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navi-webdi G. Colonna (curatore) - 3 luglio 2012
A poche ore dall'entrata in vigore in tutta Europa delle sanzioni contro l'Iran, pubblichiamo qui di seguito un interessante contributo della rivista specializzata in analisi strategici Stratfor che ci sembra echeggiare in modo assai documentato l'opinione di quegli ambienti statunitensi contrari ad uno scontro con l'Iran.

Troviamo di particolare rilievo il quadro generale che viene fornito in merito alla sostanziale inutilità ed ipocrisia delle sanzioni; le informazioni aggiornate qui fornite sulla linea di trattativa che l'Iran ha ormai apertamente proposto agli Usa; la convinzione che gli Usa debbano guardare altrove, vale a dire verso il teatro del Pacifico e del confronto con la Cina; l'opinione della Marina Usa, assai più preoccupata del Pacifico che dell'Iran, in merito alla "buona condotta" iraniana nel Golfo Persico.
Ovviamente, è tutto da dimostrare che questo orientamento possa effettivamente diventare la strategia delle amministrazioni Usa, soprattutto a motivo della fortissima pressione che un "partito della guerra" israelo-americano, espressione di un processo di integrazione fra le classi dirigenti dei due Paesi che data da un trentennio, sta esercitando, dalla Siria al Pakistan, verso un'ulteriore destabilizzazione del Medio Oriente.


NEGOZIATI DIETRO LE SANZIONI CONTRO L'IRAN
di Reva Bahlla
Stratfor, 3 luglio 2012

