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hinton-anthony-ray-liberatoAnthony era indigente e il perito “un ciarlatano guercio”
di Paolo Mastrolilli - 5 aprile 2015
«Dovrete risponderne a Dio». Così Anthony Ray Hinton si è rivolto ai giudici che lo avevano condannato a morte, quando venerdì mattina è uscito dalla galera dove ha passato ingiustamente tre decadi della sua vita. Poi ha aggiunto: «Devo perdonare. Ho passato trent’anni all’inferno, e ora non voglio morire e andarci sul serio. Perciò devo perdonare. Non ho scelta».  

La condanna
Anthony era stato condannato nel 1985 per gli omicidi di John Davidson e Thomas Wayne Vason, due manager di ristoranti che lavoravano a Birmingham, in Alabama. Non c’erano elementi chiari che dimostravano la connessione fra questi due delitti, ma i procuratori avevano deciso comunque di collegarli, avviando un’inchiesta unica che includeva anche una terza sparatoria, dove invece la vittima era stata ferita. Non c’erano neanche elementi che indicavano Hinton come il colpevole, ma gli inquirenti aveva deciso lo stesso di puntare il dito contro di lui, anche se alcuni testimoni avevano detto di averlo visto a diversi chilometri di distanza dai luoghi degli omicidi. Anthony era nero e povero, e quindi rappresentava un bersaglio facile. In più a casa sua la polizia aveva trovato una pistola, costruendo così la teoria che quella era l’arma usata in tutte le tre sparatorie. 

Siccome Hinton era indigente, il tribunale gli aveva assegnato un difensore d’ufficio, Sheldon Perhacs. Il caso ruotava tutto intorno alla perizia sulla pistola, che rappresentava la prova centrale, e l’avvocato aveva assunto un esperto per dimostrare che i proiettili usati dal killer non erano usciti dalla canna di quell’arma. Però aveva capito che aveva solo mille dollari per ingaggiarlo, e quindi aveva preso un ingegnere civile mezzo cieco senza alcuna esperienza nel settore, che poi lo stesso procuratore avrebbe definito «un ciarlatano guercio». Eppure il processo si era basato su di lui e Anthony era stato condannato a morte. 

Pregiudizio razziale
Hinton aveva continuato a sostenere la sua innocenza e aveva avuto la fortuna di attirare l’attenzione di Bryan Stevenson, avvocato e direttore della Equal Justice Initiative, che si era preso a cuore la sua vicenda. Per tre decenni l’Alabama ha rifiutato di riaprire il processo, e Anthony ormai stava perdendo la fiducia: «Vedevo i compagni di cella finire nella camera della morte, e mi chiedevo quando sarebbe toccato a me». L’anno passato, però, la Corte Suprema di Washington ha stabilito che il caso andava riaperto, perché Hinton aveva ricevuto «una difesa costituzionalmente deficiente». È bastato assumere veri esperti per dimostrare non solo che la pistola di Anthony non era coinvolta in nessuno dei due omicidi, ma anche che i due delitti probabilmente non erano collegati, perché i proiettili usati erano diversi. Un caso evidente in cui povertà e pregiudizio razziale avevano determinato il verdetto.  

Secondo il Death Penalty Information Center, Hinton è la 152esima persona esonerata dal 1973. L’anno scorso le esecuzioni negli Usa sono scese a 35, dalle 39 del 2013, ma 32 stati hanno ancora la pena di morte ed errori come questo continuano a ripetersi.

Tratto da: lastampa.it

Foto © AP

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