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dolomiti neve art c carlo pizzininidi Luca Mercalli
In piene festività natalizie, il paesaggio alpino è diviso in due: bianco di neve sui settori occidentali, giallo d’erba secca sulle Dolomiti. Tra Piemonte e Val d’Aosta il manto nevoso - pur penalizzato a bassa quota dall’eccezionale mitezza dei giorni intorno al Natale - è generoso sopra i 2000 metri grazie alle precipitazioni sovrabbondanti di fine novembre che avevano deposto in alcune vallate anche due metri di neve fresca.
Ad essere quasi completamente brulle sono invece le Alpi centro-orientali, in abito più autunnale che invernale. Qui le ultime precipitazioni significative risalgono ormai alla metà di novembre 2016, e dicembre è trascorso praticamente senza vedere un fiocco, una situazione molto simile a quella che si era già verificata un anno fa. Prendendo come riferimento Arabba, a 1645 m nel Bellunese, la quantità d’acqua caduta nell’intero 2016, pari a 1148 mm, è pressoché normale, tuttavia la siccità che si è sviluppata dal tardo autunno ha privato della normale copertura nevosa non solo il fondovalle ma anche i versanti più elevati; a inizio gennaio dovrebbe esserci in media una trentina di centimetri di manto nevoso, mentre attualmente i prati sono pelati e le piste biancheggiano solo grazie al costoso innevamento programmato.
Negli ultimi quarant’anni una tale magra di neve in questa stagione sulle Dolomiti si era vissuta solo nel 1990, nel 2002 e nel 2008, e nel 2016 le prime spruzzate si erano viste proprio a inizio gennaio, mentre stavolta nulla è all’orizzonte. Sarà infatti un’Epifania gelida ma secca, con venti da Nord-Est che porteranno nevicate solo sul versante adriatico e al Sud, peraltro fino in riva al mare, lasciando invece le Alpi ancora al sereno. Sul fronte dell’innevamento dunque la situazione migliorerà un po’ almeno sugli Appennini e sui rilievi della Sicilia, che finora erano pure spogli di neve a parte le sommità del Gran Sasso, della Sila e dell’Etna. Sebbene le tendenze in atto sulle precipitazioni italiane elaborate dal Cnr-Isac di Bologna non mettano ancora in luce una maggior frequenza delle siccità, è l’aumento di temperatura a rendere già oggi più difficile la gestione dell’acqua: più caldo vuol dire più evaporazione e maggiori consumi, in agricoltura, in campo industriale ed energetico e per uso idropotabile.
Gli scenari climatici del futuro prossimo elaborati dal Centro Euromediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc) prospettano ulteriori aumenti termici su tutto il Paese e riduzioni della piovosità estiva soprattutto al Nord. Attrezzarci contro la siccità non è affar da poco: ci vogliono certo infrastrutture idrauliche come invasi, acquedotti e canali che hanno tempi di realizzazione lunghi e costi elevati, ma l’esperienza della California, alle prese con sei anni di forte carenza idrica, ha mostrato che i muscoli delle pompe non sono sufficienti, bisogna lavorare anche sulle abitudini delle persone, sulla giurisprudenza dell’acqua e su nuove scelte agricole resilienti. Chi parte in tempo arriverà preparato, altrimenti rimarrà assetato.

Tratto da: La Stampa

In foto: Dolomiti senza neve naturare © Carlo Pizzinini

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