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putin-vladimir-web2di Nicola Lombardozzi - 17 giugno 2015
Saranno assegnati alle forze armate entro l’anno. Il presidente: “In nostro arsenale contro chi ci minaccia” Stoltenberg: “Tintinnio di sciabole pericoloso”. Juncker: “Pronti a ricorrere agli strumenti di difesa della Nato”

Mosca. Nella Nuova Guerra Fredda, ormai praticamente dichiarata tra Russia e Stati Uniti, non poteva mancare il capitolo più inquietante che negli anni Sessanta turbò i sogni di un’intera generazione: la corsa agli armamenti nucleari. E ha proprio un sapore da Guerra Fredda l’annuncio di ieri mattina di Vladimir Putin davanti a una selezionata platea di generali e dirigenti dell’industria bellica: «La Russia dislocherà entro la fine dell’anno più di quaranta nuovi missili balistici intercontinentali che saranno assegnati alle nostre forze nucleari ». Seguiva una precisazione che provocava l’applauso entusiasta dei presenti: «Sono missili super evoluti, capaci di resistere ai più sofisticati sistemi di difesa antiaerea». Un chiaro riferimento alle tante voci, mai smentite con convinzione, di ulteriori rafforzamenti da parte americana dell’arsenale missilistico a medio raggio in Asia e in Europa, in particolare nelle repubbliche baltiche. Reso più esplicito in serata dopo un incontro a Mosca con Sauli Niinisto, presidente di una Finlandia neutrale ma molto preoccupata dai movimenti di truppe ai confini. Putin ha ribadito i toni decisi del mattino: «Siamo pronti a schierare le nostre forze ovunque vengano minacce di altri eserciti».

Quanto basta per far reagire il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg: «Un tintinnio di sciabole ingiustificato e pericoloso». E naturalmente per sollevare la «forte preoccupazione » del segretario di Stato Usa John Kerry riguardo a «un annuncio che non avremmo mai voluto sentire».
Dalle sanzioni, le liste nere, i dispetti reciproci, i continui scambi di accuse, si è dunque ripiombati nel vecchio schema della deterrenza nucleare. E come negli anni della psicosi della bomba tornano in auge gli esperti di strategia che dibattono con freddo linguaggio tecnico di megatoni e gittate, di obiettivi da annientare, di pronta reazione di difesa.
In realtà l’annuncio di Putin sarebbe, per il momento, più di valore politico che militare. Secondo gli esperti, i quaranta e passa nuovi missili farebbero parte di un ricambio, già programmato da tempo, di altri ordigni in attività di servizio. Si tratterebbe di sostituire con i modernissimi Jars (versione aggiornata del Topol M) gran parte degli R-36M, classificati dalla Nato con il significativo nome in codice di “Satana”. La loro messa in pensione si è resa necessaria, quasi indispensabile. I “Satana” sono stati infatti prodotti dalla fabbrica Juzhmash di Dnepropetrovsk, nel cuore dell’Ucraina adesso nemica. E la loro manutenzione è gestita da tecnici e personale ucraino con i quali è ovviamente saltato ogni rapporto di fiducia.
Scelta dovuta dunque che però non tranquillizza affatto. Se non è ancora un vero e proprio riarmo, è evidente che la Russia stia affrettando i tempi e concentrando fiumi di denaro per modernizzare e rendere il più letale possibile il suo arsenale e il suo esercito. Entrambi dati per decaduti e in difficoltà ma adesso in grande ripresa anche sul piano dell’addestramento come hanno ammesso gli stessi esperti militari americani commentando lo svolgimento “chirurgico” dell’annessione della Crimea. E la spesa per l’industria bellica, già più che raddoppiata in meno di un anno, dovrebbe crescere ancora nei prossimi mesi. Al suo pubblico di addetti ai lavori, radunati in una sorta di fiera delle armi chiamata “Parco Patriot”, Putin ha decantato le meraviglie del super carrarmato “Armata”, visto in azione per la prima volta sulla piazza Rossa nella parata del 9 maggio, e ha promesso: «Nuove armi che non avranno uguali negli eserciti del resto del mondo».
E c’è un’altra questione ancora più scottante. Una settimana fa la Associated Press aveva diffuso un’indiscrezione mai confermata che ha fatto molto preoccupare il Cremlino: «Gli Usa avrebbero intenzione di dislocare postazioni di missili a medio raggio in Asia e in Europa, puntati su obiettivi militari russi». Si tratterebbe della rottura del cosiddetto patto Inf, siglato nel 1987 da Gorbaciov e Reagan che metteva fuori di scena le armi puntate l’una contro l’altra dai due Blocchi. Gli americani temono che i russi possano infrangere l’accordo, i russi protestano ma studiano le contromisure. Quella firma di 27 anni fa rappresentò per molti la fine definitiva della Guerra Fredda che adesso è invece nuovamente aperta.

Tratto da: La Repubblica del 17 giugno 2015

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