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rifiuti-campania-scaviNel Foggiano si bloccano le ruspe: mancano le tute Il giro delle sostanze nocive e l’infiltrazione dei clan
di Francesca Russi e Chiara Spagnolo - 7 maggio 2014
Il rischio è che, al di là delle discariche, i veleni seppelliti nel sottosuolo abbiano contaminato campi agricoli e falde acquifere. Ecco perché, accanto ai carabinieri del Noe, sono a lavoro gli esperti del Cnr e dell’Arpa con il compito di verificare l'impatto ambientale e gli eventuali rischi per la salute delle oltre 500mila tonnellate di rifiuti che stanno venendo a galla nel foggiano.

Rilievi e campionamenti per accertare cosa c’è realmente sottoterra. «È una caccia al tesoro sicura – commenta il direttore dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato- ma siamo ancora nella fase delle indagini preliminari in cui i tecnici del Cnr stanno effettuando le verifiche ». Così si continua a scavare nella “terra nera” come l’hanno definita gli investigatori.
Prima Ordona, poi Apricena, ieri Cerignola. Affiorano i rifiuti della camorra portati dalla Campania in Puglia fin dal 2013 da otto camion al giorno. Rifiuti ospedalieri, oli esausti, scarti di lavorazione, almeno quelli finora identificati. Perché poi ci sono materiali sconosciuti, tombati a cinque-sei metri di profondità, e sono quelli che fanno più paura.
Stop agli scavi. Le ruspe dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Bari non sono potute andare oltre. Troppo pericoloso continuare a scuotere il terreno in assenza di tute protettive ed equipaggiamento idoneo. Tombati, a cinque metri di profondità, potrebbero esserci rifiuti radioattivi. È la scoperta fatta ieri mattina dai militari all’interno della cava di Cerignola, in contrada Borgo Libertà, sequestrata l’11 aprile scorso nell’operazione “Black Land” portata avanti dai carabinieri del comando provinciale di Foggia e del Noe con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia della procura di Bari. L’area situata vicino alla diga Capacciotti è di proprietà del 38enne Francesco Pellullo, arrestato insieme ad altre 12 persone tra amministratori, soci ed autotrasportatori di società interessate al settore dello smaltimento e trattamento dei rifiuti, e ritenuto dagli investigatori uno dei proprietari di terreni messi a disposizione per sversare i rifiuti della camorra. La conferma è arrivata durante i carotaggi: nel sottosuolo sono stati interrati rifiuti pericolosi. Nel corso degli scavi i carabinieri del Noe hanno rinvenuto pezzi metallici che farebbero pensare alla presenza di materiali radioattivi. Dal terreno è affiorato anche olio. Così, su disposizione del consulente tecnico della procura, le ruspe si sono fermate. «Lo stato dei luoghi faceva presupporre una pericolosità tale che non si poteva proseguire con gli scavi» spiegano gli investigatori. I militari, infatti, non erano attrezzati. «Allo stato non è possibile riferire ed indicare nulla sulla natura e sul tipo di rifiuti intombati rinvenuti nella cava ispezionata a Cerignola» si affretta a tranquillizzare con una nota il comando provinciale dei carabinieri di Foggia. Ma il sospetto che lì sotto ci sia qualcosa di più pericoloso di semplice frazione secca è forte. Le operazioni di carotaggio si sono concluse con i prelievi eseguiti dal consulente della Procura. Il materiale campionato sarà ora analizzato in laboratorio per accertarne l'origine e la natura. Intanto ieri il tribunale del Riesame ha confermato il carcere per 11 degli arrestati per il traffico di rifiuti tra la Campania e la Puglia, ad eccezione dei due autisti a cui sono stati concessi i domiciliari.