Nelle scorse settimane, l'ultima fase delle sanzioni contro l'Iran volute dagli Usa ha dominato i media. Per mesi, gli Usa hanno esercitato pressioni su numerosi Paesi affinché riducessero le loro importazioni di greggio e stanno ora minacciando le banche che prendono parte agli accordi di esportazione di petrolio con l'Iran. In accordo con la campagna statunitense per le sanzioni, l'Unione Europea dal 1° luglio ha messo in atto l'embargo contro l'Iran. Il blocco è già iniziato, col divieto ai Paesi europei di riassicurare le petroliere che trasportano il petrolio iraniano.
Apparentemente, le sanzioni sembrano equivalere, per gli Usa ed i suoi alleati, al pronunciare una sentenza di morte economica contro il regime iraniano. Essi ritengono che le sanzioni stanno privando Teheran di risorse che altrimenti sarebbero destinate a sviluppare il programma di armamento nucleare iraniano. L'opinione corrente è che il regime iraniano ha paura che una gioventù economicamente frustrata faccia rivivere la pressione del cosiddetto "movimento verde" sul punto più debole del regime.
Ma la risposta dell'Iran all'inizio delle sanzioni è stata contrassegnata da una relativa nonchalance. Contrariamente all'opinione dei fautori delle sanzioni, questo atteggiamento fa pensare che l'Iran non fermerà le sue esportazioni di greggio, né che il regime tema una sollevazioni popolare nelle vie di Tehran. Al contrario, fa ritenere che le sanzioni permettano di svolgere dietro le quinte delle trattative assai serie.
Certamente, le sanzioni applicate fino ad ora hanno complicato la vita economica quotidiana dell'Iran. Tuttavia, l'Iran è abile nell'adottare tattiche che consentono a sé ed ai propri clienti di aggirare le sanzioni ed in tal modo di attenuare gli effetti della campagna statunitense.
Una maniera con cui l'Iran aggira le sanzioni è la rete di società di copertura che rendono possibile ai commercianti iraniani di vendere sotto bandiere ombra. Per entrare nei porti, le navi mercantili devono issare una bandiera fornita da registri marittimi nazionali. Porti franchi come Malta, Cipro, le Bahamas, Hong Kong, le Seychelles, Singapore e l'Isola di Man, fanno affari vendendo bandiera e registri commerciali a imprese che cercano di evadere le tasse ed i regolamenti dei propri Paesi di origine. Gli uomini d'affari iraniani si servono relativamente poco di questi porti per cambiare bandiera, nome, proprietari e agenti registrati coi i relativi recapiti.
Il ministero del Tesoro americano è diventato più abile nell'identificare queste aziende, ma una burocrazia governativa semplicemente non è in grado di competere coi rapidi ritmi ai quali vengono create le "scatole vuote". Diverse nuove società, operanti sotto nomi e bandiere diverse, possono essere messe in piedi nel tempo necessario ad un provvedimento legale sanzionatorio per essere abbozzato.
Molti clienti dell'Iran fanno finta di non vedere queste tecniche elusive, pur di garantirsi forniture di greggio a prezzi stracciati. Non a caso, negli ultimi mesi siamo stati subissati da notizie relative ai Paesi che stavano tagliando le loro importazioni petrolifere dall'Iran sotto la pressione degli Stati Uniti. Ma, a parte il conto della quantità di greggio assicurato e commercializzato attraverso le società ombra, il cambiamento nei flussi commerciali non è stato così grande come questi rapporti sostengono.
Gli Stati Uniti hanno esentato dalle sanzioni la Cina, Singapore, l'India, la Turchia, il Giappone, la Malesia, il Sud Africa, la Sud Corea, lo Sri Lanka, Taiwan ed i 27 membri dell'Unione Europea. Molti di questi Paesi hanno importato quantità di greggio dall'Iran più elevate della media nei mesi che hanno preceduto i loro annunci di avere tagliato le proprie forniture dall'Iran. La Cina, la Corea del Sud, l'India ed il Giappone stanno per di più cercando di coprire le petroliere con assicurazioni pubbliche al posto di quelle private, per aggirare l'ultima tornata di sanzioni. Anche se molti di questi Paesi sostengono di avere ridotto le loro importazioni di greggio dall'Iran per ottenere un'esenzione, petroliere sotto bandiera ombra che portano il greggio iraniano possono compensare ampiamente le quantità ufficialmente ridotte.
I legislatori statunitensi stanno predisponendo normative che contemplano sanzioni ancor più restrittive, nello sforzo di rintracciare le società ombra iraniane, ma l'amministrazione Usa è perfettamente consapevole della inadeguatezza di questa campagna. Infatti, mentre il Congresso sta svolgendo un grand lavoro per espandere le sanzioni, l'amministrazione Usa sembra stia preparando una lista di opzioni che potrebbero essere via via utilizzate per eliminarle, nel caso in cui si arrivasse ad una trattativa con l'Iran.
Mentre infatti le sanzioni hanno dominato le prime pagine dei giornali, un dialogo assai più sottile si è instaurato fra gli Usa e l'Iran. In un editoriale in corso di pubblicazione sul giornale di politica estera americano The National Interest, due esponenti del regime iraniano, l'analista politico Mohammed Ali Shabani e l'ex membro del gruppo di negoziazione sul nucleare Seyed Hossein Mousavian, indicano diversi punti chiave della posizione iraniana:
gli Stati Uniti e l'Iran devono continuare a negoziare;
le sanzioni danneggiano economicamente ma non paralizzano assolutamente il commercio iraniano;
l'Iran non può essere sicuro che un eventuale accordo bilaterale con gli Usa sarà onorato dalla nuova amministrazione eletta a novembre;
gli Usa devono abbandonare qualsiasi politica rivolta a determinare un cambiamento di regime a Tehran;
Washington ha ormai poche restanti opzioni oltre all'intervento militare, che è un esito improponibile;
l'Iran potrebbe aumentare in modo rilevante la propria pressione sugli Usa, ad esempio minacciando la sicurezza dello Stretto di Hormuz, un atto che farebbe lievitare il costo del petrolio americano.
Lo scorso 27 giugno, gli Stati Uniti hanno inviato un messaggio importante. Il comandante in capo delle operazioni navali Usa, l'ammiraglio Jonathan W. Greenert, durante una conferenza stampa al Pentagono, ha affermato che la situazione nello Stretto di Hormuz è rimasta relativamente tranquilla e che la marina iraniana si è dimostrata "professionale e cortese" con le unità americane nel Golfo Persico. Secondo Greenert, la marina iraniana ha rispettato tutte le norme che regolano le attività navali in acque internazionali. In precedenza, motoscafi veloci armati operavano provocatoriamente vicino alle unità Usa, ma ciò non è più accaduto di recente, ha detto Greenert. È difficile credere che Greenert abbia potuto rilasciare una simile dichiarazione senza il beneplacito della Casa Bianca.
Quando l'Iran ha aperto l'anno con esercitazioni militari che evidenziavano la minaccia che potrebbe esercitare sullo Stretto di Hormuz, Stratfor ha indicato il quadro essenziale delle relazioni fra Usa e Iran. Entrambi i Paesi hanno definito le proprie "linee rosse". L'Iran mette in rilievo la possibilità di chiudere lo Stretto di Hormuz o di far esplodere un'arma nucleare. Gli Usa spostano le proprie portaerei nel Golfo Persico, minacciando un attacco militare. Ognuno ricorda all'altro la rispettiva "linea rossa", ma ambedue se ne tengono lontani, semplicemente perché le conseguenze di un loro superamento sarebbero troppo gravi.
La situazione impone un accordo più ampio. Negli ultimi dieci anni, Iran e Stati Uniti hanno lottato nell'ambito di negoziati per raggiungere questo accordo. Nel cuore del problema si trova l'Iraq, un punto assai vulnerabile sul fianco occidentale dell'Iran, qualora fosse sotto l'influenza di una potenza ostile, ed al tempo stesso ricco punto vendita di energia iraniano rivolto al mondo arabo. Gli Usa devono cercare di tenere un piede in Iraq ma ci sono pochi dubbi sul fatto che l'Iraq si trova ora nella sfera d'influenza iraniana. Con un Iraq ormai di fatto concesso all'Iran, le altre componenti del negoziato sono in gran parte ridotte a questioni di atmosfera.
Il maggiore deterrente in mano all'Iran rimane la minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz. La capacità di esercitare una pressione sugli stretti consente all'Iran di avere spazio per negoziare sul proprio programma nucleare. Ovviamente, gli Usa preferirebbero che l'Iran abbandonasse le proprie ambizioni nucleari e continueranno i propri sforzi per bloccare il programma, ma un Iran nucleare potrebbe in definitiva essere tollerato fintantoché Washington e Tehran concordano nel permettere il libero flusso del petrolio nello stretto. Qualsiasi cosa, dalla campagna Usa per le sanzioni, alle operazioni coperte statunitense a sostegno dei ribelli siriani, al programma nucleare, diventa negoziabile.
Come sostengono gli iraniani, è stato creato un percorso che ha creato una soluzione "per salvare la faccia", permettendo a entrambi di abbandonare il dialogo senza perdere prestigio davanti ai propri elettori, ma ciò richiederebbe anche il sacrificio di alcuni punti di forza guadagnati nel corso del negoziato.
Con soltanto quattro mesi di tempo prima delle elezioni Usa, è difficile pensare che questo negoziato possa assumere il carattere di un accordo strategico fra Washington e Tehran. Tuttavia, sarebbe difficile ignorare misure capaci di costruire una fiducia, fondamentale in un momento nel quale nessuna delle due potenze vuole oltrepassare la propria "linea rossa": l'Iraq è più o meno una questione secondaria e gli Stati Uniti stanno tentando di rifocalizzarsi fuori dal Medio Oriente.

Tratto da: clarissa.it
  

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