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Aylandi Asmae Dachan
Sono passati solo tre mesi da quel 2 settembre 2015, quando l’immagine del piccolo Aylan Kurdi, riverso su una spiaggia turca dopo l’ennesima tragedia del mare, sembrava aver scosso le coscienze dell’umanità intera.
Nelle redazioni giornalistiche si è discusso animatamente sull’opportunità o meno di pubblicare la foto di quel piccolo innocente, col volto a terra, ucciso anche dall’indifferenza del mondo. Sono state citate in ballo le regole del giornalismo, la deontologia, la Carta di Treviso. La mattina dopo, anche in Italia, la maggior parte dei quotidiani sbatteva i prima pagina l’ultima, drammatica immagine di quel bimbo curdo nato in Siria, che dalla Siria martoriata dai bombardamenti stava fuggendo. Io ho pubblicato quelle drammatiche immagini per coerenza, perché sono quasi cinque anni che denuncio la morte di innocenti, pubblicando le loro immagini per dare loro un volto, una dignità che i soli numeri delle vittime non darebbero.
Una pioggia di “mai più” e “ora basta” pareva aver indicato la via per un cambiamento, per una maggiore sensibilità rispetto ai drammi dei profughi in fuga dai massacri in Siria e non solo. In questi tre mesi di bambini, in quello stesso tratto di mare e per le stesse ragioni, secondo i dati pubblicati da numerose Ong che operano nell’assistenza ai profughi e nel campo dei diritti umani, ne sono morti oltre 80. I loro corpicini recuperati da soccorritori increduli, insieme a quelli dei genitori e di altri disperati uccisi dalle onde, mentre in Siria, nella loro terra, nelle loro case, l’aviazione governativa e quella russa continuano i bombardamenti indiscriminati, mentre le forze terroriste proseguono praticamente indisturbate la loro guerra per procura.
Altre ottanta volte, denunciano le associazioni umanitarie internazionali. Innocenti che si uniscono alle decine di piccoli che rimangono uccisi dalle bombe, dagli spari e dall’assedio, che non allenta la sua morsa.
La Siria sta morendo e i suoi figli riversi in mare come delfini senza vita sono diventati una triste abitudine per gli sguardi distratti del mondo.

Tratto da: diariodisiria.wordpress.com

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