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di Emiliano Fittipaldi

Deformazioni, malattie, morti. Soprattutto fra i più piccoli. Ora una perizia del tribunale stabilisce, dopo anni di denunce, il nesso causale con le emissioni del petrolchimico Eni. Ma il gruppo replica: “nessun risarcimento”
I medici e i tecnici chiamati dai giudici lo scrivono dodici volte. Lo scrivono per Nicolò, Marco, Marta, Francesco, Giuseppe, Chiara, Mary e gli altri bimbi e ragazzini malformati che hanno visitato e studiato per due anni. La formula è sempre la stessa. Cambia solo il nome della malattia, a seconda se la deformazione ha colpito gli organi genitali o i piedi, le mani o il midollo spinale, il cervello o la bocca. «Il collegio della commissione tecnica d’uffcio all’unanimità» si legge in relazione al caso di Kimberly «si rammarica che - nell’ampio lasso di tempo intercorso tra l’allarme indicato dai primi studi condotti a Gela, le crescenti preoccupazioni sollevate dalla popolazione e dalla comunità scientica e il presente - non sia mai stato condotto uno studio di elevata qualità per poter stabilire in modo denitivo la possibile esistenza della relazione causale tra sostanze chimiche prevalenti nel comune e alcune malformazioni. Ritiene che la possibilità che la spina bifida di Kimberly Scudera sia stata favorita dalla presenza nell’ambiente (aria, acqua, alimentazione) di sostanze chimiche prodotte dal polo industriale sia del tutto concreta, sia per effetto individuale che per effetto sinergico tra loro».
La perizia - che “l’Espresso” pubblica in esclusiva - è rivoluzionaria. Perché il petrolchimico dell’Eni, quello che tutti in città chiamano il “mostro”, per la prima volta finisce uffcialmente sul banco degli imputati. Come accaduto per l’acciaieria Ilva a Taranto, il petrolchimico ha sparpagliato per sessant’anni veleni ovunque, ammorbando terra, acque e aria: secondo il report c’è un pezzo di Sicilia che oggi trasuda sostanze tossiche e nocive che avrebbero causato malformazioni gravissime alla nascita di almeno una dozzina di bambini. I consulenti dei giudici, professori di fama nazionale e internazionale, hanno depositato il loro parere scientifico lo scorso luglio nell’ambito di un procedimento civile che una ventina di famiglie hanno promosso contro l’Eni. L’obiettivo principale era di ottenere risarcimenti economici e rimborso delle spese mediche per le piccole vittime dell’inquinamento, ma la causa s’è conclusa con un nulla di fatto. «Nonostante la perizia il colosso energetico non ha fatto alle 12 famiglie alcuna proposta economica», spiega Luigi Fontanella, l’avvocato siciliano che da anni sta combattendo a fianco dei genitori dei bambini. «L’azienda non riconosce alcun danno psicofisico: per loro il nesso tra inquinamento e malformazioni non esiste».
Fontanella non ha il fascino né il sorriso di Julia Roberts in “Erin Broncovich”, il film sull’attivista americana che nel 1993 riuscì a vincere una mega-causa da oltre 300 milioni di euro contro la Pacic Gas & Electric, azienda Usa accusata di aver contaminato con cromo esavalente le acque della città di Hinkley, in California, e fatto così ammalare 600 persone. Pelato e leggermente sovrappeso, occhiali spessi come fondi di bottiglia, Fontanella è oggi il nemico numero uno della spa controllata dal ministero dell’Economia, e - persa una battaglia - ha depositato da poco un nuovo ricorso d’urgenza, firmato da oltre 300 gelesi, per ottenere il fermo degli impianti e la bonica dei veleni.
«Spero che, prima o poi, troveremo un giudice coraggioso: finora nessuno, a parte la procura, ci ha aiutato. L’Eni fa paura, più ai politici che ai bambini».

