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amnesty224 maggio 2012
Nero il bilancio del 2011 tracciato da Amnesty International, per quanto riguarda i diritti umani, nel suo cinquantesimo rapporto, presentato oggi. 

Sconfortanti le cifre: cinquecentomila vittime per atti di violenza armata, il sessanta per cento dei quali perpetrati con armi leggere. Ancora più avvilente la lettura politica, con un particolare riferimento a come le tante proteste scoppiate l’anno scorso sono state affrontate: “Il fallimento delle leadership è stato globale, con i politici che hanno risposto alle proteste dimostrando brutalità e indifferenza”. A voce le tante primavere arabe hanno goduto di un vasto sostegno ma di fatto “alleanze interessate e interessi finanziari” hanno avuto la meglio sulla protezione dei diritti umani, ragion per cui le principali potenze erano più interessate a estendere la propria influenza nella regione mediorientale che alle popolazioni civili, ha detto il Segretario generale di Amnesty Salil Shetty.

Note di demerito anche per quelli che teoricamente dovrebbero essere i Paesi più responsabili, cioè i cinque membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che da soli rappresentano il 70 per cento dell’export di armi nel mondo. Capitolo a parte i respingimenti in mare che, risposta adottata davanti all’aumento dei flussi migratori a causa delle guerre, adottati anche dall’Italia, che aveva uomini e mezzi “per tornare a essere campione di salvataggio in mare” e invece ha scelto la strada contraria. Sono 1500 i morti nel mar Mediterraneo, che con altre misure si sarebbero potuti evitare.

Il rapporto poi elenca area per area tutte le criticità che devono essere ancora affrontate: in Sri Lanka, Corea del Nord e in Siria sono in atto crimini contro l’umanità; in 91 Paesi non c’è libertà d’espressione ed in 101 Paesi ci sono ancora forti pratiche di tortura; la Cina continua a mantenere il proprio apparato di repressione e a usarlo per soffocare ogni tipo di protesta. Repressi diversi movimenti di dissidenti in Angola, Senegal e Uganda; attivisti uccisi in Colombia, Messico e Brasile; in Russia le voci d’opposizione sono state ripetutamente silenziate; fosco il quadro anche in Paesi come l’Uzbekistan ed il Turkmenistan. In Azerbaijan sono stati imprigionati 16 esponenti dell’opposizione politica. In Iran la pena di morte è attuata con lo stesso rigore che in Cina; Israele non ha annullato il blocco di Gaza, continuando nella pratica degli insediamenti illegali in Cisgiordania. In Birmania le minoranze etniche sono state annientate; nelle Americhe le comunità indigene subiscono abusi. In Africa aumentano le discriminazioni per l’orientamento sessuale, in Europa cresce l’onda xenofoba e nei Balcani in particolare risulta problematica la questione delle popolazioni Rom, i cui diritti sono sistematicamente violati. Cartellino giallo anche per la civile Australia, a causa delle politiche adottate nei confronti degli aborigeni.

Tratto da: eilmensile.it

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