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mamma-rifiutu-articodi Jacopo Pasotti - 12 febbraio 2013
Mosca presenterà domanda all'Autorità internazionale deputata per annettersi una vasta porzione sotto al mare glaciale artico. Scelta strategica (per nuove rotte navali) ma anche preoccupazione per un possibili disastro ambientale a causa di quello che negli anni ha lasciato lì sotto.

LA RUSSIA intende presentare una domanda presso l'Autorità Internazionale per i Fondali Marini per l'annessione di una vasta porzione del Mare Glaciale Artico. Una scelta strategica, questa, in un momento in cui l'assottigliamento e la minore estensione del ghiaccio marino dovuti al cambiamento climatico rendono più appetibili i giacimenti sommersi di combustibili fossili e la gestione delle rotte polari. Ad emergere, però, oltre ai milioni di barili di gas e petrolio ci sono anche responsibilità per l'inquinamento dei mari artici, usati per decenni come discariche "nascoste" di rifiuti tossici.

Preoccupato per un possibile disastro ambientale (e forse anche mediatico) il governo russo ha deciso di cominciare a fare pulizia. Il primo passo sarà il recupero di due sommergibili nucleari: il K-27 ed il K-159, abbandonati da vent'anni sui fondali limacciosi non lontano dall'arcipelago di Novaya Zemla. Il K-27 si trova a 35 metri di profondità, mentre il K-159 si trova invece a 250 metri di profondità, e recuperarlo sarà complesso. Secondo le autorità russe per il momento nessuno due relitti sta rilasciando contaminanti, ed una missione congiunta Russia-Norvegia che ha esaminato il K-27 con un ROV (un robot sottomarino) ha confermato che per il momento il gigantesto relitto tiene.             .

Un territorio non più incontaminato? La frontiera della esplorazioni per le risorse energetiche si sposta dunque sempre più a settentrione, in quello che i testi di geografia definiscono ancora: "un territorio incontaminato". Ma la realtà è diversa e l'ultima frontiera che le potenze circumpolari si contendono oggi è un oceano che si rivela tutt'altro che integro.

Durante gli anni '70 ed '80 il mare di Kara era una autentica discarica occulta per rompighiaccio, navi, e sommergibili nucleari della (allora) flotta sovietica. In quelle acque si trovano reattori nucleari dismessi e "rifiuti pericolosi" abbandonati dai militari. Uno studio condotto dall'Istituto Norvegese per la Ricerca Marina dimostra che il mare di Kara potrebbe celare almeno 16 reattori e 17000 containers e container di scorie tossiche molte delle quali potrebbero essere radioattive.

Vent'anni fa nessuno però si aspettava che il riscaldamento globale avrebbe aperto una nuova frontiera al traffico marittimo, alla estrazione di gas e petrolio, e perfino al turismo. Per secoli è stato uno dei luoghi più remoti e inaccessibili del pianeta, perfetto per nascondere rifiuti scomodi e di difficile smaltimento. Oggi l'artico sta cambiando aspetto. Colpa del cambiamento climatico, reo di ridurre ed assottigliare di anno in anno l'estensione della banchisa polare. Secondo i meteorologi russi anche l'estensione invernale è crollata: in gennaio il ghiaccio marino copriva una superficie di 13.80 milioni di chilometri quadrati, con una perdita netta di 750000 chilometri quadrati rispetto alla media degli anni 1979-2000. Insomma, quest'anno la banchisa si è giocata una superficie pari a quella della Turchia. È il secondo record negativo da quando i sensori dei satelliti fotografano lo stato delle regioni polari.

I rischi ambientali. La ExxonMobil insieme alla russa Rosneft sono pronte a perforare il fondale vicino a Novaya Zemlya. In palio ci sono tre concessioni che promettono l'estrazione di 154 miliardi di barili tra greggio e gas: abbastanza per soddisfare la fame energetica globale per cinque anni. Ma le concessioni sono nei pressi di una zona disseminata di container il cui contenuto potrebbe essere radioattivo.

A preoccupare gli esperti c'è anche l'aumento del traffico di navi petroliere e cargo attraverso il passaggio di Nord Est. Secondo il Centre for High North Logistics norvegese quest'anno di lì sono passate 46 imbarcazioni (erano 34 del 2011 e solo 4 del 2010). Di queste 26 erano petroliere o gasiere. Il traffico marittimo nei mari artici è considerato tutt'ora rischioso: al momento non esistono infrastrutture pronte ad affrontare una emergenza. Gli esperti del Russian Security Council hanno dovuto ammettere che per raggiungere una nave petroliera in avaria a metà della rotta potrebbero occorrere anche cinque giorni. Il recente caso in Alaska e il caso della Exxon Valdez sono un avvertimento: il rischio di un disastro ambientale nell'artico rimane alto.

Intanto, secondo l'agenzia Interfax, la Russia avrebbe intenzione di ufficializzare presso l'Autorità Internazionale per i Fondali Marini l'annessione di un settore dell'Oceano Glaciale Artico. Se la richiesta venisse approvata, acquisirebbe 1.2 milioni di chilometri quadrati di Zona Economica Esclusiva alle sue acque territoriali. Che la Russia ambisse ad ampliare i confini aggregando una fetta di piattaforma continentale non è una novità, a titolo dimostrativo nel 2007 una spedizione aveva infisso una bandiera russa sul fondale marino al Polo Nord. Fino ad ora una richiesta ufficiale non era stata avanzata, ma adesso le autorità si definiscono "pronte" e la proposta potrebbe essere presentata all'Autorità già a Dicembre di quest'anno.

Foto in alto: La mappa dei rifiuti tossici (AMAP)

Tratto da: repubblica.it

FOTO Sommergibili e rifiuti nascosti sotto l'Artico

VIDEO
Sommergibile K-27, il gigante che dorme sotto l'Artico

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