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regeni quadro manifL’ammissione degli egiziani all’incontro tra le Procure. Gentiloni alla famiglia: segnali positivi
di Giovanni Bianconi
Roma. La comunicazione negata in passato dagli inquirenti locali e ora ammessa dal procuratore generale egiziano Nabeel Sadek fa saltare sulla sedia i pubblici ministeri romani e accende un faro sul sequestro e l’omicidio di Giulio Regni: il giovane ricercatore friulano finì nel mirino della polizia del Cairo a gennaio 2016, due settimane prima della sua scomparsa. Ufficialmente solo per tre giorni, da 7 al 10, ma è plausibile che le «attenzioni» siano proseguite anche dopo e abbiano a che fare con il rapimento del 25 gennaio, le successive torture, la decisione di ucciderlo e riconsegnarlo cadavere il 3 febbraio.

È la novità più importante emersa da due giorni di incontri tra Sadek, accompagnato dal suo team investigativo, e il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone con il sostituto Sergio Colaiocco, che stanno cercando di verificare le indagini egiziane e raccogliere elementi per arrivare alla verità. Riunione definita «confronto proficuo» dal comunicato congiunto firmato da Pignatone e Sadek, che sancisce la ripresa della collaborazione giudiziaria interrotta dopo il fallimento del vertice di aprile (dove non c’era il procuratore generale ma altri magistrati, accompagnati da esponenti della polizia egiziana che stavolta sono rimasti a casa) a seguito del quale il governo richiamò l’ambasciatore, non ancora tornato al Cairo.

L’inchiesta a carico di Regeni fu la conseguenza di un esposto presentato da Mohamed Abdallah, all’epoca capo del sindacato autonomo dei venditori ambulanti sui quali Giulio stava conducendo delle ricerche per conto dell’Università di Cambridge, e a cui s’era impegnato a far ottenere un finanziamento di 10.000 sterline. Ma i soldi non arrivarono e il 7 gennaio Abdallah denunciò Regeni, definendo strane e insistenti le sue domande nell’ambiente degli ambulanti. Quanto bastava perché la polizia delle infrastrutture pubbliche trasmettesse l’esposto alla polizia investigativa penale, che però dopo tre giorni avrebbe concluso che non c’erano profili d’interesse per la sicurezza nazionale.

Ufficialmente gli accertamenti finirono lì, ma è evidente l’interesse investigativo di questo episodio, visto che nei mesi scorsi i poliziotti del Servizio centrale operativo e i carabinieri del Ros avevano già indagato sulla figura di Abdallah presentando ai pm di Roma un voluminoso rapporto. Anche attingendo a ciò che Giulio aveva scritto sul suo computer e riferito ad altri sul conto del capo-sindacalista. Il quale, a dicembre, gli avrebbe fatto capire di pretendere un guadagno personale dall’eventuale finanziamento. Una sorta di tangente, insomma. Inoltre era emerso un ruolo ambiguo di questo personaggio, considerato vicino ai servizi segreti egiziani.

Certo, il fatto che solo ora, a quasi otto mesi dal sequestro, si ammetta che la polizia aveva un fascicolo su Giulio desta sospetto e inquietudine. Ma per gli inquirenti italiani è comunque un’informazione importante che — insieme ad altre — segna un salto di qualità nelle relazioni tra le due magistrature. Il famoso traffico telefonico sui due luoghi in cui Regeni è stato rapito e poi ritrovato il cadavere, in passato negato, è stato analizzato dalla Procura generale cairota, che ha individuato oltre cinquanta persone presenti in entrambi i posti. Sono troppe, ma i successivi accertamenti avrebbero individuato fra loro almeno una decina di appartenenti alle forze di sicurezza. Ulteriori verifiche sono già in corso, come si continua a lavorare per provare a recuperare le immagini delle telecamere a circuito chiuso della stazione della metropolitana.

L’ipotetico ruolo dei criminali comuni contrabbandati a marzo come responsabili dell’omicidio, subito derubricato a depistaggio dagli italiani, è diventato marginale anche per gli inquirenti locali. Che hanno manifestato l’intenzione di incontrare i genitori di Giulio, i quali al momento non fanno commenti. Ieri hanno ricevuto una telefonata dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che ha sottolineato i «segnali positivi» giunti dal vertice romano. Nel frattempo resta aperta la questione delle relazioni diplomatiche, ed entro fine mese l’Italia dovrebbe decidere se e quando inviare al Cairo il nuovo ambasciatore. Al rientro dal G20, il premier Renzi ha detto di aver parlato con il presidente Al Sisi: «Mi ha promesso che farà piena luce e che l’Egitto si assumerà le proprie responsabilità». Si vedrà .

Tratto da: ll Corriere della Sera

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