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senzatetto-c-erika-pais-claudio-di-mauro-di Jean Georges Almendras - 25 Agosto 2015
Uno
Nella fotografia, in bianco e nero, vediamo un  negozio con le serrande abbassate, in un angolo qualunque di Montevideo. All’ingresso del locale, vediamo un  uomo avanti negli anni con un berretto nero in testa. Sta riposando su alcune coperte ed un copriletto, distesi sul marciapiedi a mo' di materasso. L'uomo si è sistemato sotto il balcone di un primo piano per ripararsi dalla leggera pioggia e dal vento. E' reclinato contro la parete, appoggiato sul suo braccio destro, si scalda e si protegge dalle inclemenze del tempo con delle coperte visibilmente logorate. L'uomo osserva la fotografa in silenzio. Anche il cane che lo accompagna ha addosso uno straccio che gli copre il corpo, come fosse una mascotte. Osserva con attenzione la persona con la videocamera. L'animale non abbaia ma si mette all'erta. È l'unico compagno del solitario uomo. Entrambi vivono in strada e le proprietà dell’uomo sono su un carrello del supermercato accostato contro il bordo del marciapiede. Così vive quest'uomo. La strada è la sua casa, piova o tuoni. Non sappiamo da quando nè perché.  

Due  
Questa immagine ed altre ancora, simili tra loro, sono state scattate dalla giornalista e fotografa di Antimafia Dos Mil Erika País lungo le strade della capitale dell'Uruguay, ed esibite nella Plaza de la Libertad (denominata anche Cagancha), in centro città, nell’ambito di una mobilitazione organizzata dalla nostra redazione e dall'Associazione Culturale Un Punto en el Infinito: una manifestazione indetta per il 14 agosto di quest’anno. Una sera piovosa e fredda.
“Si tratta di un gesto di solidarietà per smuovere le coscienze sulla reale situazione in cui vivono tutte le persone che per differenti motivi vivono in strada. La nostra idea è quella di rimanere tutta la notte nella Plaza de la Libertad, come loro, manifestando ed informando la popolazione su questo tema" ci spiega la collega.  

Tre  
È stata una mobilitazione inedita in Uruguay, prima di tutto perché l’appello consisteva nel rimanerci tutta la notte. Hanno aderito oltre venti persone che portavano uno striscione dove si leggeva: “Senza giustizia non c'è felicità sociale". Sono stati distribuiti volantini con il titolo "Tutti siamo responsabili", ed abbiamo parlato con tutte le persone che si trovavano a passare dalla piazza dopo le sette di sera. Abbiamo anche improvvisato un’esposizione con circa una dozzina di fotografie scattate da Erika País, che ritraevano molti uruguaiani ed uruguaiane che vivono in strada.   

Quattro  
La stessa sera della mobilitazione, le autorità del governo hanno dovuto dichiarare lo stato di emergenza in tutto il paese dovuto alle intense piogge che da alcuni giorni imperversavano sul territorio nazionale. La sede scelta per la mobilitazione è stata la Plaza de la Libertad, dove si stava svolgendo una manifestazione di giovani (che si ripete ogni anno), in onore dei martiri studenteschi degli anni Settanta, diverse zone dell'Uruguay erano pesantemente colpite dalle piogge e dai venti. Le inondazioni hanno richiesto l'intervento di pompieri, polizia ed esercito, evacuando circa mille persone in vari luoghi. Personale militare aveva provveduto a montare delle tende e a distribuire del cibo per le molte persone evacuate.
"Come comunità umana facente parte di questa società, comprendiamo che la vera solidarietà deve essere attuata in maniera orizzontale. La solidarietà che si realizza in modo verticale, cioè dall’alto verso il basso, non è solidarietà, ma è carità. Che pur essendo un gesto disinteressato a favore del prossimo, lo stesso non riesce ad incidere in tutte quelle circostanze all’origine del degrado umano e che riduce alcuni esseri umani a dormire, mangiare e vivere nelle vie pubbliche" si legge nei volantini distribuiti ai passanti.  
Molti ci chiedevano: “In che modo si serve il prossimo?. La risposta da parte di Erika País, una delle promotrici della mobilitazione: "Per servire il prossimo, ma servire ed essere solidale realmente, dobbiamo farlo sempre, dalla prospettiva e dall'ottica di chi riceve quel servizio, aiuto o gesto di solidarietà. Se noi offriamo il nostro aiuto da una propria visione e posizione, senza coinvolgimento personale, è soltanto un atto di assistenzialismo base. Cioè, risolviamo per una notte, un giorno, una situazione determinata, ma condizioniamo l'altra persona a due cose: a dipendere sempre da quel gesto continuo e superfluo, e di conseguenza a perdere gradualmente con il tempo la propria identità e personalità. Ciò si deve al fatto che l’atto di generosità è accettato senza tener conto delle ragioni di base che hanno spinto la persona alla situazione di abbandono. Siano queste economiche, sociali o mediche. Da questo punto di vista i rifugi notturni offerti dallo Stato, sono insufficienti”.