«U’ TORTU E U’ MORTO»
Intervistando i genitori dolore e frustrazione spuntano fuori ad ogni frase smozzicata, ad ogni risposta data al cronista. Nicolò oggi ha 13 anni, è alto e grosso come sono i ragazzini della nuova generazione, ma il padre, Antonino Pace, lo protegge ancora come fosse un cucciolo. «È timido. È nato senza un labbro e senza palato. Senza manco il naso, a dire la verità: a 8 mesi l’abbiamo operato, e gli hanno pure ricostruito parte della bocca», dice. Il viaggio Gela-Roma-Gela per portare Nicolò al Bambin Gesù l’ha fatto decine di volte. «Oggi va meglio, ma quando mangia il cioccolato o il succo di frutta spesso gli esce ancora il cibo dalle narici, perché è cresciuto in fretta e le vecchie plastiche non reggono più».
Presto il bambino dovrà sottoporsi all’ennesima ricostruzione. «Lui non si accetta ancora, a volte mi chiede perché è uscito così dalla pancia della mamma. Io lo so di chi è colpa: dei veleni della raffineria. Un genitore muore dentro, quando sa che un figlio soffre così. A Taranto hanno bloccato tutto, perché qui in Sicilia no? Perché non se ne futte nessuno, ecco perché». L’Eni ha annunciato che investirà, fino al 2019, 200 milioni di euro, e che vuole aprire qui un centro mondiale di formazione manageriale sulle tematiche di salute, sicurezza e ambiente. «Oltre il danno la beffa. “U’ tortu e u’ morto”, come si dice da queste parti», chiude Antonino.
Anche la bimba di Rosario e Concetta Cutini, Marta, ha la labiopalatoschisi. Oltre una rarissima “sequenza di Pierre Robin”, una malformazione della mandibola. La casa di Cutini è a poche centinaia di metri dalla casa dei Pace: Gela è piccola, meno di 30 mila abitanti, ma non sempre le famiglie con bimbi malati si conoscono: ognuno si fa i fatti suoi. «Da piccola ogni volta che mangiava la pastina Marta rischiava di finire soffocata, la mettevo sottosopra e riuscivo a levargli il cibo dalla gola» spiega Rosario che lavora in un negozio di scarpe. «Io non sono uno che si perde d’animo. Qua i casi di piccoli malformati sono tantissimi, ma molti si nascondono. Perché si vergognano. Ma sono loro che si devono vergognare, i dirigenti del “mostro”, quello del cane a sei zampe, che è deforme pure lui. La mia seconda figlia? Per fortuna il Signore ce l’ha fatta venire a posto».
In una viuzza più in là c’è l’appartamento degli Scudera. Rosalinda cresce Kimberly da 18 anni, con amore e fatica: appena partorito i medici hanno diagnosticato alla piccola una spina bifida, il tubo neurale era aperto. Da allora si muove in carrozzina. «Kimberly è stata operata a Catania due volte appena nata. Poi una terza a quattro anni, per provare ad aggiustare il piede torto e allungare il tendine d’Achille. Per i problemi di sfinteri e il catetere non c’è invece niente da fare, dovrà portarlo tutta la vita». Quest’anno Kimberly farà l’esame di maturità, ha la media del 7 e vuole fare la psicologa. «È arrabbiata, perché gli amici non la cercano. Le dicono che si imbarazzano a portarla in giro con la sedia a rotelle, e quindi al cinema e in pizzeria non ci va. L’altra volta guardavamo su Real Time un programma sugli abiti da sposa, s’è messa a piangere perché pensa che lei un matrimonio e dei figli non li avrà mai. Veda lei come mi devo sentire io».

