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NEWS 258606di Germana Leoni
Le principali crisi internazionali degli ultimi anni hanno avuto il retroterra logistico in un paese crocevia, in grado di sfruttare contraddizioni e degrado dell'Europa.

Fra il novembre 2013 e il gennaio 2014, per ordine di due procuratori della provincia meridionale turca di Adana, quattro camion erano stati fermati dalla polizia poco prima del confine siriano. Scortati da agenti del MIT, il servizio segreto turco, erano diretti in Siria, verso una zona totalmente controllata dai jihadisti.

Al loro interno, occultati sotto confezioni di medicinali, giacevano esplosivi, parti di missili, munizioni varie e mortai semi-assemblati: una prova inequivocabile che precludeva a Recep Tayyip Erdoğan la via d'uscita della 'plausible deniability' e confermava ciò che tutti sapevano da tempo. Tutti, ivi compresi i servizi segreti americani che «avevano accumulato intercettazioni e intelligence sufficienti a dimostrare che il governo Erdoğan aveva sostenuto per anni Jabhat al-Nusra, e ora stava facendo lo stesso con lo Stato Islamico (IS).»[1]

La vicenda era ormai di dominio pubblico, e come tale era stata riportata anche dalla stampa turca di opposizione. Risultato? I due procuratori (Ozcan Sisman e Aziz Takci) che avevano ordinato il sequestro destituiti e arrestati per diffusione di segreti militari; una trentina di ufficiali di polizia e gendarmeria che lo avevano eseguito incriminati dietro accusa di spionaggio e tentativo di rovesciare il governo; il direttore del quotidiano laico di opposizione Cumhuriyet (Can Dündar) e il redattore capo (Erdem Gül) arrestati per tre mesi per spionaggio e propaganda terroristica per aver pubblicato l'inchiesta (la procura ha chiesto per loro l'ergastolo in un processo a porte chiuse); altre dozzine di giornalisti arrestati e/o perseguiti con le medesime accuse; il quotidiano di opposizione Daily Zaman commissariato, occupato dalle forze di polizia e i suoi lettori, accorsi al quotidiano per protesta, attaccati e dispersi con gas lacrimogeni all'interno e all'esterno dell'edificio; due anni e sette mesi di carcere al suo editorialista Bulent Kenes per aver criticato Erdoğan; commissariata anche l'agenzia di stampa Cihan News Agency e abortito con essa il neo quotidiano Yarina Bakis; divieto assoluto a tutti i media di trattare l'argomento; un reporter del quotidiano Hürriyet picchiato a sangue per aver rivelato che due prominenti leader di al-Qa'ida e ISIS, feriti in combattimento, erano stati curati in due ospedali turchi... [2]

E ancora non era tutto: violenta repressione per ogni manifestazione o qualsivoglia forma di dissenso; social network oscurati; massacri di curdi e le loro città sotto coprifuoco e/o assedio; assassinato il leader degli avvocati curdi Tahir Elci; 1200 accademici sotto inchiesta e 21 arrestati per aver lanciato e/o firmato una petizione che chiedeva di fermare i massacri e le deportazioni dei curdi... Per non parlare della deriva islamista del Il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), il partito di Erdoğan legato alla Fratellanza Islamica: stretta su aborto e alcool, divieto a tatuaggi e trucco nelle scuole pubbliche per le studentesse, e per contro via libera al velo islamico che era stato bandito da Musfata Kemal Atatürk. Proibito anche tingersi i capelli e baciarsi in pubblico... e così via.
È questa la Turchia del nuovo sultano, la roccaforte della Nato in Medio Oriente che non riconosce nemmeno il genocidio armeno: il paese che il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk ha definito "partner chiave nella lotta al terrorismo." Ed è questa la Turchia che aspira nuovamente a entrare nell'Unione Europea: un'opzione per lungo tempo in stallo e ora scongelata da Angela Merkel.
Contestata per la sua politica di accoglienza, la cancelliera tedesca decideva di affidarsi a Recep Tayyip Erdoğan per arginare il flusso dei rifugiati, i provvidenziali strumenti di ricatto del sultano: un intervento che, vista la sua propensione al rispetto dei diritti umani, rischia di tramutarsi in confino in campi di internamento, dei quali non è difficile immaginare le condizioni, e in successive deportazioni di massa dei respinti dagli arbitrari processi di screening verso i paesi dai quali erano fuggiti, e cioè dagli orrori delle guerre che noi stessi abbiamo portato a casa loro.

Denunciava al riguardo Gauri van Gulik, vicedirettore di Amnesty International:
-        «Usare la Turchia come 'paese terzo sicuro' è assurdo. Molti profughi vivono tuttora in orribili condizioni, alcuni di loro sono stati deportati in Siria mentre le forze di sicurezza (turche) sparano ai siriani che tentano di passare la frontiera... Amnesty ha già documentato detenzioni illegali e deportazioni di profughi da parte della Turchia da quando è stato firmato l'accordo iniziale dell'ottobre 2015...»[3]

Rincarava la dose The Independent: «Famiglie che fuggono dalla carneficina di Aleppo vengono accolte alla frontiera turca con proiettili e pestaggi».
Il quotidiano britannico confermava che una media di due persone al giorno raggiungono l'ospedale di Azaz, cittadina siriana nei pressi del confine, con ferita da arma da fuoco subite nel tentativo di passare il confine. Anche bambini fra i casi, come da denuncia del Dr. Ali al-Saloum, ortopedico dell'ospedale che ha raccontato di una bimba di un anno ferita da uno sparo alla testa.[4]

Questo è insomma il 'paese terzo sicuro' cui Angela Merkel ha delegato la deportazione dei rifugiati. E tutto a spese dei contribuenti europei...
E sì... perché a fronte della generosa 'collaborazione', il sultano riceverà sei miliardi di euro, dei quali tre subito e altri tre entro due anni, con il risarcimento aggiuntivo della liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, che già dall'anno in corso potrebbero entrare e girare per l'Europa a piacimento. Jihadisti inclusi naturalmente, che abbondano nel paese dei balocchi.
Lo ha confermato nel gennaio 2014 persino il generale Aviv Kochavi, all'epoca capo dell'intelligence militare israeliana, secondo il quale le basi di al-Qa'ida, dalle quali i suoi militanti attaccano la Siria, sono in Turchia.[5]

Ma l'aspetto più inquietante dell'accordo sottoscritto a Bruxelles nel marzo 2016 è l'accelerazione caldeggiata da Angela Merkel e imposta al processo di adesione di Ankara all'Unione Europea, la stessa che paradossalmente proprio la Germania aveva contrastato.
Bizzarro... Ora la Merkel sostiene che per risolvere il problema dell'esodo dei profughi non serva bloccare Schengen, ma solo rafforzare le frontiere esterne dell'Europa. E così trasforma i profughi in merci di scambio, li impacchetta e li rispedisce in Turchia, salvo poi accogliere il paese all'interno dell'Unione e riprendersi così l'intero pacco... inclusivo dei profughi naturalmente, o meglio di quelli rimasti, di quelli sfuggiti alle deportazioni di massa e ai trattamenti in 'stile-curdi'.

Ma tutto questo ancora non basta! Ankara sta infatti tentando di sfruttare ulteriormente la situazione a suo vantaggio, reclamando la necessità di una "zona franca" per far spazio ai rifugiati (sic), di fatto quella no-fly zone alla quale aspira da tempo per arrivare ad Aleppo con la benedizione e soprattutto i miliardi della complice Unione Europea. Una zona-cuscinetto dunque, al cui interno addestrare i 'moderati' (sic) per combattere quello Stato Islamico che parallelamente arma e che apparentemente finanzia contrabbandandone reperti archeologici e petrolio, come evidenziato inequivocabilmente dalle immagini satellitari russe e dai documenti rinvenuti nei covi dei jihadisti dopo la liberazione di Palmira.
Al riguardo il viceministro della Difesa russo Anatoly Antonov ha apertamente accusato il presidente turco di aver fatto del petrolio un affare di famiglia, con suo genero (Berat Albayrak) eletto a ministro dell'Energia e suo figlio Bilal a capo di diverse società di trasporti marittimi. Alcune di esse dispongono di un molo a Ceyhan, già terminale petrolifero del BTC, l'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan che convoglia sul Mediterraneo il petrolio del bacino del Mar Caspio passando per la Georgia, estromettendo così la Russia dal suo percorso e sottraendole pertanto una buona fetta di mercato. Ed è su Ceyhan che pare venga convogliato il petrolio dell'ISIS, per poi essere dirottato su Malta e da lì inoltrato al mercato nero. Ceyhan è curiosamente a pochi km dalla base militare americana di Incirlik.
Fin qui le accuse dirette di russi, siriani e di autorevoli ricercatori europei. Ma nel gennaio 2016 nell'argomento interveniva a sorpresa il ministro della Difesa israeliano Moshe Ya'alon:
-        «Per un tempo molto lungo la Turchia ha consentito di spostarsi fra Europa, Siria e Iraq ai jihadisti della rete di Daesh... Daesh ha beneficiato del denaro turco in cambio del petrolio... Ora sta alla leadership turca decidere se tutto questo debba finire, se la Turchia possa essere parte dello sforzo regionale mirato a combattere il terrorismo, invece che a sostenerlo.»[6]
Un'accusa trasversale e cifrata ma al tempo stesso diretta, che nasconde molto più di quanto non dica e sottintende un chiaro ultimatum non necessariamente diretto solo alla Turchia. Resta pur sempre una pesante accusa che conferma il contrabbando turco del petrolio che Daesh ha sottratto a siriani e iracheni, e che più in generale conferma il sostegno di un paese membro della Nato ai taglia-gole che combattono, spesso inconsciamente per procura, contro il presidente siriano, unico vero ostacolo regionale alla realizzazione delle aspirazione neo-ottomane del nuovo sultano, e in contemporanea alla realizzazione del Grande Medio Oriente nel contesto del Nuovo Grande Gioco.

Ora Erdoğan gioca la carta del salvatore dell'Europa assediata. Ma resta il problema, e non la soluzione. E come tale si appresta a entrare nell'Unione Europea. E va bene così, perché questa Europa, che ha perso ogni statura morale, è degna di questa Turchia.

NOTE
[1]  Seymour Hersh - "Military to Military" - London Review Books - 7 gennaio 2016.
[2]  Si tratta di Emrah Cakan (ISIS) e Abu Muhammed (al-Qa'ida), ricoverati rispettivamente nell'aprile 2014 al Hatay State Hospital e nel febbraio 2015 all'ospedale di Denizli.
[3]  Amnesty International - "EU-Turkey Summit: don't wash hands of refugee rights" - 7 marzo 2016.
[4]  The Independent - "Turkish guards attack refugees and push them into the arms of smugglers" - 5 marzo 2016.
[5]  Dan Williams - "Israeli general says al Qaeda's Syria fighters set up in Turkey" - Reuters - 29 gennaio 2014.
[6]  Hassan Hafidh e Benoit Faucon - "Iraq, Iran, Syria sign $ 10 billion pas-pipeline deal" - The Wall Street Journal - 25 luglio 2011

Tratto da: megachip.globalist.it

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