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1Mauricio Rodríguez riscopre il legislatore uruguaiano ucciso durante la dittatura in  Argentina
di Jean Georges Almendras
Hotel Liberty in Viale Corrientes, al centro di Buenos Aires. È l’alba del 18 Maggio 1976. Una decina di uomini, a volto scoperto, con armi di grosso e piccolo calibro, irrompono nell’edificio e si dirigono alla stanza nº 75, dove riposano il senatore uruguaiano Zelmar Michelini, uno dei suoi figli di 22 anni, anche lui di nome Zelmar, e sua sorella Margarita. Gli intrusi forzano la porta di accesso alla stanza ed entrano. Non c’è dubbio che l’operazione, così come altre messe in atto in quei giorni, all’insegna del terrore e dell’impunità, fa capo ai ‘grupos de tareas’ (gruppi incaricati della cattura, tortura ed esecuzione dei dissidenti, ndr) del terrorismo di Stato in Argentina, in piena dittatura. Incappucciano il giovane Zelmar. La stessa sorte tocca a sua sorella. Mentre i Michelini vivono eterni momenti di panico, gli sconosciuti agiscono con violenza dettando ordini, senza smettere mai di puntare le loro armi contro le vittime. In mezzo a grida e insulti, una voce predomina nella notte ed ordina al senatore uruguaiano di vestirsi. Poi un’altra voce rompe il silenzio con parole terribilmente minacciose: “È arrivata la tua ora”. “Sfigureremo la tua bella faccia”. Dopodiché gli uomini armati portano via Zelmar Michelini. Era appena stato sequestrato uno dei legislatori uruguaiani del Frente Amplio più carismatici ed impegnati di quel periodo. Un altro legislatore, Héctor Gutiérrez Ruiz, del Partito Nacional, di convinzioni ed ideali conformi a quelli di Michelini, viene anch’egli rapito nelle stesse ore da un altro gruppo di terroristi di Stato, senza poter scartare l’ipotesi che in entrambi gli attentati abbiano partecipato militari o polizia uruguaiani. Settantadue ore dopo, tutte le speranze di ritrovare in vita Michelini e Gutierrez Ruiz svaniscono in un incrocio della periferia della capitale argentina. I cadaveri dei due parlamentari, crivellati di colpi, sono stati ritrovati dentro un veicolo insieme ad altre due vittime. L’attacco terrorista era stato di una crudeltà inimmaginabile. Ma il martirio di questi due uomini – allo stesso modo di quello vissuto da altri uomini, prima o dopo le dittature argentina e uruguaiana - hanno fatto storia, e la loro assenza non ha fatto altro che accentuare la loro presenza, le loro idee, le loro lotte, in quella generazione e nelle successive.
Teatro dell’Associazione Cristiana di giovani in via Colonia, angolo Eduardo Acevedo, nel quartiere Cordón di Montevideo. Sono trascorsi quarant’anni da quella mattina in cui sequestrarono il senatore Zelmar Michelini. Oggi, 28 aprile del 2016, un giornalista e scrittore uruguaiano, Maurizio Rodriguez*, che all’epoca dei fatti aveva solo cinque anni, ha presentato il suo libro “Zelmar Michelini, la sua vita. La voce di tutti”.

