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1 webdi Georges Almendras
A pochi giorni del secondo anniversario dell’assassinio del giornalista Pablo Medina in Paraguay, abbiamo, da un lato, la stampa di Asuncion che dà ampio eco alla prima del film di Juan Manuel Salinas “Paraguay, droga e banana”, dall’altro, il governo di Horacio Cartes si trova ad affrontare uno dei momenti più difficili e polemici con i settori popolari. Perché i conflitti sociali si stanno aggravando. E perché il governo, ogni istante che passa, sta perdendo credibilità… E perché la trasparenza e l’onestà dell’Amministrazione Cartes, perde solidità (semmai in qualche momento l'abbia avuta). Ma c’è di più, perché il clima politico del paese è così accesso che in questo momento è inimmaginabile pensare che il Potere Esecutivo sia in condizioni ottime per governare: troppe le morti e le differenze sociali; troppa la corruzione e le denunce che riguardano il narcotraffico e, ancora di più, sono tante le manifestazioni di studenti e contadini che puntano il dito contro la “guida” del popolo paraguaiano: Horacio Cartes. Ciò significa che il bicchiere è traboccato. In sintesi, il Paraguay dei giorni nostri è molto lontano dall'essere un paese dove la fratellanza cittadina va a braccetto con l’apparato statale. Al contrario. Cittadinanza e Stato sono letteralmente in conflitto. Un conflitto le cui radici storiche sono a fior di pelle. E la narco-politica continua ad essere una delle vedette del conflitto.
In questo contesto, dove le tensioni sociali sono sinonimo di incertezze (in particolar modo quando si reclama giustizia per cause diverse e in molteplici fascicoli), non sono pochi i settori popolari e studenteschi che cominciano a far sentire la propria voce attraverso proteste e manifestazioni che permettono di creare consapevolezza della grave situazione del Paraguay del 2016.
E non è certamente un caso che il film di Salinas - realizzato comunque qualche anno addietro - esca al pubblico in questo preciso momento: dalla mano di un regista che ha avuto la pazienza ed il coraggio di tuffarsi nella storia del Paraguay, focalizzando la sua attenzione sul narcotraffico e su tutti quei personaggi che hanno fatto parte di questo flagello che oggi si sta estendendo in tutto il mondo, con ramificazioni dovunque e ad ogni livello.
E non per caso il documentario affronta i primi passi del traffico di droga in Paraguay e i legami con il sistema politico ed il contrabbando. Il quadro che emerge lascia in evidenza che note personalità dei partiti politici e del mondo giornalistico sono stati loro complici. È veramente diverso oggi da ieri?
L’ex ambasciatore di Cartes in Argentina, Nicanor Duarte, (oggi un severo critico del governo) ha parlato ai microfoni del quotidiano Ultima Hora sui temi legati al narcotraffico, sull’amministrazione attuale ed il ‘cartismo’ propriamente detto, ed è stato categorico nel dire che lui vede Horacio Cartes come l’imprenditore “la cui utopia è che il Paraguay diventi proprietà delle sue aziende” e per questa ragione “si è circondato di amministratori voraci e assolutamente inefficienti nella gestione pubblica”.

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Nicanor Duarte ha profetizzato che il cartismo “è in ritirata” e che il narcotraffico è la prova del perché non ci sono risultati quanto alla lotta contro l’Esercito del Popolo Paraguaiano (EPP). Ed ha aggiunto: “io credo che gli elementi del narcotraffico sono infiltrati oggi in punti nevralgici dove vengono prese decisioni pubbliche. In passato, in Paraguay, questi settori sponsorizzavano coloro che avrebbero occupato le cariche di rappresentanza politica. Oggi, invece loro preferiscono eliminare l’intermediazione e presentarsi direttamente alle cariche rappresentative o a disputarsi le cariche pubbliche più importanti”.
Le parole di Nicanor Duarte riportano inevitabilmente alla mente del lettore uno dei casi più emblematici di questa nuova metodologia mafiosa (infiltrarsi in luoghi importanti), il caso di Vilmar “Neneco” Acosta Marquez.
Vilmar “Neneco” Acosta Márquez è un cittadino paraguaiano attualmente dietro le sbarre nel carcere di Tacumbu in attesa del processo per la morte del giornalista Pablo Medina. Ma prima ancora era un cittadino paraguaiano che, appoggiato dal Partito Colorado, riuscì ad ottenere la carica di sindaco di una piccola cittadina (Ypejhú), sita lungo la frontiera del Brasile e Paraguay, da dove gestiva l’affare del narcotraffico.
