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narco uruguayGerardo González Valencia, numero due del cartello “Los Cuini"
di Jean Georges Almendras
La notizia della cattura del narcotrafficante Gerardo González Valencia, numero due del cartello “Los Cuinis”, avvenuta a Montevideo (Uruguay) giovedì 21 aprile, meriterebbe di essere portata sui grandi schermi. Ed il regista, sicuramente si troverebbe a raccontare la storia di questo gruppo criminale che ha la base in Messico, ma con ramificazioni in ogni parte del mondo, anche nel nostro paese. Capo del gruppo criminale Abigael González Valencia (fratello di Gerardo); un clan del basso profilo, a differenza di altri gruppi dello stesso taglio criminale, a cui piace ostentare nella loro cerchia la propria ricchezza ed i propri trionfi. Un gruppo criminale che a partire dal 2012, a seguito di una denuncia, non è riuscito a impedire che il suo massimo capo – Abigael appunto - fosse individuato dalle autorità messicane, la DEA, e da agenti federali degli Stati Uniti. Infatti, tre anni dopo, il 28 febbraio del 2015, Abigael venne catturato a Jalisco. Ma chi pensò che con il suo arresto il cartello di “Los Cuinis” fosse stato smantellato, si sbagliava, perché i González Valencia costituiscono una famiglia di diciasette fratelli, la maggior parte dei quali condivide appieno le attività dell’organizzazione criminale. Organizzazione molto potente in Messico, per la sua crudeltà, e che ha il controllo delle rotte del traffico di cocaina e anfetamine verso l’Europa e l’Asia. Un’organizzazione criminale presente in otto stati messicani, i cui membri non poche volte hanno avuto scontri con le forze di sicurezza lasciando un saldo di piombo e sangue indescrivibile. Una caratteristica del clan.

E com’è accaduto che uno dei “Cuini” finisse in Uruguay per poi cadere finalmente durante un’operazione di polizia dai contorni veramente cinematografici?
Raccontiamo un po’ i fatti. La giornalista Fernanda Muslera scrive su El País, di Montevideo, che quel giovedì il messicano, cioè Gerardo González, 40 anni e padre di tre figli tra i 3 e gli 11 anni di età, all’improvviso decide di lasciare il paese, dopo cinque anni di permanenza.
“Prendo i bambini e vado via”, sono state le sue parole intercettate al telefono. Era nervoso. Stressato. Le parole del capo del cartello di “Los Cuinis” che annunciano la sua ritirata sono ascoltate dal suo interlocutore, ma anche dalle autorità di polizia che da tempo controllavano i suoi passi, anche mediante le intercettazioni telefoniche.
Gerardo, che si trovava in un hotel della zona di Punta Carretas, caricò le sue valigie in macchina e salì in auto, dirigendosi subito alla scuola dei suoi figli. La sua intenzione era andare via del paese insieme al suocero ed ai suoi tre bambini, sicuramente in Brasile. Ma tutti i suoi movimenti venivano monitorati dalla polizia. Lontano dall’hotel, mentre percorreva lungo le strade di Montevideo, direzione Carrasco, le autorità cercarono invano di intercettarlo.

Secondo quanto scrive la giornalista Muslera “dopo le sei di sera, in un noto istituto scolastico di Carrasco, le attività si svolgevano normalmente. Molti degli alunni erano già andati via, ma c’erano ancora alcuni studenti impegnati in attività extrascolastiche, tra loro un gruppo di ragazze che giocavano a handball. L’arrivo di otto agenti di polizia della brigata antinarcotici, armati, incappucciati e in uniforme nera, alterò il clima di normalità nell’istituto. Quando la polizia arrivò al parcheggio dell’Istituto, González Valencia era già lì insieme al suocero –suo braccio destro a Montevideo durante la permanenza in Uruguay - e ad un ex calciatore uruguaiano, che gli aveva già venduto veicoli di lusso e faceva da intermediario per ultimare un affitto a Montevideo. Secondo fonti degli inquirenti, non c’erano bambini lì in quel momento. Sorpreso nel vedere gli agenti, il messicano cercò di scappare, percorrendo appena pochi metri. All’alt delle autorità, Gonzalez infilò una mano in tasca e la polizia gli punto contro le armi nel timore che potesse estrarre un’arma, invece tirò fuori un Iphone e lo spezzò in due parti. Non oppose resistenza all’arresto. Ammanettato insieme ai suoi accompagnatori fu portato via ad alta velocità”.

La cattura di Gerardo González conclude l’operazione denominata “Jalisco” e rappresenta la fase embrionale di una sentenza deliberata dai giudici che sarebbe arrivata pochi giorni dopo, in mezzo a un grande clamore mediatico, quando si apprende che gli arrestati erano niente meno che elementi del cartello di “Los Cuinis”, cosa inusuale dalle nostre parti. Inoltre, evidenziava che le reti del narcotraffico internazionale si erano estese, in modo alquanto prepotente lungo il territorio nazionale, dedite ad attività legate al narcotraffico e al riciclaggio di denaro.

L’Operazione “Jalisco” ha svelato che i capi narcos di altre latitudini vedono di buon occhio il nostro paese per creare le loro basi e stabilire dei contatti e, eventualmente, estendere i tentacoli del traffico, servendosi del nostro paese come rotta di transito delle droghe pericolose da e verso l’Europa. Per il momento quel che è certo è che il membro di una famiglia messicana, che ha molto denaro, era in realtà uno dei più importanti bracci di un potente cartello narcos, che viveva tra noi, camminando liberamente lungo le nostre vie e strade dell’Uruguay, facendo affari, acquistando proprietà, come se nulla fosse. Quel che non poteva immaginare era di essere nel mirino delle autorità.
Il giudice del Crimine Organizzato, Adriana de los Santos, ha quindi disposto il carcere per i tre messicani: Gerardo González Valencia, suo suocero Héctor Amaral e la moglie di Gerardo, Wendy Dalaithy Amaral Arévalo, arrestata sabato all’aeroporto internazionale di Carrasco.

Per quanto riguarda gli uruguaiani processati, sempre con l'accusa di concussione e riciclaggio di denaro, si è appreso che la coppia lavorava in una casa che il messicano possedeva nella località di mare Punta del Este. Lui giardiniere, lei domestica. Il terzo processato sembra ricevesse i soldi da González per poi cambiarli in dollari o pesos uruguaiani. Ma non solo. Il giudice ha disposto il sequestro di 10 milioni di dollari a Gerardo, oltre alla confisca di una sua proprietà, precisamente la Villa “Quincho Grande” (acquistata per 2 milioni di dollari), che possedeva a Punta del Este, di nove veicoli di lusso, un telefono satellitare, circa 45 cellullari, 9 computer portatili e sette tablet.

N A12 EU260416 4Nei giorni successivi nuovi particolari sono emersi sul numero due del cartello narcos e sugli appoggi su cui contava. La sua residenza a Punta del Este comprendeva due sale da gioco per bambini ed un bagno con vista su una piscina con jacuzzi, in una delle stanze c’era una parete di sughero con dei disegni dei bambini attaccati con delle spille, ma si trattava di una finta parete che nascondeva una cassaforte, che al momento dell’irruzione della polizia era vuota; in uno dei computer sono state trovate delle foto della famiglia mentre erano a caccia in Africa.
I tre bambini di Gerardo e sua moglie Wendy sono stati affidati ad una parente che li ha portati immediatamente in Messico.

Secondo la DEA la famiglia di Gerardo era parte di uno dei gruppi di narcotrafficanti più ricchi al mondo. Il Direttore della Polizia Nazionale, Mario Layera, ha dichiarato alla stampa uruguaiana che le autorità non erano in possesso di informazioni riguardo le attività degli imputati legate al narcotraffico nel paese e nemmeno che l’Uruguay fosse territorio di transito per la loro merce. Ciò che si è dimostrato è che González Valencia, pur legato al narcotraffico e con un mandato di estradizione negli Stati Uniti a suo carico per vendita di droga in questo paese, in Uruguay è accusato esclusivamente di riciclaggio di denaro. Anche il suocero ha precedenti per narcotraffico.

Una domanda sorge spontanea: cosa ha spinto il narcos di “Los Cuinis” a restare in Uruguay, visto che negli ultimi tempi si erano verificate delle situazioni che avrebbero dovuto fargli capire che la cerchia si stava stringendo attorno a lui ed al suo gruppo? Anche senza una risposta concreta, vale la pena ricordare che l’anno scorso era stato catturato suo fratello Abigael e che l’Unidad de Investigación y Análisis Financiero del Banco Central (UIAF) aveva denunciato al Tribunale del Crimine Organizzato del 1º Turno, che il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti aveva incluso nel proprio elenco di narcotrafficanti niente meno che sua moglie, Wendy Amaral.
Di conseguenza i fondi che la donna possedeva in un conto corrente in Uruguay sono stati bloccati e a partire di marzo 2016 il Tribunale ha avviato un’indagine di carattere riservato affidata alla Dirección General de Represión del Tráfico Ilícito de Drogas.