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Lo scrittore uruguaiano Gerardo Caetano ha commentato così la voluminosa biografia di Zelmar Michelini, scritta da Maurizio Rodriguez: “Nessuno come Zelmar Michelini aveva così chiari i tempi a venire – era nato con gli occhi aperti come Aureliano Buendía – né ha pagato così care le proprie opinioni politiche, sin dal momento in cui si distaccò da Luis Batlle. C’era bisogno di una biografia completa del politico con la personalità più magnetica della nostra storia contemporanea. Si è scritto su alcuni aspetti della sua vita, ma nessuno aveva mai parlato della sua famiglia di origine, delle sue bravate di bambino, della sua vita scolastica, le sue esperienze in campo lavorativo, i divertimenti giovanili, i suoi esordi nel mondo del giornalismo, la sua militanza nel Partito Colorado... tutta la sua vita con ricchezza di particolari. Questo libro riempie un grande vuoto e per fortuna lo fa in modo meraviglioso… Riesce a farcelo sentire nella sua vita quotidiana – in mezzo a frequenti difficoltà economiche – il suo amore e la sua tolleranza, ma anche le sue pretese, fissazioni, debolezze… Questo libro ti conduce ad una imprescindibile rivalutazione della sua figura”.
Negli anni '70, nel mese di maggio del ’76 in particolare, io avevo 21 anni e come tanti giovani della mia generazione sapevo perfettamente chi era Zelmar Michelini. Il suo omicidio e quello di Héctor Gutiérrez Ruiz, in quei giorni bui, mi colpirono profondamente. Quarant'anni dopo quei terribili giorni di omicidi politici, torture, sparizioni forzate e soprusi, apprendere che un collega focalizzava la propria attenzione sulla vita di Zelmar Michelini, sulle sue idee e le quotidiane lotte per difendere l’uguaglianza e cercare la giustizia sociale, difendendo incondizionatamente – e con una dialettica ed oratoria magistrali - la democrazia che veniva letteralmente calpestata, ha destato vivamente il mio interesse.
Con la franchezza del professionista che esibisce con meritata (ed umile) soddisfazione il suo lavoro di ricercatore, nell’impeto del terzo millennio che corre rapidamente, Maurizio Rodriguez ha trovato un momento per condurci all’interno delle molteplici sfaccettature del suo libro. Sfaccettature più che sufficienti per comprendere l’essenza ed il senso del suo lavoro di ricostruzione della vita di quel combattente che è stato Zelmar Michelini. Un combattente dotato dalla saggezza dell’intelletto, dalla sensibilità dell’uomo nemico della tirannia e dal coraggio dell’uomo libero e, se ciò non bastasse, protagonista – ben consapevole - di un momento storico difficile e rivelatore.
Il libro di Mauricio Rodríguez è essenzialmente una sfida per costruire il presente, prendendo come punto di partenza il passato di un uomo con la “U” maiuscola, che ha lasciato un’eredità unica ed eccezionale, a costo della propria vita, è quasi un dovere storico (oltre che morale) leggerlo, capitolo dopo capitolo, paragrafo dopo paragrafo.

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Cosa ti ha spinto a mettere sul tuo tavolo di lavoro la storia, la vita, l’opera, il sacrificio di Zelmar Michelini? Qual è l’obiettivo del tuo libro? Cosa significa per te? Precisamente oggi, che sei padre, che hai dei figli e sei un giornalista preparato e maturo. Oggi: che l’impunità è ancora in vigore; che continuiamo a manifestare ancora nel silenzio da 21 anni lungo il viale 18 Luglio e non abbiamo risposte.
Sono vari i motivi che mi hanno spinto ad affacciarmi alla vita di Zelmar Michelini. Da una parte sono sempre stato un appassionato lettore della storia uruguaiana, dei tempi convulsi che vanno dalla metà degli anni ’60 fino all’instaurazione della democrazia nel 1985. La figura di Zelmar è presente spesso negli anni dai ’50 ai ’70. Ha sempre suscitato in me curiosità come persona e da molto coltivavo dentro me l’idea, finalmente concretizzata, di raccontare in modo approfondito la sua vita. Era un politico carismatico, dotato di una coinvolgente oratoria, grande cultura ed un modo tutto suo di fare politica. Come mi disse l’ex presidente Julio María Sanguinetti per il mio libro – lui è uno degli oltre 40 intervistati -, Zelmar conquistava tanto gli uomini quanto le donne. O come mi disse l’ormai defunto scrittore Carlos Maggi: Zelmar era nato per la politica, l’aveva nel sangue, ma lo stesso avrebbe potuto far parte della cosiddetta ‘generazione del 45’, visto il suo modo di scrivere raffinato e affascinante. A tutto ciò si aggiunge il fatto che, sorprendentemente, non è stata scritta ancora una biografia integrale della sua vita. Una storia che raccontasse le sue origini, la sua infanzia, i suoi primi anni di militanza nel Frente Amplio e poi la sua entrata in politica. Prima nel ‘batllismo’ e poi nella creazione del Frente Amplio. E, chiaramente, la sua terribile sorte, il suo sequestro ed omicidio. Per me è una soddisfazione aver contribuito a raccontare la vita di chi, senza alcun dubbio, è stato uno dei politici più carismatici di quei tempi.