Ma approfondiamo ulteriormente quella metodologia mafiosa di infiltrazione messa in pratica da “Neneco” Acosta, così come da molti altri negli ultimi tempi. I primi di marzo del 2015, in una delle pagine del diario ABC Color si leggeva: “fino a ottobre del 2010 Vilmar “Neneco”  Acosta Márquez era uno sconosciuto abitante di Ypejhú, un piccolo distretto a 337 km da Asunción. Usando il movimento Vanguardia Colorada, guidato dall’ex vicepresidente della Repubblica Luis Castiglioni e da Javier Zacarías Irum, presentò la propria candidatura al municipio del suo distretto. Poco prima delle primarie interne, due dei fratelli di “Neneco” furono crivellati di colpi. Uno di loro morì sul colpo, l’altro lungo il tragitto all’ospedale di Paranhos.
Secondo gli investigatori, l’attacco fu commesso da membri della famiglia Giménez Suárez, noti narcotrafficanti della frontiera, con i quali Acosta Márquez aveva vecchie diatribe. Il problema in quell’occasione riguardava la confisca di circa 5.000 kg. di marihuana pressata ad opera di agenti dell’Antinarcotici della Polizia. Il 17 Febbraio del 2011 Vilmar Acosta Marquez e suo padre, Vidal Acosta, furono arrestati per ordine del giudice Ninfa Mercedes Aguilar, in seguito al ritrovamento di resti di cuoio capelluto di esseri umani nella proprietà di quest’ultimo, sita nel quartiere Virgen de Fatima di Ypejhú. Il giorno dopo furono trovate ossa umane nella stessa proprietà. Entrambi furono portati al carcere di Coronel Oviedo, arresto convalidato dal Tribunale di Alzada, Salto del Guairá, ma poche settimane dopo l’ordine fu revocato e i due furono liberati. "Neneco" venne liberato l’11 marzo, appena due giorni prima delle votazioni interne dell’ANR. Secondo i giudici del caso, il cambio di decisione derivava da un’intromissione a gamba tesa del ministro della Corte Victor Núñez. I giudici che liberarono gli Acosta furono portati a processo e trovati colpevoli di irregolarità ma ricevettero appena un semplice “ammonimento”, come sanzione. Núñez finirebbe rinunciando alla sua carica di ministro del massimo organo giudiziario l’anno scorso”.
Quel che è certo è che Vilmar “Neneco” Acosta riuscì ad occupare la carica di Sindaco con tutti i privilegi che corrispondono ad un funzionario pubblico dei tempi moderni. L’infiltrazione di uno degli uomini forti del narcotraffico nella regione si era concretizzata legalmente. Nessuno potrebbe ostacolare le sue attività e il suo doppio gioco. Solo un uomo ebbe il coraggio di smascherare “Neneco” Acosta. Quell’uomo era un nostro collaboratore e amico, il giornalista Pablo Medina. E le conseguenze furono inevitabili: decisero di ucciderlo. Cioè, toglierlo di mezzo. Falciare la sua vita, unico modo per farlo tacere. Come già avevano fatto con altri suoi colleghi negli anni precedenti, singolarmente con l’avvento della democrazia nel paese. Forse veniva disarticolata la dittatura militare e prendeva posto la dittatura criminale?
Ma la morte di Pablo Medina e della sua assistente Antonia Almada non ha fatto altro che ravvivare il fuoco della consapevolezza che ogni cosa ha un limite. Nell’altalena tipica della condizione umana le proteste e le rivendicazioni di giustizia iniziarono a farsi sentire lungo le vie di Asunción e nelle zone più colpite (e controllate) dal narcotraffico. La palla di neve stava crescendo visibilmente ed il sistema politico iniziava a tremare. Tremavano certe fondamenta del crimine organizzato e molti personaggi iniziavano a guardarsi tra loro, quando ormai era impossibile frenare la concatenazione di reazioni generate dall’attentato contro il giornalista. Reazioni che Vilmar non aveva messo in conto al momento di pianificare e ordinare la morte del giornalista. Infatti, è ritenuto dalla Giustizia il mandante di uno dei fatti di sangue che ha fatto più eco nei media negli ultimi anni.
Acosta rimase latitante per diversi mesi. Forse coperto dalle sue amicizie in ambienti politici e della polizia? Forse grazie anche alla forte impunità che regna ancora in Paraguay?
Fu finalmente catturato in Brasile ed estradato in Paraguay, per essere consegnato in mano alla Giustizia, nonostante i numerosi stratagemmi legali che la sua difesa mise in atto per impedire la sua estradizione. Successivamente fu catturato in Brasile uno dei sicari dell’attentato a Medina, non così un suo complice che risulta ancora latitante.
Nonostante la figura di Vilmar “Neneco” Acosta sia molto mediatica, non raggiunge neanche lontanamente lo spessore dei personaggi trattati nel film di Salinas, dove i protagonisti erano veramente pezzi grossi di un crimine organizzato protetto nell’impunità dei regimi di turno.
Il lavoro realizzato da Salinas è stato meritevolmente valorizzato: principalmente per il suo elevato contenuto di testimonianza e denuncia. Non dimentichiamo che immergersi nei meandri del passato paraguaiano e fare nomi e cognomi di persone coinvolte nella voragine della corruzione attorno alla droga non è (nè è stato) un compito da prendere alla leggera. E bisogna avere ben presente che farlo significa schierarsi dalla parte della verità, e tale scelta, oggi come oggi, può costare la vita a qualcuno. Una scelta che in questo caso viene alla luce in un momento molto opportuno. È tempo di schierarci.
3 webSergio Ferreira, giornalista di EPA, definisce il documentario “un’opera audace. Un film che stimola il dibattito e che speriamo muova il vespaio per fare luce sulla nostra storia recente. Mette il dito nella piaga con il suo documentario”.
Il quotidiano EPA ha pubblicato anche un frammento delle parole di Jorge Figueredo, Direttore di Antimafia Dos Mil Paraguay, che così commenta il film: “Il rovesciamento di Stroessner in Paraguay non fu frutto di una rivoluzione popolare, di una cospirazione delle diverse organizzazioni civili e politiche. La cupola militare corrotta e mafiosa, legata soprattutto al narcotraffico, destituì Stroessner appunto, ma non sgretolò il sistema criminale che prevalse per decenni. In poche parole: fu cacciato via Stroessner ma i suoi eredi politici, economici e persino culturali sono rimasti, adattandosi ai tempi. Da criminali si sono trasformati in grandi democratici riuscendo in qualcosa che nemmeno i nazisti erano riusciti a fare in Germania dopo la seconda guerra mondiale”.
Un collega del quotidiano Ultima Hora, Sergio Cáceres, è stato ancora più preciso: “È innegabile che ci vuole grande coraggio per rendere pubblica la vita, ben nota ma censurata, del generale Andrés Rodríguez come narcotrafficante. In questo nostro paese di fragile memoria e di codardi silenzi, questo film segna una pietra miliare. Dovrebbe essere proiettato in tutte le scuole affinché i giovani conoscano di più la nostra storia e intraprendano il lodevole compito di demistificare i nostri presunti eroi. I genitori hanno la brillante opportunità di vedere questo film proiettato nei cinema del paese. Bisogna andare a vederlo, non solo come buona abitudine artistica e culturale, ma come azione politica ed etica”.
Il giornalista Andrés Colmán, sempre su Última Hora, scrive: “Se l’immagine che il lettore ha è quella di un Juan Manuel Salinas giornalista frivolo, autore di rubriche di pettegolezzi e animatore di programmi televisivi teatrali, probabilmente si sorprenderà. Il Salinas che esordisce come regista cinematografico sembra un’altra persona: un buon ricercatore giornalistico che si immerge in alcuni dei temi più scottanti e cruciali del panorama politico e criminale in Paraguay; con grande abilità narrativa, audiovisiva e solidità documentaristica”. E aggiunge: “Il suo valore principale è l’audacia ed il coraggio nel non temere di chiamare narcotrafficante l’ex presidente Andrés Rodríguez, che molti considerano un eroe civile o il “padre della democrazia”, e lo fa addirittura con una buona base documentale, con testimonianze credibili, con una sceneggiatura ben strutturata che da solidità e coerenza al racconto”.

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“Ma il film di  Juan Manuel Salinas va oltre l’accusare tutta una classe politica di essere stato molto accondiscendente - in realtà complice - nell’accettare che un generale narcotrafficante fosse il primo presidente democratico del Paraguay, perché si stavano gettando le basi di un sistema narco politico che è andato consolidandosi fino ad oggi. Il film di Salinas è un documento che riaccende la memoria e che deve essere visto per capire molte delle cose che avvengono attualmente”, continua Colman.
E insiste: “C’è un momento molto eloquente nel film, la sessione del Congresso Nazionale in sede dibattimentale per procedere o meno a indagare il senatore a vita Andrés Rodríguez di fronte alle accuse di essere un narcotrafficante. Vedere volti noti nella politica - di allora e di oggi - ascoltare frammenti dei loro discorsi in difesa del “padre della democrazia” risulta patetico. Per questo motivo, il film di Salinas è un documento che riaccende la memoria che deve essere visto per comprendere molte delle cose che accadono attualmente” conclude Colman.
Ed è così effettivamente. Focalizzare l'attenzione sul narcotraffico del Paraguay di ieri significa farlo su quello di oggi. Significa che capiremo il presente solo se capiremo accuratamente il passato.
E capire significa denunciare ed impegnarsi. Oggi abbiamo sufficienti elementi per capire, denunciare ed impegnarci.

* Foto Copertina: www.youtube.com (Ex presidente Andrés Rodríguez)
* Foto 2: www.espectador.com (Horacio Cartes)
* Foto 3: www.epa.com.py (Regista Juan Manuel Salinas)
* Foto 4: www.epa.com.py (Andrés Rodríguez)

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