Cinque  
Qualche settimana prima del giorno della mobilitazione ho visto in diretta il telegiornale di Telemundo, Canal 12, condotto dalla giornalista Iliana Da Silva, sul tema dei senzatetto. La collega, che io conosco e con cui ho lavorato per molti anni per il telegiornale di canal 4, chiedeva ad alcune persone che vivevano sotto il ponte dell'Avenida Sarmiento, sul Boulevar Artigas, nella zona del Parco Rodò di Montevideo, i motivi per i quali molte persone che vivevano in strada decidevano di non usufruire dei rifugi messi a disposizione dallo Stato.  
Gli intervistati, che avevano raccontato la loro vita alla giornalista, segnalavano che i rifugi erano molto distanti e dovevano lasciarli nelle prime ore del mattino, sia che ci fosse sole o pioggia, e poi non si sentivano al sicuro nei rifugi, perché spesso si trovavano a pernottare con persone che rubavano i loro scarsi valori. Inoltre, andare nei rifugi significava lasciare incustodite le loro proprietà, seppur modeste. Di conseguenza, preferivano dormire nello stesso posto dove trascorrevano la giornata, riparandosi  - come in questo caso - sotto un ponte, in una piazza, vicino a un albero, o sotto la grondaia di qualche casa o negozio chiuso o abbandonato. Aggiungendo inoltre che rimanere in strada e in una zona determinata permetteva loro di svolgere piccoli lavori, come quello di custodire automobili guadagnando qualcosa per comprarsi da mangiare. In definitiva, per loro i rifugi non erano una risposta favorevole da parte dello Stato.   
Il cameraman che accompagnava la collega durante la realizzazione del servizio in diretta, in una notte fredda, filmò alcune persone mentre cucinavano in una piccola pentola poggiata su un grande muro, sotto il ponte dell’Avenida Sarmiento.  Il falò improvvisato serviva anche per dare il calore necessario per sopportare la notte, coprendosi anche con delle coperte, e distesi su dei cartoni a mo' di materasso. A lavoro terminato i colleghi hanno lasciato il posto. I radioascoltatori che hanno visto il servizio, hanno appresso l’informazione e hanno continuato con le loro cose nel comfort della loro casa.   

Sei   
"Esiste un mondo attorno alla persona che vive in strada, e noi dobbiamo entrare in quel mondo per riuscire ad aiutarla. Generalmente cerchiamo di aiutare dalla nostra realtà senza analizzare la situazione in profondità" aggiunge Erika País. Vicino a lei ci sono altri attivisti dell'Associazione Culturale Un Punto en el Infinito. Alcuni portano uno striscione, cercando di tenerlo stretto per il forte vento. Piove leggermente. Inizia ad albeggiare a Plaza Libertad, le prime luci permettono di individuare le sagome di quelle persone che non vivono in strada, ma che quella notte cercano di sentire (forse molto parzialmente o fugacemente), cosa significa rimanere alle intemperie per alcune ore. Una specie di avvicinamento ad una realtà molto distante da quella vissuta da ognuno di loro. Nelle strade, le persone vivono con quello che hanno addosso; senza lavoro fisso; senza copertura medica; senza un tetto; senza alimenti in frigorifero; senza intimità. Liberi da obblighi economici verso il sistema finanziario e lo Stato. Vivono alla giornata. Sopravvivono grazie alla solidarietà dei vicini o hanno una magra pensione. La maggior parte di loro non delinquono, ma ugualmente sono discriminati, emarginati, considerati inclini al delitto e all’ozio, e sono aggrediti verbalmente e persino fisicamente da alcuni cittadini che si vantano di essere "civilizzati" e "bravi montevidiani”.

