Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

monzon uberfilLe tue idee, la tua lotta e la tua sete di giustizia rimarranno con noi
di Jean Georges Almendras
Domenica 25 ottobre 2015 ci ha lasciato all’età di 86 anni il sacerdote uruguaiano Uberfil Monzón.
Chi come noi ha avuto l'opportunità di conoscerlo sentirà la sua mancanza. Ma la sentirà ancora più profondamente, con più dolore, chi ha avuto l'opportunità di lavorare gomito a gomito con lui, così come tutte quelle persone verso le quali si è prodigato con amore e dedizione e che non troveranno le parole giuste per ricordare la sua memoria e rendergli onore.
Il sacerdote cattolico Uberfil Monzón, nato nella città di Nuova Palmida, dipartimento di Colonia, Uruguay, è stato uno di quegli uomini che, vivendo fino in fondo la sua vocazione, ha seminato giorno per giorno coscienza ed amore verso il prossimo. Un religioso impegnato nelle cause giuste e nelle lotte sociali.
Lo avevo incontrato e dialogato con lui in più occasioni; conoscevo la sua intensissima vita di prete terzimondista, che aveva vissuto la repressione della dittatura di Stroessner sulla propria carne, quando andò in Paraguay negli anni Settanta. Ma solo grazie ad un’ampia intervista concessa ad AntimafiaDuemila nel 2009, ho potuto constatare e sono rimasto colpito dalla sua personalità ed umiltà, ho conosciuto da vicino il suo pensiero, le sue idee e la sua lotta costante in favore dei bisognosi, degli emarginati e di quelli che giornalmente soccombono sotto il peso dell’opulenza e dell'egoismo.
La stampa uruguaiana non ha dato molto risalto alla sua morte, quasi a voler ignorare la vita di impegno e di servizio verso il prossimo di questo uomo. Paradossalmente, ciò lo rende ancora più grande e lo tutela dalle ipocrisie di un sistema solo in apparenza riconoscente, ma in realtà soffocante e ingrato.
Cinque anni fa, il sacerdote Uberfil Monzón di anni ne aveva 80, e diventò direttore dell’Istituto Nazionale dell’Alimentazione (INDA) e presidente onorario del Patronato Nacional de Carcerados y Liberados, e formava parte anche del Comité de Etica del Frente Amplio.

È stato il primo sacerdote cattolico ad occupare una carica pubblica in un governo di sinistra. Successivamente un altro sacerdote, Mateo Méndez, sarebbe stato chiamato alla guida di un’istituzione di rilievo, l'INAU (Instituto del Niño y del Adolescente Uruguay), dove si trovò ad affrontare duramente il cerchio imposto dalla corruzione radicata nell’istituzione e nel sindacato del settore, all’interno degli istituti di reclusione per minori, al punto che fu costretto a rinunciare, forse per non aggravare le contrarietà già esistenti.
Senza nulla togliere a Mateo Méndez, e tornando a Uberfil, il giornalista Mauricio Cavallo scrisse un libro su di lui, dal titolo: “Uberfil Monzón. Cristianesimo, martirio ed impegno politico". Un testo testimoniale che raccomandiamo leggere approfonditamente.
Quando lo intervistammo nel 2009 il sacerdote, guardandoci con quella espressione di tenerezza negli occhi, ma con l’animo forte dell'uomo combattente, ci disse - senza mezze parole - che poco dopo l’assunzione della sua carica all’INDA, dichiarò alla stampa che “c'è gente che muore di fame, e di fronte a situazioni critiche l'uomo ha diritto di preservare la propria vita e la propria salute, e quindi, in casi estremi non gli resta altra scelta che rubare. Lo Stato deve garantire la sovranità alimentare”.
E fu proprio questo principio a caratterizzare la sua gestione: difendere ed assicurare la sovranità alimentare nella comunità dove viveva. Spesso ripeteva: “La povertà più grande è perdere la dignità essere persone”.
Bisogna ricordare anche che, negli anni Sessanta, Monzón partecipò attivamente nella trasformazione del quartiere "La Cachimba del Piojo", e nei suoi ultimi anni di vita lavorò, con lo stesso impeto dei suoi tempi giovani, e con la stessa dedizione, in una mensa di Colinas de Solymar, assistendo oltre 80 bambini bisognosi.
Uberfil Monzón, ci ricordava tanto, e ci ricorda ancora, il sacerdote italiano Don Luigi Ciotti, un combattente instancabile nella sua terra nativa, Italia.
Uberfil Monzón, ci ricordava tanto, e ci ricorda ancora oggi, il sacerdote uruguaiano Rubén Isidro Alonzo, conosciuto come "Padre Cacho" deceduto qualche anno fa lasciando in noi uruguaiani un lascito incalcolabile, soprattutto tra i più bisognosi che vivono in zone periferiche della città di Montevideo.
Uberfil Monzón, ci ricordava tanto, e ci ricorda ancora oggi, il sacerdote uruguaiano Mateo Méndez, oggi simbolo della lotta sociale a sostegno dei giovani che vivono in strada, emarginati, o caduti nella tossicodipendenza, nella città de las Piedras.
Uberfil Monzón, ci ricordava tanto, e ci ricorda ancora oggi, il sacerdote argentino Carlos Mujica, ucciso da membri della triple AAA in Argentina, ai tempi della terribile dittatura militare di Videla.
Uberfil Monzón, ci ricordava tanto, e ci ricorda ancora oggi, il vescovo di Recife, Brasile, Hélder Cámara, il quale, alla sua veste di autorità ecclesiastica, preferiva vestire i panni dei più bisognosi della sua comunità, guadagnandosi l’appellativo di “Vescovo rosso", per la sua dedizione al prossimo.
Uberfil Monzón, ci ricordava tanto, e ci ricorda ancora oggi, il sacerdote colombiano Camilo Torres, morto a colpi di pistola mentre combatteva insieme alla guerriglia del suo paese.
Uberfil Monzón, ci ricordava tanto, e ci ricorda ancora oggi, tutti quelli uomini e donne, laici, atei e religiosi che hanno lottato, e lottano, per un mondo migliore. Per un mondo senza povertà, senza "quegli esseri che hanno perso la dignità di essere persone”.
Nonostante le avversità, le torture a cui i potenti li sottopongono, gli uomini (ed i religiosi) come Uberfil Monzón, ispirati nella fede e negli ideali di giustizia, non fanno altro che rivoluzionare questa società patetica nella quale ci troviamo.
Durante la sua prigionia in Paraguay, accusato di essere vincolato al MLN Tupamaros, fu sottoposto a tortura. Così ricordava quei momenti nell’intervista di Mauricio Cavallo, autore del libro sopracitato: “L’idea della tortura è qualcosa molto difficile da sopportare, credo sia una delle cose più demoniache che si possa concepire. Io ho vissuto l'esperienza di Dio che si è fatto presente. Un giorno dissi che volevo parlare. Mi portarono in un’altra stanza e sentii che non potevo farlo, che era una canagliata. Da quel momento, ormai sull'orlo della morte, sentii che Dio mi dava la forza per affrontare la sofferenza".
Sempre l’autore del libro gli chiese: Come vorresti andare via da questa vita? Il sacerdote rispose: “Cosciente di aver fatto tutto ciò che è in mio potere per fare il bene".
Ed è per questa ragione, tanto semplice quanto immensa, che le idee del sacerdote Uberfil Monzón sono la nostra lotta, pur consapevoli di non arrivare alla sua elevata figura. Grazie, padre Monzón

ARTICOLI CORRELATI

Padre Monzon: restituiamo ai poveri la dignita' umana

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos