lacerarono la notte ed il corpo dell'attivista indigena lenca, Berta Cáceres, nelle prime ore dell’alba del 3 marzo 2016 (è trascorso già un anno), riducendo in frantumi la tranquillità dell’abitazione dove lei ed un altro ambientalista messicano - Gustavo Castro, che risultò ferito - dormivano, in una regione della vicina terra onduregna. Infransero anche l'emblematico (e mediatico) anello di una catena che Berta rappresentava, quello della lotta legittima in difesa della terra lenca.
Le pallottole killer sparate dagli assassini rappresentarono un sistema altrettanto omicida, falciando la vita di una donna unica ed incredibilmente integra. Anche lei, come altri, un giorno decise di varcare (nella solitudine propria degli eroi) le soglie dei portici dell'ipocrisia e della sottomissione, portando avanti la lotta ambientalista per la sopravvivenza del suo popolo, agendo liberamente, senza legami o condizionamenti, sostenuta e fortificata dal suo livello di coscienza e da un'etica e un carisma invidiabili ed eccezionali.   
Berta Cáceres era una donna coraggiosa - come si addice ad un’indigena - vissuta in un momento storico del terzo millennio dove abbondano complessità, ingiustizie sociali e soprusi, nel nome del potere, sinonimo del capitalismo. Non si lasciò intimorire ed ebbe il coraggio di assumere ed affrontare tutti i rischi trovati lungo la sua traiettoria. Uno di questi era appunto morire per la causa che aveva abbracciato. Un rischio che alla fine (purtroppo), si concretizzò, lasciando a noi (ed ai suoi fratelli indigeni), la sua assenza fisica, ma non quella ideologica, combattiva o, se vogliamo spirituale. La morte di Berta Cáceres - sfortunatamente per gli assassini ed i mandanti - non è stata altro che l'impulso più inaspettato ed incisivo per consolidare una resistenza ed una mobilitazione indigena senza precedenti, in Honduras e nella regione, ma anche nel mondo.  
La costruzione di una diga di sbarramento idroelettrica nella comunità di Rio Blanco fu una delle cause che motivò la lotta dei lenca, guidati da Berta Cáceres che addirittura venne insignita dal Premio Goldman, un premio Nobel per l’ambiente che l’ha immortalata portandola sugli scenari mediatici più inimmaginabili per lei e la sua lotta. Un premio che rallegrò la sua famiglia, i compagni di lotta, i collaboratori e tutti coloro che abbracciarono la stessa causa, le preoccupazioni ed i successi. Ma anche che irritò i suoi nemici, coloro che pianificarono l'attentato nell’ombra.  
Berta Cáceres è stata una donna che ha conosciuto riconoscimenti, minacce di morte, ore ed ore di mobilitazioni nei paesi, marce sotto il sole e la pioggia, salendo colli, attraversando boschi; una donna che ha conosciuto contrattempi, delusioni, che ha avuto incontri con i suoi compagni di lotta ma anche con i suoi oppositori, allontanamenti, amicizie e lealtà, ma anche tradimenti. Fino a che un giorno, le menti criminali dei potenti di sempre, la strapparono da noi.  
E noi? Dalle nostre redazioni e scrivanie, non abbiamo potuto fare niente per evitare la sua morte. Noi, che ben poco abbiamo potuto conoscere da vicino i sacrifici di questa attivista lenca e di coloro che l’hanno stoicamente affiancata fino ai nostri giorni.
Se per qualche istante ci fossimo messi nei panni di Berta o di qualsiasi attivista membro di una comunità indigena o contadina del Sudamerica, forse avremmo potuto fare molto di più, magari impedire l’attentato diffondendo tutte le istanze e le rivendicazioni della sua lotta, dei suoi patimenti e difficoltà, della repressione della polizia criminalizzando le sue rivendicazioni, creando coscienza tra la popolazione per disarticolare le cospirazioni contro di lei.
Ed oggi, cosa potremmo fare? Come primo passo, insieme al Consiglio Civico Organizzazioni Popolari e Indigene Honduras, (di cui era leader proprio Berta Cáceres), sarebbe il caso (quasi un obbligo), di appoggiare energicamente le denunce che mettono allo scoperto le gravi incongruenze registrate in fase di indagine dell’omicidio della dirigente lenca. Sarebbe il caso, inoltre, secondo quanto riferisce il quotidiano la Diaria dell'Uruguay, di divulgare le denunce dei portavoce del Consiglio: "Ancora le autorità di Honduras pretendono di giustificare la loro inefficienza nell’arrestare i mandanti dell’assassinio di Berta Cáceres che, dai loro comodi posti, hanno dato ordine di ammazzarla, portando in Tribunale quattro giovani sicari e tre loro intermediari e chi ha pagato loro. Questo caso è manipolato dalle alte sfere e tutto ciò che circonda le indagini mira all'impunità".
Ma c’è dell’altro, perché dal seno stesso del Centro per la Giustizia e Diritto Internazionale è stata duramente messa in questione la mancanza di trasparenza del processo giudiziario, a discapito del diritto delle vittime a partecipare, criticando inoltre che "non è chiaro il ruolo che hanno rivestito i sospettati, poi imputati, e che non si conoscono i mandanti dell’omicidio". Inoltre, Amnesty International denunciò "la vergognosa assenza di un'investigazione effettiva per trovare i mandanti del brutale omicidio di Caceres" sottolineando che in questo modo si "invia un terrificante messaggio alle centinaia di persone che osano manifestare contro i potenti".
I potenti non ricorderanno Berta Cáceres. Tanto meno i boia che hanno premuto il grilletto, i criminali che hanno ordinato l'attentato o chi rimane indifferente alla sua e ad altre battaglie.
Noi la ricorderemo, ma dobbiamo avere presente, come fosse un dovere ineludibile, che limitarci semplicemente a ricordarla è poco. E non basta.

* Foto di Copertina: washingtonhispanic.com

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