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ricerche-nave-velenidi Giuseppe Baldessarro e Giovanni Tizian - 20 dicemnbre 2012
Il capitano Natale De Grazia morto in circostanze misteriose nel 1995 mentre indagava sull'affondamento delle navi piene di rifiuti tossici secondo i parlamentari che indagano sui traffici di rifiuti sarebbe stato avvelenato. Una dettagliata perizia, spiega com. Ma ulteriori indagini tossicologiche sono quasi impossibili.

Ore 10.25 di oggi: la conferenza stampa convocata d'urgenza dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti viene  annullata, rimandata a data da destinarsi. Il tema? L'annuncio di clamorose novità sulle navi dei veleni e sulla morte del capitano Natale De Grazia. Un mistero italiano. Del resto tutta la vicenda dei rifiuti tossici affondati con le navi a perdere nel mare calabrese e la scomparsa di De Grazia è fitta di misteri, omissioni, complicità. Ma agli atti della commissione c'è un elemento nuovo, dal quale potrebbero aprirsi nuovi scenari investigativi. Si tratta dei risultati della perizia sulla morte del comandante eseguita da un consulente della commissione. De Grazia potrebbe essere stato avvelenato. Ucciso per fermarlo nelle indagini sugli affondamenti delle navi piene di bidoni tossici. Il risultato a cui è giunto il perito potrebbe portare all'apertura di una nuova inchiesta per accertare quanto accaduto quella tragica sera del  dicembre '95 in cui è morto - ufficialmente per arresto cardiaco - De Grazia. E getterebbe le basi per scavare fino in fondo tra i segreti velenosi custoditi nei fondali calabresi. Avvelenato il mare e avvelenato l'investigatore che più di tutti inseguiva la verità. Strane coincidenze in una storia in cui ogni indizio è prezioso.

La perizia. "Il Capitano De Grazia non è morto di morte improvvisa mancando qualsivoglia elemento che possa in qualche modo rappresentare fattore di rischio per il verificarsi di tale evento", riferisce il perito davanti ai membri della commissione presieduta dall'avvocato Gaetano Pecorella (Pdl). L'analisi del consulente - che Repubblica ha potuto vedere - prosegue specificando  che "si trattava infatti di soggetto in giovane età, in buona salute, senza precedenti anamnestici deponenti per patologie pregresse, che conduceva una vita attiva e, come militare in servizio, era sottoposto alle periodiche visite di controllo dalle quali non sembra siano emersi trascorsi patologici. E per altri versi l'esame necroscopico, al contrario di quanto è stato prospettato attraverso una analisi non attenta e piuttosto superficiale dei reperti anatomo ed istopatologici, non ha evidenziato nessuna situazione organo-funzionale che potesse costituire potenziale elemento di rischio di morte improvvisa. E nemmeno quanto riferito dalle persone che erano presenti alla morte e che ne seguirono le fasi immediatamente precedenti, si accorda con una ipotesi di morte cardiaca improvvisa".

Il racconto della morte.
La perizia prosegue raccontando nei particolari il decesso dell'ufficiale: "...Si sa infatti che il Capitano De Grazia, subito dopo aver mangiato e messosi in macchina ha cominciato a dormire e quindi a russare in modo strano; ad un certo punto reclina la testa sulla spalla e per questo viene scosso dall'occupante il sedile posteriore dell'autovettura; a questa sollecitazione egli reagisce sollevando il capo ma non svegliandosi e senza dire alcunché se non emettendo un suono indefinito; quindi poco dopo reclina definitivamente la testa e non risponde più alle sollecitazioni". Il consulente critica senza mezzi termini le indagini, "i cui limiti sono apparsi subito evidenti" e la perizia medico legale fatta sul corpo senza vita di De Grazia, che "non corrisponde alla verità scientifica". E troppo tempo è passato per esaminare ulteriori reperti, escludendo che "una eventuale, rinnovata esumazione della salma possa dare la possibilità di indagare sui temi che qui interessano e cioè quelli della causa della morte con particolare  riferimento alla presenza di sostanze tossiche".

Ecco allora le deduzioni "sostenute dai pochi elementi obiettivi tenendo anche conto di quanto acquisito nel corso delle audizioni delle persone che, in qualche modo, ebbero ad assistere alla morte del capitano". Ma allo stato, "non c'è nell'intera indagine alcun dato certo che possa supportare la morte improvvisa" di De Grazia.

"Cause tossiche". Cosa è successo veramente? Difficile dirlo, ma il perito parla di "cause tossiche", cioè sostanze velenose che hanno portato alla morte il capitano: "Sembrerebbe più trattarsi di morte cardiaca secondaria a insufficienza respiratoria da depressione del sistema nervoso centrale, come suggestivamente depone il quadro di edema polmonare così massivo, incompatibile quasi con un arresto cardiaco improvviso del tutto asintomatico; come suggestivamente depongono le manifestazioni sintomatologiche riferite da chi ha potuto osservare il sonno precoce, il russare rumoroso, quasi un brontolio, la risposta allo stimolo come in dormiveglia, il vomito; tutte manifestazioni queste che, anche se non patognomoniche, ben si accordano con una progressiva depressione delle funzioni del sistema nervoso centrale". In altre parole "si può riconoscere solo la causa tossica". Ma "quale essa potrà essere stata  non lo si potrà più accertare".

"Impossibile ripetere le analisi".
Le conclusioni del perito sono amare. "Purtroppo è stata irreversibilmente dispersa la possibilità di indagare seriamente sul versante tossicologico, da una parte per superficialità e forse inesperienza di chi aveva posto i quesiti con scarsa puntualità e poco finalizzati; dall'altra per l'insipienza della indagine medico legale che ha ritenuto trovarsi di fronte ad una banale morte naturale ed inopinatamente si è subito indirizzata, trascurando l'indagine globale, alla esclusiva ricerca di droghe di abuso in un caso nel quale, se c'era una ipotesi se non da scartare subito almeno da considerare per ultima, era proprio quella di una morte per abuso di sostanze stupefacenti; e pervicacemente ha insistito sulla stessa linea anche nella seconda indagine necroscopica. Oramai l'indagine tossicologica non è più ripetibile, e quindi il caso, dal punto di vista medico legale deve essere, ad avviso del sottoscritto, considerato chiuso".

L'investigatore delle "navi a perdere". Lo chiamavano l'investigatore delle "navi a perdere". Il "cacciatore di cargo" che venivano imbottiti di rifiuti radioattivi per essere affondati a largo delle coste calabresi. Natale De Grazia era uno specialista. Ed è morto misteriosamente il 13 dicembre del '95, mentre era in viaggio sull'autostrada che lo avrebbe dovuto portare a La Spezia. Comandante della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria era considerato un militare dalla schiena dritta. Che non temeva la fatica e i rischi di un'indagine, considerata spinosa. Era sereno anche il giorno della partenza per la Liguria. Ci stava andando a recuperare documenti sui cargo affondati nel Mediterraneo. Partì per La Spezia nel tardo pomeriggio di un giorno piovoso. Diluviava, sulla Salerno-Reggio Calabria. Il pool di investigatori che in macchina la percorreva da Sud verso Nord era composto, oltreché da De Grazia, anche da Nicolò Moschitta e Rosario Francaviglia. Poco prima di Nocera Inferiore in Campania, i tre decidono di fermarsi a cenare in uno dei tanti service. Mezz'ora al massimo. Ripartiti, il capitano era seduto dietro. I colleghi ad un certo punto non lo sentono più parlare. Improvvisamente. Aveva il respiro pesante, non rispondeva alle sollecitazioni. Rantolava.

L'auto venne fermata su una piazzola d'emergenza. De Grazia, secondo il racconto degli unici due testimoni, morirà in pochi istanti, nonostante i loro tentativi di soccorso. La morte del comandante "può ricondursi, per sua natura, ad una morte di tipo naturale, conseguente ad una insufficienza cardiaca acuta, inquadrabile più specificatamente nella fattispecie della morte improvvisa". Fu questo il responso di prima autopsia, il cui referto venne depositato il 12 marzo del 1996. Morte improvvisa, dunque. Inspiegabile, comunque rarissima. "La morte improvvisa è un evento repentino e inatteso - si legge ancora nel referto a firma della dottoressa Simona Del Vecchio, autrice dell'esame autoptico - caratterizzato dal fatto che il soggetto passa da una condizione di completo benessere o almeno di assenza di sintomi alla morte in un arco di tempo inferiore alle 24 ore". Natale De Grazia sarebbe rientrato proprio in uno di questi casi.

I familiari chiedono la verità.  I familiari, non convinti, a distanza di tempo, chiedono una nuova perizia medica. Sarà affidata alla stessa dottoressa Del Vecchio, che eseguì la prima. Identico a quello precedente anche l'esito. Una stranezza. E non sarebbe l'unica. Gli investigatori a La Spezia ci andavano per cercare le rotte di alcune navi partite da quel porto. Non ci arriveranno mai, e quando qualcun altro si presenterà all'archivio dell'approdo ligure, si scoprirà che, nel frattempo, le stanze che ospitavano quei documenti si erano allagate, e che tutto era finito al macero.

La medaglia d'oro.
Fatalità? Forse. C'è poi un documento che spiega il valore del lavoro svolto dal capitano Natale De Grazia. E' la relazione inviata al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nella primavera del 2003, per chiedere, per il capitano, il riconoscimento ufficiale dello Stato. Riconoscimento che arrivò sotto forma di medaglia d'oro, poco tempo dopo. Il documento porta la firma di Francesco Neri, il magistrato che aveva fatto del comandante della Marina Militare uno dei suoi investigatori di punta. Ed è controfirmato da altre due toghe, Nicola Maria Pace e Giovanni Antonino Marletta.

Il caso "Ilaria Alpi". In uno dei passaggi, si legge che durante le perquisizioni a casa di alcuni degli indagati "determinante fu l'apporto investigativo del capitano De Grazia, non soltanto per la sua ben nota esperienza marinaresca e militare, ma - soprattutto - per l'acume investigativo dimostrato, che portò l'indagine ad acquisire elementi probatori di eccezionale importanza e, con la sua competenza, di rapida e facile lettura". Fu De Grazia a trovare le piste che portavano al caso "Ilaria Alpi", al traffico di armi internazionale, e al principale indagato Giorgio Comerio. E fu sempre il capitano a gestire il "cuore" di un'indagine che "per la sua naturale evoluzione si arricchiva sempre più di elementi investigativi importanti, inediti e al tempo stesso pericolosi".

I magistrati che chiesero il riconoscimento per De Grazia ricordano come si tratti "di vicende avvolte nelle nebbie dei segreti di Stato, con la complicità dei più pericolosi faccendieri e trafficanti di armi e rifiuti, dei servizi segreti (deviati e non) di numerosi Stati, di organizzazioni criminali mafiose, che come tali potevano compromettere anche la "sicurezza nazionale", tanto che si ritenne opportuno informare anche il capo dello Stato (all'epoca Scalfaro), per il tramite del procuratore della Repubblica di Napoli, Agostino Cordova, che nel frattempo svolgeva indagini, collegate, a quella di Reggio". E ancora: "L'instancabileDe Grazia, gravato di compiti istituzionali, interessato alle indagini, perché ne sentiva tutta l'importanza e la responsabilità, (.) sacrificava qualunque ritaglio di tempo libero, a discapito della famiglia, per venire, solo a tarda sera negli uffici della Procura circondariale, sovraccaricandosi così di lavoro per scovare tra i circa 72 faldoni di documenti ed atti di investigazione, di cui ormai l'indagine era costituita, ulteriori notizie di reato". Questo era Natale De Grazia, un investigatore scomodo.

In foto: Le ricerche della nave dei veleni al largo di Cetraro

Tratto da: inchieste.repubblica.it