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manifestanti-liverpool-webLiverpool, processo a nove pakistani accusati di 47 episodi
di Andrea Malaguti - 10 maggio 2012
Le proteste Alcuni manifestanti fuori dalla Crown Court di Liverpool dove si è svolto il processo ai 9 pakistani 631 Vittime In Gran Bretagna 631 minorenni hanno subìto abusi negli ultimi 5 anni


Per scappare da un inferno fatto di stupri, botte, alcol e droga, la quindicenne Mary A. ha scritto un biglietto di ventinove righe.

Ha vomitato una strana schiuma giallognola fatta di residui di whisky e di vergogna, si è accovacciata in un angolo di fianco al bagno e ha lasciato cadere la pallottola di carta per le scale. L’assistente sociale che l’ha raccolto si è sentito soffocare. Si è preso la testa tra le mani e ha chiamato la polizia. «Volevo abbracciarla, dirle che non era sola. Non ho potuto. Avevo paura che si disintegrasse tra le mie dita, che mi sputasse addosso». È cominciato tutto così. Era la primavera del 2010 quando Mary A. ha raccontato che in una notte, una delle tante, era stata costretta a soddisfare venticinque uomini. Il più vecchio aveva 59 anni. Il più giovane 22. «Mi avevano riempito di droga. All’inizio ho pianto. Poi più nulla. Ho capito che si può morire anche da vivi».

Ieri, davanti alla Crown Court di Liverpool, nove pakistani sono stati dichiarati colpevoli di violenza e stupro nei confronti di 47 minorenni bianche - il colore della pelle è stato uno dei nodi centrali del processo raccolte nelle strade e nelle case protette di Rochdale e di Manchester e passate agli amici come prostitute, vendute, umiliate, trattate come bambole gonfiabili, abusate nei taxi, negli appartamenti di periferia, nei sottoscala dei negozi di kebab. Ragazzine come Nina L., rimasta incinta a 12 anni, violentata al centro di una stanza dove i suoi aguzzini bevevano e stavano a guardare. «Lo so che è colpa mia» ha dichiarato lei, convinta, senza bisogno di conoscere Magda Szabò, che non avrebbe più aperto la porta della sua solitudine neppure se le fosse crollato addosso il tetto in fiamme.

Il pubblico ministero Nazir Afzal, procuratore capo del nordovest, ha commentato sconvolto: «Sono comportamenti aberranti che fanno parte del bagaglio culturale di queste persone». Il tentativo complicato di interpretare l’orrore. Uno dei giurati ha twittato agli estremisti di destra della English Defence League i contenuti delle udienze. È stato preso, espulso, sarà processato. Ma nessuno è in grado di dire quanta violenza nascerà da questa bomba tossica esplosa nella coscienza del Paese.

Pronunciata la sentenza, e in attesa della condanna, il giudice ha letto i numeri che fanno tremare la Gran Bretagna. Su 1.800 minorenni presenti nelle case protette 631 hanno subito abusi sessuali negli ultimi cinque anni. Perché nessuno se n’è accorto? Perché nessuno le ha difese? Perché le strappano al disagio famigliare se poi le precipitano in questo pozzo senza fondo?

Due anni fa la polizia aprì un’inchiesta su segnalazione degli assistenti sociali. «Da noi non sono in prigione. Se la notte scappano possiamo fare poco. Ma seguitele nelle strade. Capirete». Le indagini non portarono a niente. I crimini si sono moltiplicati. E oggi anche le forze dell’ordine sono sotto accusa. Secondo Abdul Rauf, 43 anni, uno dei condannati, «le ragazze erano in giro a notte fonda, dunque disponibili». Per lui. Per i suoi amici. Per i loro bisogni. Un sociologo pakistano chiamato dalla difesa ha spiegato nervoso che «condotte impensabili con le ragazze musulmane diventano accettabili con quelle che vengono considerate le corrotte ragazze bianche». Mohammed Ammin, indicando irritato una delle vittime con un cenno malevolo, ha aggiunto che lui non ha fatto nulla di cui vergognarsi. «In Pakistan le ragazze si sposano a 13 anni e a 11 sono considerate adulte». Poi, rivolto al giudice, ha giurato che nei suoi diciannove anni di vita inglese non aveva capito che certi comportamenti sono reato. E aveva un’espressione ossequiosa e servile, persino impaurita.

Tratto da: La Stampa

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