Ritiene la sua morte un suo sacrificio? In quale contesto?

Io credo che l’aspetto più terribile del suo assassinio sia il fatto che hanno privato l’Uruguay di un personaggio che era in procinto di diventare un grande statista. Al momento della sua morte aveva alle spalle un lungo percorso in politica. Era stato deputato, senatore e uomo di fiducia del presidente Luis Battle Berres. Successivamente diventò pietra angolare nella creazione del Frente Amplio – fu uno di quelli che lanciarono Líber Seregni come referente della coalizione di sinistra - e a partire dal colpo di Stato in uno dei suoi più energici oppositori nell’esilio. Zemar era molto lungimirante così da anticipare gli scenari che si sarebbero presentati. E riusciva a vedere ciò che altri, con gli stessi elementi a disposizione, non vedevano. Molti dei suoi articoli giornalistici che parlano della rivoluzione cubana e degli alti e bassi della Guerra Fredda, lo dimostrano. Questa sua condizione di statista toccò alcuni apici. Da un lato la corrispondenza scambiata con Edward Kennedy. E dall’altro il suo fantastico intervento nel Tribunale Russell II, a Roma, nel marzo del 1974, dove denunciò le violazioni dei Diritti Umani durante la dittatura.
La sua esposizione dei fatti, affiancato da Gabriel García Márquez e di fronte a Julio Cortázar, tra altri, è, oltre che un esempio di brillante oratoria, un discorso che dimostra la grande maturità politica acquisita fino a quel momento. Dall’altra parte, alla fine del ’75, alcune persone vicine a Zelmar e al ‘caudillo bianco’ Wilson Ferreira Aldunate, amici nell’esilio di Buenos Aires, scherzavano sulla possibilità che entrambi potessero ritrovarsi  alle presidenziali. Cosa che non si verificò a causa dell’omicidio di Zelmar.

Parlaci dello Zelmar che la tua ricerca ti ha portato a scoprire. Come si è svolto questo tuo lavoro? Hai avuto la collaborazione della famiglia e di altre persone?

C’è una caratteristica nella personalità di Zelmar – forse quella che lo contraddistingue - che emerge sin dall’infanzia ed è il suo grande carisma ed intelligenza. Già da studente era scelto per recitare negli spettacoli, oltre ad essere prediletto dalle maestre a dalla direttrice. Poi, con il passar del tempo, si afferma ancora di più un’altra caratteristica che lo ha contraddistinto: concepire la politica come un servizio pubblico. Come mi ha detto l’ex presidente Jorge Battle, Zelmar è stato il Domingo Arena dei tempi di Luis Battle. Aveva anche un grande senso dell’umorismo. Non sapeva per niente raccontare le barzellette ma gli piaceva scherzare – anche in Parlamento - o dare dei nomignoli, soprattutto ai suoi dieci figli. Era molto amico dei loro amici – dava grande valore all’amicizia - oltre ad essere amante del ‘turf’, si cimentava nel calcio e divorava i libri con passione. Tutti concordano sul fatto che in politica lui era un uomo di dialogo, tendeva ponti per trovare punti di incontro e di intendimento. È da qui che nasce il titolo del libro. Riguardo il lavoro di ricerca, ho avuto accesso - grazie alla generosità dalla Fondazione Zelmar Michelini ed ai suoi figli -, a tutto il suo archivio personale. Mesi studiando carte, documenti, ritagli di giornali, foto, ecc. Oltre agli articoli che venivano pubblicati durante la stesura del libro, decine di libri letti ed interviste a persone che lo hanno conosciuto in diversi momenti, sia qui che a Buenos Aires. Ho visitato anche luoghi emblematici della sua vita, la casa dove ha cresciuto i suoi figli, il suo ufficio in Parlamento, la stanza dell’Hotel Liberty dove fu sequestrato a Buenos Aires, il luogo dove fu ritrovato il suo corpo dentro una macchina. Il mio obiettivo è stato quello di ricostruire la sua vita nei dettagli.