La giornalista Muslera scrive ancora che “nonostante il segnale di allarme dato dal blocco di fondi di sua moglie, González Valencia continuò la sua vita nella lussuosa villa di Punta del Este insieme ai suoi figli. Ma non per molto tempo. La cose cambiarono quando il suo nome apparve su Panama Papers. Il 5 aprile il quotidiano statunitense Miami Herald pubblicò il suo nome e quello della moglie, collegando entrambi ai “Los Cuinis” e alla creazione di società anonime panamensi attraverso uno studio notarile uruguaiano che lavorava con la Mossack Fonseca. Il 14 aprile il settimanale Búsqueda ha rivelato che il narcos abitava a Punta del Este e possedeva una villa”.

Nonostante in apparenza Gerardo González sembrasse incurante di fronte a questa situazione, di fatto prese i suoi provvedimenti, come scrive ancora la giornalista Muslera: “Agli inizi di questo mese – aprile, ndr - González Valencia decise di lasciare la sua casa di Maldonado e un camion portò i suoi averi in un capannone nella zona La Comercial. Aveva ragione a preoccuparsi, poiché il suo nome pubblicato su Panama Papers aveva accellerato il processo di arresto, che altrimenti avrebbe preso più tempo.

narco mexicano telefonosÈ così che nel mese di marzo – quando Gerardo abitava già nell’hotel della zona di Punta Carretas - iniziò a profilarsi l’inizio della fine del suo cammino. L’operazione “Jalisco” si mise in moto. Circa cinquanta agenti di polizia erano impegnati nei compiti di vigilanza ed inseguimento del numero due di “Los Cuinis”. Per 24 ore, sia Gerardo che i suoi familiari e le persone a lui vicine erano pedinati da polizia in borghese, tanto a Montevideo quanto a Punta del Este.
Successivamente si è saputo che si è fatto uso anche delle intercettazioni telefoniche, come di norma in questi casi, ma Gerardo, il narcotrafficante, era molto cauto nei suoi dialoghi, principalmente quando riguardava comunicazioni locali per mettersi in contatto con i componenti del suo nucleo familiare e persone vicine. Invece per i contatti con l’esterno, principalmente per conversare con elementi del cartello “Los Cuinis”, Gerardo si serviva di un telefono satellitare, che non poteva essere intercettato.

La giornalista del quotidiano El País aggiunge che “durante la sorveglianza previa all’arresto, la polizia notò dei movimenti in “Quincho Grande”. La famiglia aveva due babysitters messicane, un giardiniere ed una domestica. Questi ultimi abitavano in un’abitazione sita di fronte e percepivano un salario di circa 1.500 dollari. González Valencia non usciva molto, ma non risparmiava lusso, aveva un’Audi del valore di 130.000 dollari. Un imprenditore i cui figli frequentano l’istituto a Punta del Esta ha dichiarato che il narcos si presentava come un cacciatore”.

I giorni successivi a giovedì 21 aprile la stampa di Montevideo iniziò a diffondere dettagli sulla vita del narcos.

Tra altri particolari, si apprende che Gerardo aveva preso contatto con un notaio che fece da intermediario per l’acquisto della proprietà di Punta del Este, oltre a veicoli e quote di una società panamense nel Dipartimento di Maldonado, il tutto per un valore di 550.000 dollari. Il notaio fu indagato ma rimase in libertà, tuttavia in qualsiasi momento potrebbe essere chiamato a comparire davanti alla giustizia.
Sempre El País rende noto che un cittadino italiano, anche lui indagato dalla Giustizia, sarebbe proprietario insieme a Wendy Amaral di un hotel di lusso a La Cruz de Loreto, in Messico, di nome “Hotelito desconocido”. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti avrebbe segnalato che questa proprietà era utilizzata dai “Los Cuinis” per riciclare denaro.

Le autorità hanno ritenuto opportuno adottare “misure speciali” per Gerardo González, che è stato rinchiuso nel nuovo settore di alta sicurezza del Comcar (Complesso Carcerario di Santiago Vázquez). L’intenzione è tenerlo in isolamento impedendogli il contatto con gli altri reclusi.
Potrebbe il numero due di “Los Cuinis” essere vittima di un attentato? I timori non sono infondati. Lui è un veterano dell’ambiente, sa molto di affari, è a conoscenza delle molteplici attività illegali che gestisce il cartello messicano a cui appartiene e infine è un tassello vitale nell’intricato mondo del narcotraffico nel suo paese. Non bisogna scartare che la sua cattura possa risultare pericolosa per certe persone e gruppi del Messico. E forse anche in Uruguay? Inoltre è chiaro che c’è una qualche importante ragione che ha spinto Gerardo a trasferirsi in questo paese, lontano dalla sua terra e del suo gruppo. Forse a causa di differenze con altri gruppi operanti in territorio messicano? Ad ogni modo, è chiaro che il narcos in carcere deve avere estrema protezione.

