Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

cambiamenti clima africa medio orientedi Luca Aterini
Secondo il celebre Max Planck Institute le ondate di calore quintuplicheranno entro il 2050, "contribuendo sicuramente alla pressione migratoria"

Dal punto di vista climatico come da quello geopolitico, il Medio Oriente e il Nord Africa rientrano da tempo tra le aree più calde del pianeta. La brutta notizia è che nei prossimi anni sembrano destinate a diventare letteralmente incandescenti. Secondo una ricerca coordinata in seno ai celebri Max Planck Institutes, il numero di rifugiati climatici provenienti dalla sponda sud del Mediterraneo potrebbero presto aumentare vertiginosamente; ad oggi, negli scenari più apocalittici citati dai leader europei si paventa il possibile arrivo di 1 o 2 milioni di migranti da scenari particolarmente critici, come quello libico. Complessivamente, la popolazione di Medio Oriente e Nord Africa ammonta però a circa 500 milioni di persone, i cui luoghi d’origine secondo il Max Planck Institute per la chimica potrebbero in «in gran parte divenire così caldi da compromettere l’abitabilità umana».

La ricerca, condotta in tandem con il Cyprus Institute, non guarda al lontano futuro ma a due orizzonti temporali assai vicini: 2050 e 2100. Per analizzare l’andamento delle temperature nell’area nel corso del 21esimo secolo, i ricercatori hanno incrociato i risultati di 26 modelli climatici che si sono già rivelati affidabili nel prevedere i dati poi effettivamente rilevati negli anni 1986-2005. Due gli scenari proposti. Nel primo caso si ipotizza che i gas serra emessi dalle attività umane in atmosfera continuino come se niente fosse, seguendo il modello business-as-usual. Il secondo caso, più ottimista, prevede un mondo che riuscirà a mantenere la promessa siglata da più di 195 paesi (Italia compresa) nell’Accordo di Parigi, con la temperatura media globale che non supererà la soglia critica di +2 °C rispetto all’era pre-industriale.

Purtroppo però, anche in questo caso lo scenario per il Nord Africa e il Medio Oriente rimane assai cupo. Quello dei due gradi è quello di una media trilussiana, ma nelle aree considerate dalla ricerca le temperature saliranno più del doppio: in estate, dunque, oltre + 4°C.

Entro la metà del secolo – spiegano dal Max Plack Institute – durante i periodi più caldi le temperature non scenderanno al di sotto di 30 °C durante la notte, e durante il giorno si potrebbe salire a 46 °C. Entro la fine del secolo, le temperature di mezzogiorno nei giorni caldi potrebbero anche salire a 50 °C. Inoltre aumenterà la durata delle ondate di calore: il numero di giorni estremamente caldi è già raddoppiato rispetto al 1970 e – anche se le emissioni di gas serra diminuiranno – entro il 2100 potrebbero moltiplicarsi ancora. Tra il 1986 e il 2005 era molto caldo per un periodo medio di circa 16 giorni, mentre entro la metà del secolo sarà insolitamente caldo per 80 giorni all’anno (ovvero, cinque volte tanto), e per il 2100 le previsioni arrivano ad aumentare i giorni fino a 118 l’anno. Se invece le emissioni saliranno secondo il modello business-as-usual, i giorni estremamente caldi arriveranno a 200 su 365. A questo già terrificante scenario si somma poi il sensibile aumento delle tempeste di sabbia a causa del prolungamento dei periodi siccitosi, con eventi che già oggi sono in corso: i ricercatori hanno constatato che dall’inizio del secolo a oggi la presenza di polveri di sabbia proveniente dal Sahara è aumentata del 70% nell’atmosfera sopra la Siria, l’Iraq e l’Arabia saudita.

A fronte di questi dati, indipendentemente da quale scenario o climatico diventerà realtà, i ricercatori sono d’accordo su un punto. «Il cambiamento climatico peggiorerà sensibilmente le condizioni di vita nel Medio Oriente e in Nord Africa – ha spiegato Jos Lelieveld, direttore del Max Planck Institute per la Chimica – In futuro, il clima in gran parte di queste aree potrebbe cambiare in modo tale da mettere in pericolo la stessa sopravvivenza dei suoi abitanti. Le prolungate ondate di calore e le tempeste di sabbia potranno rendere alcune regioni inabitabili, il che sicuramente contribuirà alla pressione migratoria».

Sin dalla preistoria, quella delle migrazioni è sempre stata una risposta comune di fronte al clima che cambia per l’uomo e i suoi antenati. Come conferma una nuova ricerca, appena pubblicata su Nature, l’ultima Era glaciale ha prodotto un drastico cambiamento demografico in Europa. C’è stato un tempo in cui i ghiacciai coprivano il Vecchio continente fino al nord della Francia, schiacciando le popolazioni verso sud. Nei prossimi anni saranno i cambiamenti climatici indotti dall’uomo a influenzare sempre più le migrazioni umane, e per fermare i rifugiati climatici non basteranno i muri. L’Europa e l’Italia in particolare si trovano sul fronte, e le azioni da intraprendere per mitigare gli impatti delineati dal Max Planck Institute iniziano oggi. Soluzioni come quella della barriera sul Brennero di certo non saranno utili. Il Migration compact ipotizzato dal governo italiano – in attesa di conoscere esattamente in cosa consiste –, con investimenti mirati allo sviluppo del continente africano, potrebbero forse aiutare. Di certo, perché l’Europa sappia integrare e non venga travolta dalle migrazioni, è necessario che dal dilagante populismo la politica continentale sappia al più presto volgere al pragmatismo.

Tratto da: greenreport.it