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Quanti anni avevi e cosa facevi quando lui fu ucciso? Come vedi oggi quei giorni della sua morte?
Io avevo cinque anni quando fu ucciso. Naturalmente non ho vissuto quel periodo terribile. Ma come ben ha voluto indicare lo storico Gerardo Caetano il giorno della presentazione del libro, questo è forse un grande vantaggio per me giacché non sono “inquinato” né coinvolto nei fatti. Ciò mi ha permesso di approcciarmi a questa storia in piena libertà, guidato soltanto dal mio personale criterio giornalistico. Per quanto riguarda la sua morte, ne siamo venuti a conoscenza soltanto anni dopo, è stato uno dei primi omicidi nell’ambito del coordinamento repressivo del Piano Condor attuato prima a Santiago del Cile nel novembre del 1975, pochi mesi prima dell’omicidio. La figura di Zelmar è divenuta un’icona del volto peggiore del terrorismo di Stato.

Come vivi oggi l’impunità dei killer materiali e dei mandanti della sua morte? Credi che il tuo libro possa contribuire a prendere coscienza dei fatti ed evitare che tutto attorno alla sua morte rimanga nell’oblio?

Naturalmente la valutazione di qualsiasi lavoro di queste caratteristiche spetta al lettore, che dà il verdetto finale. Il mio libro, in primo luogo, cerca di raccontare la storia di un personaggio quasi unico nella vita politica del paese. Ma come ha ben detto Caetano, raccontare la sua vita significa raccontare anche la vita politica del paese in quei tempi. Perché Zelmar è stato coinvolto anche in diversi dei grandi temi dell’Uruguay di quegli anni ed aveva, come dicevo prima, una grandissima capacità di dialogo. Parlava con i militari ed i politici di tutti i partiti. E con i tupamaros. Mauricio Rosencof mi raccontava che quando viveva in clandestinità si trovava con Zelmar per parlare dei grandi temi del paese. Ed una fonte del MLN mi raccontava che Raúl Sendic (padre) stava sempre attento a ciò che diceva Zelmar. Nutriva grande rispetto nei suoi confronti, riportava perfino le parole di Zelmar all’interno del movimento guerrigliero. Il libro non racconta la storia di un super uomo, ma la vita di qualcuno che ha fatto delle cose giuste, ma anche errori. Ho cercato un racconto “umanizzato” di Zelmar ma, nel migliore dei casi, riscopre la sua figura per i tempi attuali. Se ciò può contribuire a prendere coscienza di quei terribili fatti, ben venga, sebbene non era l’intenzione iniziale.

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Come intendi o concepisci il fatto che ancora i militari non siano stati obbligati a dire dove si trovano i resti dei desaparecidos e chi sono i responsabili delle violazioni dei Diritti Umani?
È una doppia aberrazione. La prima è che il terrorismo di Stato ha calpestato la libertà e sottomesso a censura, torture, esilio, morte e sparizione forzata centinaia di cittadini. La seconda è, a 40 anni di distanza da quei fatti terribili, che il patto del silenzio, una specie di omertà, non permetta che si avanzi troppo nel cammino della verità. Ci sono alcuni, pochi, processati, ma le responsabilità sono di gran lunga maggiori. L’arrivo della sinistra al governo ha dato qualche speranza, ma credo che il debito sia ancora molto grande. Soprattutto perché soltanto conoscendo ciò che è accaduto si può chiudere questa tappa. È il debito che abbiamo come società rispetto alle future generazioni.