Sottosuolo e falda, rischio contaminazione

 di Francesca Russi e Chiara Spagnolo - 7 maggio 2014
“Scorie radioattive” è l’ipotesi azzardata ieri durante gli scavi a Cerignola stoppati per l’alta pericolosità. Ma non ci sono certezze. Gli inquirenti ci tengono ad essere cauti per evitare allarmismi per questo gli scarti che hanno avvelenato il terreno sono stati campionati dal consulente della Dda della procura di Bari e finiranno in laboratorio per essere analizzati e accertarne la natura. Si tratterebbe di rifiuti 'ad elevata pericolosità e più importanti di quelli trovati in altri territori, ma non di massima pericolosità” rivelano dalla procura. Nella maxi cava da 30mila metri quadri i carabinieri del Noe, guidati da Angelo Colacicco, hanno affondato le ruspe fino a sei metri prima di fermare i rilievi ma l’area è profonda 20 metri. Sotto, dunque, c’è ancora molto. I militari torneranno nei prossimi giorni per ulteriori scavi.
Anche dal ventre del Salento continua a venire fuori di tutto, come dimostrano gli scavi effettuati ieri dai carabinieri del Noe e i sorvoli del Roan della guardia di finanza. Resti della lavorazione dei calzaturifici, di imprese edili, dei vivai, di molte attività che di giorno portavano lavoro nel Capo e di notte lo avvelenavano di nascosto. “Rifiuti a km zero” li definisce un investigatore, perché – stando a quanto emerso finora, diversamente da Foggia– sarebbero stati prodotti da imprese del territorio. Il che rende ancora più odioso il reato commesso da chi, piuttosto che pagare lo smaltimento dei materiali pericolosi come la legge prevede, ha preferito lucrare inquinando la propria terra. Sul fatto che quelle migliaia di tonnellate di rifiuti tossici abbiano avvelenato campagne e falde, non sembrano esserci più dubbi. Le acque dei pozzi di diversi paesi presentano tracce di sostanze inquinati, a Tiggiano diossina, a Neviano e Seclì Pcb, i policlorobifenili derivanti dal trattamento di oli esausti contenuti nei trasformatori elettrici, a Tricase non si sa bene cosa, visto che le analisi dell’Asl sono appena state effettuate. Sostanze pericolose, che nelle acque utilizzate per uso irriguo e domestico ci sono finite tramite quelle discariche abusive e dunque non protette, che negli anni Novanta sono spuntate come funghi in tutto il Basso Salento. Qualche settimana fa un contadino di Alessano lo ha raccontato a Mondoradio: “Le cave venivano riempite di rifiuti di giorno, e soprattutto di notte, arrivavano i camion e scaricavano di tutto, poi qualcuno spianava. I proprietari che prima erano morti di fame sono diventati ricchi e quelli che non lo facevano poi hanno iniziato”. I rifiuti
erano diventati un business per tutti. Al punto che qualcuno andava addirittura in Campania, nel casertano, ad imparare l’arte dagli specialisti del tombamento.
A scoperchiare le bombe ecologiche si resta esterrefatti. L’odore durante gli scavi è nauseabondo e nei giorni scorsi alcuni militari impegnati nelle operazioni hanno accusato malori probabilmente causati dalle esalazioni del materiale putrido rimasto per decenni sotto terra. A Scorrano, in località Orie, i militari del Noe, guidati dal maggiore Nicola Candido, hanno trovato ancora plastiche, bitumi, pneumatici, inerti, che fanno pensare a resti di imprese edili ma anche di vivai. Un elicottero è poi arrivato da Bari per aiutare i carabinieri a monitorare altri siti sospetti, che qualcuno ha indicato come possibili necropoli del rifiuto. Intanto i finanzieri del Roan di Bari, coordinati dal colonnello Maurizio Muscarà, hanno avviato le ricognizioni aeree a bordo del velivolo giunto da Pratica di Mare. Si tratta di un mezzo che effettua telerilevamento tramite sensori spettrali, termici e fotografici, acquisendo le immagini delle emissioni spettrali e degli stress termici e incrociandoli poi con le mappe georeferenziate del territorio al fine di individuare anomalie. Cioè materiali pericolosi e non naturali. La cui caccia è iniziata da Casarano, Supersano e Collepasso e proseguirà fino a giovedì in tutto il Salento.
Dalla Puglia intanto è partito l’sos. L'assessore regionale all’Ambiente, Lorenzo Nicastro, ha chiesto un incontro al ministro dell'Ambiente, Gianluca Galletti, per discutere della possibilità di proporre un decreto legge che permetta l'uso delle risorse economiche poste sotto sequestro penale per la caratterizzazione e la prevenzione delle situazioni a rischio nel Foggiano sul modello del decreto Ilva. «Chiederò al Ministro Galletti, che spero di incontrare al più presto - spiega Nicastro - che si adotti un decreto specifico per quello che sta emergendo a Foggia o che potrebbe venir fuori anche altrove: i reati ambientali, i cui effetti sono permanenti per cui è necessario un intervento che ristabilisca la salubrità, rischiano di pesare due volte sui cittadini. In primo luogo per gli effetti sulla matrice ambientale e per i rischi sulla salute pubblica e poi, in seconda battuta, per i costi connessi alle attività di bonifica. L'indagine foggiana ha individuato delle responsabilità e sottoposto a sequestro risorse economiche e mezzi che sono il frutto dei reati consumati. Se - conclude l’assessore - potessimo utilizzare quelle risorse senza aspettare le definitiva confisca che richiede parecchi anni, eviteremmo di gravare sugli enti locali e potremmo massimizzare l'efficacia degli interventi».

Tratto da: La Repubblica Bari