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NEWS 260053di Michela Murgia
Terza parte del reportage della scrittrice Michela Murgia dall'Istanbul del dopo golpe. Voci e volti di donne da un paese segnato da stridenti differenze

Sono le dieci di sera quando Fatma - la chiamerò così per un mio scrupolo - entra nel luogo del nostro appuntamento, stretta in un corto chemisier di seta di ottima fattura e con una magnifica cascata di capelli chiari che lascia sciolti sulle spalle a dispetto del caldo e del vento. Ha una spada di legno al fianco.
"Me l'hanno data al workshop da dove sto venendo", mi spiega sorridendo.
L'orario così tardo l'ha fissato lei e non ne sono sorpresa: è già capitato che qualcuno ci proponesse con disinvoltura un incontro in seconda serata. Istanbul è una città che vive molto col buio, le strade della movida sono frequentate fino alle due del mattino e nei locali ancora a quest'ora si fa fatica a trovare un tavolo.

Fatma si muove per Beyoğlu con sicurezza; vuole portarci a bere il raki, l'alcolico tipico, una specie di sambuca che si beve annacquata, e cerca un posto specifico, dove quando arriviamo il proprietario la saluta con familiarità.
L'ho conosciuta qui a maggio durante un festival letterario e sono curiosa di sapere come legge la situazione turca una donna giovane (ha trentaquattro anni), laica, divorziata e militante in diverse associazioni femministe.

Comincia col dirmi che quando c'è stato il tentato golpe lei si trovava in Polonia per lavoro ed è riuscita a tornare in Turchia solo quattro giorno dopo.
"Ho percepito subito la differenza di clima. Ho visto manifestazioni di gente che sembrava ipnotizzata e gridava cori all'unisono come obbedendo a un comando. In quelle folle ho provato a cercare con alcuni il contatto visivo, ma ne sono rimasta sconcertata: sembravano automi, quasi non riconoscessero il mio essere umana. Le folle urlanti mi spaventano. Nelle strade poi c'è una quantità di bandiere turche mai vista. Qui siamo molto nazionalisti, per noi la bandiera è un culto, ma adesso significa qualcosa di diverso: vuol dire sostegno a Erdoğan. Nel modo in cui la stanno usando non è più la bandiera di tutti. È successa la stessa cosa per piazza Taksim. Prima era la piazza della resistenza, dei moti di dissenso, adesso invece ha cambiato segno: è sempre presidiata dai supporters del presidente."
Le chiedo se in città si sente al sicuro col suo abbigliamento e il suo modo di essere.
"Dipende. Ci sono posti della città, come Beyoğlu, Fatih o la mia zona dove mi sento protetta e posso camminare nelle strade da sola vestita come voglio. Ma ci sono altri posti della città, in particolare nell'area anatolica e nel quartiere aeroportuale, dove sono molto tradizionalisti: lì ho paura ad andare. I fondamentalisti islamici adesso si sentono indubbiamente più forti e quello che ieri pensavano e basta, oggi potrebbero anche provare a farlo. Per questo mi sono resa conto che sto più attenta ovunque, in generale. È questione di prudenza."

Fatma non viene da una famiglia religiosa ed è venuta a vivere a Istanbul per studiare economia.
Una volta qui però ha cambiato idea e ha preferito studi d'arte - soprattutto cinema - e comunicazione. Oggi lavora come consulente di comunicazione nel turismo e ogni tanto recita in qualche fiction. Le piacciono la musica, il teatro e la letteratura.
"A Erdoğan non importa niente dell'arte. Credo sia per via della sua formazione religiosa tradizionalista e della sua scarsa cultura, ma non la capisce, non è nelle sue priorità, non ne vede il senso. In questi giorni di disordini ha dato ordine di sospendere molte attività culturali programmate, in parte perché è difficile garantirne la sicurezza e in parte perché le strade e le piazze ora sono occupate da manifestazioni politiche, che per lui sono certamente più importanti."
È fidanzata e il suo compagno è molto preoccupato della situazione: vorrebbe andarsene dalla Turchia, come molti loro amici stanno già facendo, ma lei non sente lo stesso bisogno.
"Ti sembrerà naif, ma io mi considero una persona buona e questo mi fa sperare che mi succedano cose buone. Sono ottimista, credo che la situazione possa migliorare, ma forse dipende dal fatto che io ho il mio 'inner corner', il mio rifugio protetto nel teatro e nella musica, nelle cose che amo e che ancora mi legano a questo posto. I miei amici invece stanno partendo per gli Stati Uniti, per l'Inghilterra e per la Grecia, ciascuno dove ha le sue reti di relazione."