Sette    
"Comprendiamo che il tema non può essere analizzato attraverso la politica di partito che compete soltanto al governo di turno. La situazione di queste persone interessa tutti gli uruguaiani come società, ed il mondo intero come modello umano. Perché la base sta nella distribuzione della ricchezza e nella nostra visione del mondo che ci circonda. Si tratta di come percepiamo la nostra esistenza e quella degli altri. Vediamo la marginalità come un fenomeno nettamente sociale, estraneo a noi, o come un segnale di allerta di fronte a quello che stiamo realizzando come esseri umani. Perché se esiste una sola persona che vive in strada, non importa le ragioni, sono tutte risolvibili, qualunque essi siano" ci dice Erika País.  

Otto  
A un certo punto della notte, in Plaza Libertad, uno scenario emblematico di mobilitazioni riguardanti soprattutto rivendicazioni sul tema della giustizia, gradualmente si sono avvicinate persone che in passato avevano vissuto in strada ed altri che ci vivevano attualmente. In questa piazza è stato possibile conoscere gli uni e gli altri. A quelli che ieri hanno sofferto sulla propria pelle l’abbandono da parte di un sistema perverso ed a quelli che si sentono affondare nella solitudine delle strade della città.   
È stato il momento giusto per ascoltare attentamente storie di vita. Per far sì che emergessero le ombre e le luci della vita in strada. In modo tale che tutti gli estranei a tale realtà facessero un confronto tra le loro rispettive storie e quelle degli altri. Le storie della strada. Delle persone che vivono lo stigma dell'esclusione, costrette a soffrire e sopportare i trattamenti e gli sguardi di rifiuto di quegli esseri umani che non riescono a comprendere che l'esistenza di quelli straccioni fanno anche parte della storia dell'umanità, e di conseguenza fanno anche parte della nostra società. Della stessa società nella quale tutti nasciamo, ma non necessariamente abbiamo le stesse possibilità di educazione e sviluppo, perché sono ancora latenti le differenze sociali e le differenze economiche. Perché, sfortunatamente non siamo tutti uguali.  

Nove  
"Questa è una chiamata alla riflessione che porti all’azione, ma azione reale, concreta e vera, da parte di tutti gli uruguaiani. Professionisti o no, tutti possiamo fare qualcosa che vada oltre la semplice assistenza. Tutti possiamo riuscire a comprendere realmente cos’è la giustizia sociale, e svilupparla apertamente, da qualsiasi nostra realtà, per costruire una società felice e giusta" sono state le conclusioni finali della fotografa e giornalista Erika País rimasta insieme ai "senzatetto" nella Plaza de la Libertad fino all'alba, con altri partecipanti alla mobilitazione.

Dieci   
Anni fa ebbi un dibattito con un vecchio amico cameraman. Facevamo parte dello staff di Telenoche, di Canal 4, e lavoravamo per le strade di Montevideo come giornalisti di cronaca nera. Ogni volta che vedevamo i senza tetto, io gli dicevo che tutta la società, in qualche misura, era responsabile di quel deplorevole modo di vivere, Ovviamente, lui dissentiva. Differivamo radicalmente su questi temi. Non era questione di chi avesse ragione. Si trattava soltanto di vedere una stessa situazione da punti di vista diversi. Anni dopo tutti e due ci siamo ritirati dalle nostre attività di giornalisti, io sono ancora dello stesso pensiero ed il dramma di chi vive in strada è ancora una delle problematiche sociali più drammatiche di Montevideo.  

Epilogo
Noi, che non viviamo in strada e abbiamo tutto, che crediamo di essere liberi, a volte non diamo valore alla vita e molto frequentemente siamo indifferenti alla sofferenza altrui. Ed erroneamente pensiamo di non essere responsabili di quelle vite alla deriva. In realtà, siamo responsabili ovunque volgiamo lo sguardo.    
"Gesù non disse di aiutare il nostro prossimo. Disse di amare il prossimo come se stesso - mi ricorda Erika Pais - Allora, dobbiamo amarlo e non ritenerci soddisfatti aiutandoli soltanto a metà. Dobbiamo vedere in loro noi stessi, perché altrimenti stiamo soltanto lavando le nostre colpe". Lavare le colpe. Proprio quello che più frequentemente fa lo Stato.

foto © Antimafia Dos Mil Uruguay-Erika País Claudio Di Mauro 

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