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yellostoneIl geologo: «Sono vere e proprie bombe a orologeria»
di Luigi Grassia - 15 gennaio 2014
Sul pianeta Terra c’è vulcano e vulcano. Esistono quelli per così dire normali, che quando sono attivi eruttano, e magari fanno anche danni gravi, ma tutto finisce lì, entro i confini di una zona limitata; e poi ci sono quelli giganti: vulcani che a lungo non eruttano, stanno fermi e zitti per millenni o addirittura per milioni di anni, ma intanto accumulano magma e alla fine esplodono senza preavviso, provocando non semplici danni ma vere e proprie catastrofi continentali o planetarie.
Di questi poco simpatici super-vulcani dormienti (però dormienti solo in apparenza, perché nel sottosuolo la carica esplosiva cresce) si è parlato di recente, e con giustificato allarme, a proposito della zona di Yellowstone negli Stati Uniti. Ma si sa che anche sotto i Campi Flegrei in Campania si agita un mostro della stessa categoria, e altri giacciono in giro per il mondo. Ora uno studio, pubblicato su «Nature Geoscience» e firmato da Luca Caricchi con la sua équipe di geologi dell’università di Ginevra, ci spiega che i due tipi di vulcani, quelli normali e quelli super, sono proprio qualitativamente diversi, rispondono a leggi peculiari, e fra loro non c’è solo una differenza di dimensioni: nei giganti tutto sembra sciaguratamente programmato per una mega-esplosione finale.

Il fatto è questo: se un vulcano ha una camera magmatica non più grande di 500 chilometri cubici, lo scarico saltuario all’esterno del surplus di lava in arrivo dal basso può avvenire con facilità; così (per esempio) succede con lo Stromboli alle isole Eolie. Invece le camere magmatiche molto grandi (dai 500 ai 35 mila chilometri cubici) non danno luogo a scariche periodiche. La lava si accumula, ma la pressione aggiuntiva si distribuisce su una vasta superficie e caldera la garitanon riesce a bucare, qua e là, il tetto della camera magmatica. Dice Caricchi: «È come gonfiare un palloncino soffiandoci dentro. Se è piccolo, un ulteriore soffio lo fa scoppiare. Invece, se si tratta del pallone di una mongolfiera, un altro po’ di aria che ci entra non fa la differenza». Questo è vero almeno fino a un certo punto: alla fine esplode anche la mongolfiera (ma in modo più catastrofico) o per uscire di metafora: alla fine il tetto della camera magmatica del super-vulcano dormiente crolla, crolla tutto intero, e tutto in una volta, dando il via a un’immane esplosione/eruzione.
Da notare che c’è un limite fisiologico alle dimensioni della camera magmatica: al di là di una certa grandezza, la lava ulteriore comincerebbe a raffreddarsi lungo la circonferenza della camera, e così il lago di magma sotterraneo perderebbe compattezza. Il massimo teorico secondo Luca Caricchi è di 35 mila chilometri cubici con un diametro di 90 chilometri. Questo corrisponde a sette volte la camera magmatica della più grande eruzione nota dai rilievi geologici, cioè quella della caldera di La Garita, avvenuta 28 milioni di anni fa in quello che oggi il Colorado. Da notare che, secondo il rapporto del Dipartimento di Geologia e geofisica dell’università dello Utah reso noto qualche giorno fa, se il mega-vulcano sotto al parco di Yellowstone tornasse a eruttare come ha fatto 2 milioni di anni fa, la cenere ricoprirebbe tutta la parte centro-occidentale degli Stati Uniti e il Messico del Nord e ne sarebbe sconvolto il clima globale. Una catastrofe biblica. E sotto l’isola di Toba, in Indonesia, accumula magma da migliaia di anni un vulcano nascosto ancora più grande.

Tratto da: La Stampa del 15 gennaio 2014

Foto a lato: Il passato: la caldera di La Garita (Colorado)
Foto in alto: Il Futuro? Un megavulcano a Yellowstone