Per quanto riguarda la richiesta internazionale di estradizione lanciata dagli Usa, Gerardo, già in carcere, sembra disponibile ad accettare l’estradizione perché potrebbe significare una riduzione della pena in quel paese. Una possibilità che di sicuro non tralascerà, ma prima dovrà scontare la pena imposta dalla legge uruguaiana. Per lui inevitabile.

La ciliegina sulla torta: la stampa uruguaiana ha riferito che la polizia, tempo addietro, aveva dichiarato che i narcotrafficanti avrebbero iniziato a servirsi di paesi come l’Uruguay per esportare la loro merce in Europa, ed è quello che è avvenuto. Con l’attuazione del Plan Colombia e di altre misure repressive nella zona del Pacifico, si sarebbe intensificata l’azione dei narcotrafficanti nella zona dell’Atlantico. Anche questo si è avverato. Le autorità avevano detto che da paese di transito l’Uruguay sarebbe diventato un paese di consumo, principalmente di marijuana e pasta base. Oggi è realtà.

6fdf5bSecondo le autorità queste piazze sono convenienti per il riciclaggio di denaro ricavato dalla droga. Il richiamo di allerta è risultato profetico: ben presto parecchi narcos hanno messo radici nella regione, soprattutto in Uruguay. Alcuni alla ricerca della tranquillità, ma non quella del turista, perché la loro presenza è strettamente legata ad affari o attività di riciclaggio di denaro.
Il caso di “Los Cuinis” dimostra chiaramente l’incursione in atto nel Río de la Plata. Specificamente in Uruguay. Incursione che negli ultimi tempi ha portato alla cattura di diversi stranieri. Le autorità hanno riferito che le indagini maturate in seguito all’operazione “Jalisco”, hanno rivelato che le differenze tra gruppi narcos di altri paesi potrebbero spingere alcuni narcos ad andare via dal proprio paese per venire in Uruguay, al fine di riciclare il denaro mediante l’acquisto di proprietà e effettuando investimenti. Ovviamente fissando la propria dimora in zone di lusso, come Punta del Este o altre località marine.

C’è un altro aspetto portato all’attenzione delle autorità che riguarda proprio le divergenze esistenti tra i gruppi narcos stranieri – messicani, paraguaiani e brasiliani - che potrebbero trasformare il nostro paese in un campo di battaglia, con le conseguenze che comporterebbe per la società uruguaiana: sparatorie, regolamenti di conti, scontri con la polizia. Episodi che in un certo modo si vivono già da circa cinque/sei anni, principalmente a Montevideo, ma anche nella zona est della capitale. Non dobbiamo dimenticare le esecuzioni di stampo mafioso, tra i narcos locali, che si stanno verificando in diversi quartieri di Montevideo negli ultimi anni, e un recente caso di regolamento di conti, vittima una coppia paraguaiana, nell’Avda. Giannatasio, un doppio omicidio legato al narcotraffico nella regione che costò la vita ad una giovane studentessa estranea ai fatti.

Il quotidiano El Observador ci dice che nel 2011 il sottosegretario del Ministero dell’Interno, Jorge Vázquez, aveva già messo in guardia del  fatto che narcotrafficanti brasiliani potrebbero allungare il loro raggio di influenza a Punta del Este. Con il passare degli anni i fatti gli hanno dato ragione, anche se in questo caso i narcos sono messicani e non brasiliani.
Riferisce inoltre un episodio molto significativo a questo proposito. Si afferma che uno dei figli di Gerardo ha raccontato alla polizia uruguaiana “che la sua famiglia era venuta in Uruguay, dopo che una donna avrebbe avvisato suo padre che tutti sarebbero stati giustiziati” presumibilmente per mano di un clan rivale.
L’opportuno intervento della polizia ha neutralizzato questo attacco. Nessun morto né ferito. La popolazione ha accolto la notizia dei fatti accaduti con stupore, subito rimbalzati sulla stampa.
Sia per l’efficienza delle autorità dell’Uruguay, sia per gli errori commessi da Gerardo Conzález, l’individuo in questione si trova in questo momento dietro le sbarre. Quale saranno le conseguenze future di questa incursione messicana in Uruguay?

*Foto di copertina: www.zocalo.com.ar
*Foto 2: Chalet “Quincho Grande”: www.eluniversal.com.mx
*Foto 3: cellullari sequestrati: www.subrayado.com.uy

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