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tubi amiantodi Cristina Zagaria
Nel cuore della Campania devastata dall'inquinamento, operaio muore a soli 58 anni per mesotelioma pleurico. L'Inail nega alla famiglia la rendita a superstite e il riconoscimento della malattia professionale

Nella Terra dei Fuochi morire di tumore è diventato quasi normale. Ma normale non è. Perché i tumori hanno molti nomi e molte cause, e c’è chi chiede giustizia, perché morire, se accade, sul lavoro normale non è, neanche nella Terra dei Fuochi.

Questa è la storia di Maria Meo, oggi ha 33 anni. Maria da sette anni combatte per suo padre, che non c’è più, per sua madre che è rimasta sola e per i suoi fratelli. Michele Meo, nato a Saviano, era un idraulico. È sempre stato idraulico, da quando era bambino e maneggiava tubi, li manipolava, li seghettava, li aggiustava. Michele non sapeva che ad ogni taglio da quei tubi si sprigionava una polvere mortale.

“Mio padre - racconta Maria – è morto a  soli 58 anni. Il 18 gennaio del 2010 all’ospedale Monaldi i medici gli hanno diagnosticato un “mesotelioma pleurico”. Il 14 giugno dello stesso anno mio padre ci ha lasciati”.

Sul certificato di morte, redatto dall'Asl Napoli 3,  è scritto a stampatello. “Causa iniziale Mesotelioma, terminale cachessia neoplastica”.

Non è morto per un incidente stradale, per un infarto o per una caduta. Michele  Meo, idraulico, è morto per un tumore ai polmoni causato dall’amianto, causato da quei tubi che per tutta la vita ha aggiustato, spostato, tagliato.

“All’inizio non ho pensato potesse essere legato al suo lavoro –confessa Maria- Noi qui viviamo nella Terra di Fuochi e morire per un tumore non fa notizia. Ma questa volta è diverso. Mio padre è morto sul lavoro. È una morte bianca”.

A riconoscere questa verità c’è un numero: “numero 1012”. È il codice identificativo del registro mesoteliomi della Regione Campania assegnato a Michele Meo il 28 ottobre 2013.

Durante la malattia l’Inail, ufficio infortuni sul lavoro, ha anche riconosciuto all’operaio  “la malattia professionale”, con un’ indennità giornaliera per l’inabilità temporanea  ( pratica numero 509779614 de l2010). Ma quando è morto Michele Meo è diventato un fantasma.

Il 28 agosto del 2013, però, sempre l’Inail ha archiviato il caso Meo: “Per il decesso dell’assicurato non può essere riconosciuto il diritto alla rendita a superstiti, in quanto la morte non è riconducibile all’evento”.

“I polmoni devastati dall’amianto di quei tubi con cui mio padre ha oltre 40 anni non sono una prova per l’Inail” si arrabbia Maria. Sì, la sua è rabbia: “Rabbia perché c’è poca chiarezza, perché mio padre era un operaio ed è morto per il suo lavoro e io non chiedo l’elemosina, io sto difendendo un mio diritto. Il mesotelioma è inserito tra le malattie professionali. Questa è una malattia lenta, terribile, con un lunghissimo periodo di latenza e che non lascia scampo. E’ un diritto della mia famiglia avere la pensione. Non mi interessa neanche la cifra, la mia battaglia è per onorare una vita di lavoro”.

Il 10 ottobre 2013 Maria Meo ha presentato ricorso al tribunale di Nola contro l’archiviazione dell’Inail. A distanza di quattro anni, ancora non ha avuto risposta. E’ andata personalmente all’Inail e ha incontrato il responsabile dell’area assicurativa, ma anche in questo caso non ha ottenuto risposte.

“All’inizio ho pensato a delle lungaggini burocratiche, ora però non accetto più scuse, voglio giustizia, per mia madre e per i mie fratelli, il più piccolo aveva 10 anni quando mio padre è morto. La mia terra è devastata dall'inquinamento e i dati sui tumori non sono mai chiari, ma non accetto che il caso di mio padre sia confuso con tanti altri, che si usi la Terra dei fuochi come una scusa. Siamo i figli di quegli operai che negli anni del boom economico hanno tenuto in piedi questo Paese, ora meritano il rispetto delle istituzioni, noi famiglie meritiamo il rispetto dello Stato”.

Tratto da: napoli.repubblica.it