VELENI PER SEMPRE
Leggendo le centinaia di pagine della perizia del collegio tecnico presieduto da Pierpaolo Mastroiacovo, ex ordinario di pediatria alla Cattolica e tra i massimi esperti al mondo di malformazioni congenite, i medici, scienziati e ingegneri confermano quello che molti studi già segnalavano da tempo: a Gela, uno dei 39 siti d’interesse nazionale ancora da bonicare, ci sono in giro quantità enormi di metalli pesanti, benzene e altri «composti cancerogeni, interferenti endocrini e diossine» che hanno compromesso acque di falda, suoli e catena alimentare. Inquinanti che hanno prima devastato la natura e poi causato, «con ogni probabilità», le malattie neonatali.
«I valori di rischio generati, seppur rappresentino una mera proiezione dei possibili effetti delle condizioni ambientali dell’area di Gela sulla salute pubblica, mostrano una generale compatibilità con le condizioni morbose rilevate per il caso clinico oggetto di analisi», esemplifica ancora il collegio in riferimento a uno dei bimbi deformati.
Il primo studio a Gela sulle deformità dei piccoli abitanti della città è del 2006, e mostrava come il tasso di ipospadie (una rara malattia degli organi genitali) era tra i più alti al mondo. «Un dato confermato da un aggiornamento pubblicato nel 2014», spiega Fabrizio Bianchi, epidemiologo del Cnr che firmò la ricerca e ha scoperto, due anni fa, come nel sangue dei gelesi scorra una grande quantità di arsenico.
«Anche per altri tipi di malformazione i tassi sono elevati. La responsabilità dell’Eni? La relazione di Mastroiacovo per numerosi bambini malformati fornisce prove persuasive di una altamente probabile causa ambientale. Io penso che in processi di questo tipo l’onere della prova del nesso di causalità non spetta a chi sta dalla parte pubblica, cioè di chi è stato danneggiato, ma da chi sostiene la sua inesistenza, o da coloro che abbiano un’altra ipotesi convincente che spieghi il perché di malattie e deformità. Di certo più passa il tempo, più si aspetta a bonificare, più sarà difficile evitare nuovi casi di malattia e morti precoci». Perché a Gela non sono solo i minori a rischiare la pelle: gli studi del progetto Sentieri hanno dimostrato che nel comune si muore più facilmente rispetto al resto della Sicilia per tutti i tipi di tumore (più 18,3 per cento), per il cancro infantile (più 159,2 per cento), per il tumore allo stomaco (più 47,5 per cento), alla pleura (più 67,3), alla vescica (più 9,6 per cento), per non parlare del morbo di Hodgkin (più 72,4).


PERCENTUALI PAZZESCHE
Se la perizia tecnica è sconvolgente, all’Eni sostengono che sul tema delle malformazioni non ci sono novità di rilievo.
«Tutti gli studi finora eseguiti», spiega l’azienda a “l’Espresso” «non hanno fornito evidenze scientifiche apprezzabili circa la sussistenza di un nesso tra le patologie e l’impatto ambientale delle attività industriali del nostro stabilimento. Anche la consulenza tecnica d’ufficio del luglio 2015 mostra importanti limiti a livello metodologico, e soprattutto l’assenza di elementi scientificamente apprezzabili a sostegno delle valutazioni conclusive. Dunque non ci sono ulteriori mediazioni in corso né ipotesi di risarcimento». D’altronde la commissione di parte ha cercato di smontare pezzo per pezzo quella dei consulenti dei giudici, attaccando tutta l’impostazione della ricerca e attribuendo le malattie dei bimbi soprattutto alla «componente genetica».
La magistratura, per ora, resta in attesa: ma non è un dettaglio che sia stata proprio la procura a costituirsi in sede civile e che i pm gelesi abbiano aiutato - attraverso il deposito di vari studi e report scientifici compilati negli anni su loro impulso - a scrivere l’ultimo, drammatico studio. Un fascicolo sulle malformazioni è stato aperto anni fa, ma in Italia esistono limiti enormi all’accertamento penale, come ha dimostrato anche il recente caso dell’Eternit di Casale Monferrato, dove la Cassazione ha segnalato che il reato era prescritto. La nostra giurisprudenza prevede inoltre che i danni vadano addebitati a singole persone fisiche: a differenza di Taranto, dove la famiglia Riva e i dirigenti che gestivano l’Ilva erano facilmente identicabili, alla guida del petrolchimico di Gela in sei decenni si sono succedute decine di manager, ed è molto difficile individuarne le singole (ed eventuali) responsabilità.
Ma Angela Averna, pediatra “di strada” che assiste impotente al dramma dei suoi piccoli pazienti, di cavilli e norme astruse non vuol sentir parlare. «Lei mi ha intervistato due anni fa, quando le dissi che su 1000 under 14 ne avevamo una cinquantina malformati. La percentuale, pazzesca, non è cambiata», ragiona il medico, che qualche giorno fa ha perso uno dei suoi degenti, Francesco, per un tumore al cervello. «Lo scorso settembre a Modica il nuovo primario dell’ospedale ha elencato in un convegno i nuovi casi rilevati negli ultimi 24 mesi: le dico solo che la platea è rimasta sconvolta. In questo inferno le fiamme sono sempre accese. Ma una buona notizia gliela posso dare: mia nipote, alla quale era stato diagnosticato un cancro al pancreas, oggi sta benissimo, ed è talmente bella che forse andrà a sfilare sulle passerelle di Milano».