Come giornalista che ha scritto sul “rock della dittatura”, come interpreti gli effetti di quei tempi di dittatura?

Un periodo nefasto. Non soltanto per quanto riguarda, come accennavo prima, il terrorismo di Stato, ma per il danno arrecato ai vari settori. La Cultura è stata uno dei settori più danneggiati. Decine di artisti furono messi a tacere ed altri ancora dovettero andare in esilio. Si spezzò il ricambio generazionale e per più di un decennio fu divulgato soltanto ciò che la dittatura permetteva. È stato un grande buco nero nella ricca storia culturale del nostro paese.

Esiste ancora, latente, il terrorismo di Stato? C’è uniformità di criteri nel governo attuale, dove abbiamo un Ministro della Difesa che ha avuto delle gravi discrepanze con organizzazioni dei Diritti Umani. Cosa ne pensi?

Il terrorismo di Stato, così come è stato concepito in quei tempi, naturalmente non esiste più. Quello che persiste è, come dicevo, la sopravvivenza ancora oggi di un certo modo di guardare a questi argomenti. Alcune posizioni controverse adottate dal defunto ministro Huidobro derivavano proprio dal suo essere stato un attore protagonista di quel periodo. E per molti, me incluso, non accompagnò la speranza di tante persone di poter fare passi avanti per conoscere il destino dei desaparecidos e le responsabilità correlate.

In che modo la storia di Zelmar, racchiusa in un voluminoso lavoro di ricerca come appunto è il tuo libro, può risultare opportuna per il Paese? È inopportuno per chi nell’ombra è stato coinvolto nella sua morte, siano essi militari, polizia o civili?

Capisco che qualsiasi tentativo, a lunga o media scadenza, di raccontare quei tempi, è un contributo. Un granello di sabbia che contribuisce ad avvicinarci alla verità. Ci sono persino alcune recenti pubblicazioni ambientate in quegli anni. Tutto è ben accetto. Ed i grandi responsabili della più grande dittatura che il nostro paese ha avuto, è chiaro, sicuramente non vedono di buon occhio questo tipo di lavori. Ma come società non dobbiamo privarci dal tentare di far a luce in così tanta oscurità. È il nostro più grande compromesso con le nuove generazioni.

Ha in progetto qualche altro lavoro?

Qualche idea, ma per adesso la mia mente è ancora concentrata sul libro che ho scritto su Zelmar, la soddisfazione del lavoro realizzato dopo circa quattro anni che adesso sta dando i suoi frutti e, ripeto ancora, il lettore valuterà il lavoro svolto. In questo momento siamo alla seconda edizione e la stampa, come hai detto tu, ha avuto la gentilezza di interessarsi alla mia opera. Posso solo ringraziare profondamente tutti per l’interesse verso il mio lavoro.
    
* Mauricio Rodríguez (Montevideo, 1971). Giornalista, tecnico in Comunicazione Sociale (UTU) e docente di giornalismo. Ha lavorato in radio (Carve, Radio America, FM Total) e per diverse testate giornalistiche. Tra altre iniziative ha organizzato delle giornate di dibattito sul giornalismo. Ha scritto alcuni libri tra cui “El caso Gelman. Periodismo y Derechos Humanos” (edizioni Cruz del Sur), “Viejos son los trapos” (Saga Edizioni), ¡Vidas bien vividas! (Editoriale Fin de Siglo), “En la noche. El rock uruguayo posdictadura” (1982-1989) (Editoriale Fin de Siglo).

*Foto di Copertina: www.lr21.com.uy  Zelmar Michelini
*Foto 2: www.radiouruguay.com.uy  Mauricio Rodríguez
*Foto 3: www.laprensa.com.uy  Zelmar Micheliny e Héctor Gutiérrez Ruiz
*Foto 4: www.fzelmarmichelini.org  Zelmar Michelini

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