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Così scrivevo due anni fa in "Radha. Le radici della violenza sessuale in India".

Le difficoltà che la lotta alla violenza di genere erano e sono riscontrate in India, non sono così differenti da quelle che si incontrano in Italia e nei Paesi occidentali. I rivestimenti ideologici possono essere diversi, ma la realtà, come scrive l'appello NonUnaDiMeno, è che "il femminicidio è solo l'estrema conseguenza della cultura che lo alimenta e lo giustifica. E' una fenomenologia strutturale che come tale va affrontata".
L'unica possibilità di debellare la violenza di genere è che sia condivisa - sottolineo: condivisa e non "riconosciuta", ché il riconoscimento è pur sempre una forma di paternalismo - che sia condivisa una cosa in fondo molto semplice, persino ovvia: che la donna ha completa ed esclusiva potestà sul proprio corpo.
Le donne hanno perfettamente ragione a sostenere che questo viene ammesso a parole ma negato nei fatti. Ad esempio quando nel grembo di una donna nasce una nuova vita. E' chiaro che in questo caso nascono contraddizioni, di carattere biologico e sociale. Contraddizioni con cui occorre fare i conti. Ma esse non possono negare l'unico principio che deve contare se veramente non si odiano le donne.
E in tutti gli altri casi non c'è nemmeno una parvenza di contraddizione con cui fare i conti, ma esclusivamente un esercizio di sopraffazione. E' così nella violenza domestica, per dirne una, un reato civile e non penale in India, spesso nascosto da paure e superstizioni sociali ovunque, anche da noi.
I casi in India di violenza di genere vengono ampiamente riportati, studiati e dibattuti qui in Occidente. Ma noi Occidentali dobbiamo chiederci come mai, sia nelle statistiche ufficiali sia nelle stime delle associazioni femministe, lo stupro e la violenza di genere si addensano procedendo da Est a Ovest e da Sud a Nord.
Forse bisogna incominciare a prendere atto che il "progresso" non delimita zone di sicurezza; semplicemente perché non ne ha nessuna capacità, non è nemmeno il suo compito. Dobbiamo allora far intervenire finalmente altre categorie e altri obiettivi, come l'emancipazione che è cosa differente dal "progresso".
Il progresso, in India, non ha arginato la violenza di genere. Anzi, l'ha estesa anche a fenomeno urbano e codificata come arma di repressione nelle "zone ribelli".
Ma qui da noi, nell'ultra progredito Occidente, è forse diverso?
Qui da noi il progresso tollera perfettamente che bambini e bambine siano ammazzati a centinaia di migliaia. Nel libro mastro del Potere, sono razionalmente computati come un "prezzo giusto". Il progresso ammette senza tentennamenti che donne, anche giovanissime, possano essere stuprate e le loro madri uccise da tagliagole con le bandiere nere, inviati, armati e finanziati per distruggere una piccola nazione che ha il solo torto di frapporsi tra un impero occidentale e progredito in decadenza e i suoi distopici piani per sopravvivere a se stesso.
Tutte queste cose fanno parte integrante della cultura che alimenta e giustifica la violenza di genere. Il problema è che, a volte senza nemmeno accorgercene, le abbiamo coltivate come una conquista invece di contrastarle come indecenze. E così non sappiamo nemmeno che dobbiamo liberarcene.
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