Parliamo della condizione della donna in Turchia e lei me ne rivela tutte le contraddizioni.
"La legge formalmente ci protegge, ma ci sono dichiarazioni dei membri del governo che di quando in quando ci fanno temere che tutto quello che abbiamo conquistato sia in realtà molto fragile e che la volontà governativa di proteggerlo sia sempre più debole. Lo stesso Erdoğan ha detto più volte di non credere all'uguaglianza lavorativa tra donne e uomini e c'è stato un parlamentare che in un incontro con le associazioni femministe ha detto che se dipendesse da lui le donne non dovrebbero neppure ridere in pubblico. Ti immagini se il potere politico di quella parte del parlamento aumentasse fino a impedirci una risata per la strada?"
Non c'è bisogno di immaginare quello che in altri paesi è già successo, ma le chiedo se veramente crede che la società turca si farebbe imporre un arretramento simile nei diritti e nelle libertà civili.
"Tutto può accadere. Cinque anni fa ti avrei detto di no, ma oggi non saprei cosa rispondere. Non so più dirti cosa in Turchia è pericoloso e cosa non lo è. Lo spirito di Gezi park sembra volatilizzato, chi ieri aveva coraggio oggi ha paura, ciascuno protegge solo il proprio recinto, non è facile immaginare alternative."

E Fetullah Gülen, il tycoon che Erdoğan accusa di essere il burattinaio occulto del golpe?
"Non so se lo sia, ma di certo potrebbe esserlo. Gülen è un uomo straordinariamente potente in Turchia, ha moltissimi seguaci e le sue università sono il luogo in cui in questi anni ha costruito non solo la formazione degli studenti, ma anche il suo consenso. Non so se questo abbia determinato un pericolo per la stabilità della Turchia, ma certamente è un'anomalia democratica avere un simile centro di potere parallelo in un paese che deve già affrontare tanti problemi. La povertà, prima di tutto. Nelle zone rurali mancano anche i servizi di base e gli ospedali."
Le dico che la Turchia nel 2016 ha previsioni di crescita economica del +5,7%  - per capire la proporzione, il tasso di crescita nell'eurozona viaggia intorno all'1,5% - e anche se gli attentati e il golpe stanno dando un colpo mortale al turismo, quella percentuale di sviluppo da qualche parte starà pur andando a finire.
"Non alla povera gente. La quantità di persone che nelle zone interne vive sotto la soglia di povertà è enorme."
È mezzanotte passata e da un taxi vediamo scendere una famiglia - padre, madre e due bambini - con una fascia rossa con la mezzaluna e la stella legata sulla fronte; stanno andando in via Istiklal a gridare slogan per Erdoğan. Non degnano di uno sguardo il locale in cui siamo seduti, un ristorante dove ci sono quasi esclusivamente tavoli occupati da donne. Neppure una di loro porta il velo e molte hanno i capelli tinti, fumano e bevono raki e birra.
Sembra impossibile che un simile livello di diversità sociale possa essere messo a rischio senza resistenza. Fatma ha un moto d'orgoglio e di ironia: estrae dalla borsa la spada di legno e mi dice solenne: "Ci difenderemo, sorella!"
Ridiamo forte e molti si girano a guardarci.
"Stiamo ridendo", le dico.
"Sì, stiamo ridendo." - risponde - "E non smetteremo facilmente."
Da Istanbul per ora è tutto.

Fonte: https://www.facebook.com/notes/michela-murgia/due-o-tre-cose-turche-viste-da-me3/10153983350968347

Link alla Prima Parte del reportage:
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=126248&typeb=0&due-o-tre-cose-turche-viste-da-me-1

Link alla Seconda Parte del reportage:
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=126256&typeb=0&due-o-tre-cose-turche-viste-da-me-2

Tratto da: megachip.globalist.it

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