A TUTTO PETROLIO
Per la gran parte dei medici e dei cittadini la pistola fumante è impugnata dal cane a sei zampe dell’Eni, ma la politica e le istituzioni continuano a tenersi a distanza da qualsiasi intervento e polemica. Certo finora i dettagli della perizia erano rimasti in un cassetto, ma il governo (primo azionista del petrolchimico) non ha mai aperto bocca sulla vicenda delle malformazioni: Matteo Renzi lo scorso agosto ha parlato della raffineria solo per applaudire alla sua futura riconversione “green” degli impianti prevista nel 2017, grazie a un accordo che prevede la costruzione di una “bioraffineria” e investimenti (su tutta la Sicilia) pari a due miliardi di euro, con cui il gruppo petrolifero potrà avviare nuove attività di esplorazione e produzione di idrocarburi sia su terra che su mare.
Se Rosario Crocetta ha brindato al nuovo patto e Susanna Camusso, leader della Cgil, s’è detta preoccupata soprattutto del futuro degli operai gelesi (in tutto oggi sono 550, altrettanti nell’indotto: le risorse in eccesso, ci dice Eni, dopo l’avvio della Green Renery saranno ricollocate in altre società in Italia e all’estero), pure il Movimento 5 Stelle è finito nella bufera un mese fa, quando il neo-assessore all’ambiente del comune, guidato dal partito di Beppe Grillo, è stato attaccato da un meetup di base per aver dichiarato che «il nesso tra malformazioni e inquinamento non c’è, non esiste ancora una sentenza in tal senso».
Se una sentenza non c’è ancora, la perizia ha però indicato il nesso come mai prima era accaduto. «Ora speriamo che chiudano tutto e bonifichino rapidamente», aggiunge il papà di Marta, felice perché alla figlia il mento è «uscito fuori, prima a causa del disturbo alla mandibola sembrava non ce l’avesse proprio». Anche Damiano Lauretta e Giuseppina Comandatore, genitori di Marco, 15 anni nato con la labioschisi, pretendono che i veleni vengano ripuliti. «Finora hanno fatto solo annunci. A parte nostro figlio, noi abbiamo molti amici con bimbi malformati, con problemi al cuore, alle mani, alle gambe. Il governo con l’Eni ci mangia, ci fa i miliardi, perciò non sono ottimista. Sono un diacono di una comunità neocatecumenale, e sono fortunato perché chi non ha fede nel Signore sta certamente peggio di noi. In più se non si fa pulizia la tragedia non finirà mai». Già: Nicolò, Marco, Marta, Francesco, Giuseppe, Chiara, Mary e Kimberly, deformati da «ipospadie, ipoplasie di ventricolo, spina bifida, coartazione aortica, criptorchidismo, labiopalatoschisi, difetti renali, tetralogia di Fallot, ipo-agenesi degli arti», saranno gli ultimi bambini malformati nati a Gela?

Tratto da: l’Espresso

Foto di Massimo Berruti per l’Espresso

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