Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

chapas guzman“El Chapo”, leader del cartello di Sinaloa, arrestato a una festa. Era latitante dal 2001
 di Daniele Mastrogiacomo - 23 febbraio 2014
 Alla fine, lo hanno catturato. In una stanza di un albergo di Mazatlàn, città costiera del Messico occidentale. Dopo 13 anni di latitanza sicura e protetta, cade il più potente e spietato capo dei narcos: Joaquin Guzman Loera, 56 anni, da tutti chiamato «el Chapo», “il corto”, “il tarchiato”, per la sua bassa statura che lo rendeva persino buffo se non addirittura innocuo. Colpito da una serie di ordini di cattura internazionali per omicidio e traffico di droga, inserito dalla Dea e dalla Fbi al primo posto degli uomini più ricercati al mondo — privilegio riservato finora al solo Al Capone — «el Chapo» chiude la sua carriera molto probabilmente grazie ad una soffiata che le autorità americane pagheranno fino a 30 milioni di dollari.

Joaquin Guzman era diventato il simbolo di un contropotere costruito a suon di vendette, omicidi, assalti e sparatorie. Nato nella provincia povera di Sinaloa, a soli 23 anni, con la licenza elementare in tasca, questo figlio di un meccanico inizia la sua carriera nei primi anni 80 del secolo scorso. Si lega al Cartello di Guadalajara, diretta dal mitico trafficante Miguel Angel Felix Gallado. Ma quando il boss viene catturato (1989) il gruppo si divide in due fazioni: «el Chapo» e il suo alleato «el Guero» fondano «L’alleanza di sangue», meglio nota come il Cartello di Sinaloa, nella provincia di Cualiacàn; i sette fratelli Arellano Felix formano quello di Tijuana.
Lo scontro tra le due organizzazioni è spietato. Nella primavera del 1993 si affrontano all’interno dell’aeroporto di Guadalajara: nella sparatoria muoiono sette persone, tra cui il cardinale Juan Jesus Posadas Campo. “El Chapo” ripara in Guatemala. Ma il 9 luglio è catturato. Nel 1995 viene trasferito in un carcere di massima sicurezza da dove riuscirà a fuggire il 19 gennaio del 2001. Ed è proprio questa spettacolare evasione, nascosto dentro un carrello della biancheria sporca e poi prelevato da un elicottero atterrato all’esterno, che finisce per alimentare il mito. Un mito condito da leggende, aneddoti, racconti, spesso ripresi dai narcocorridos, le canzoni scritte per celebrare i trafficanti. L’11 settembre del 2009 si presenta con 30 uomini armati in un ristorante di Guadalajara. È in corso un banchetto in onore di Rodolfo Camillo Fuentes, capo del Cartello di Juarez. «El Chapo» sequestra i cellulari a tutti i presenti «per garantire la sicurezza e la tranquillità dell’operazione». Abbatte con tre colpi Camillo Fuentes e poi, prima di lasciare il locale, paga il conto. «Per il disturbo e la collaborazione», spiegherà.
Con un potere esteso ormai a 17 Stati del Messico, «el Chapo» finisce per soppiantare i colombiani. Controlla la coltivazione, la produzione, il trasporto e la distribuzione di tutta la cocaina e la marijuana dirette verso gli Usa, il Canada, l’Australia. Ma sono i dettagli della sua vita in carcere a rendere la sua fama immortale: tra donne che riceveva regolarmente in cella, pranzi e cene luculliane. Privilegi e protezioni ottenuti — così sosteneva — sborsando 5 milioni di dollari al mese per i poliziotti che aveva a libro paga. Nella guerra di potere paga pesanti prezzi personali: gli ammazzano uno dei 9 figli e due cugini. La seconda delle tre mogli è arrestata nel maggio del 2012: un’americana subito sostituita con una giovane ex miss Messico. Il suo patrimonio era valutato in 1 miliardo di dollari. Tanto che la rivista Forbes, nel 2009, lo aveva inserito nella lista degli uomini più ricchi del mondo e al 41º posto di quelli più potenti. Due settimane fa, la svolta. Gli Usa premono sul presidente messicano. Ci sono in ballo enormi interessi commerciali. Si progettano scambi a frontiere aperte, ponti che uniscono San Diego a Tijuana. La Dea e la Marina messicana fanno terra bruciata attorno al boss. Arrivano soffiate sempre più precise. Fino a quella decisiva. Joaquin Guzman si trova chiuso in un piccolo albergo di Mazatlàn. Ovviamente in compagnia di una donna. L’ultimo capriccio. Quello che lo tradirà. E che farà affondare la leggenda di un piccolo uomo diventato padrone del mondo.

Tratto da: La Repubblica del 23 febbraio 2014

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos