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riscaldamento-globale-webdi Giovanna Tinè - 4 ottobre 2012
La rubrica Brave New World di dailySTORM torna, dopo una torrida estate, a parlare di ambiente, transizione e cambiamento di sistema. E lo fa cominciando con ciò che a livello ufficiale si muove – o dovrebbe muoversi – in vista dei negoziati sul clima COP18 che si terranno a Doha, in Qatar, dal 26 novembre al 7 dicembre prossimi. In un precedente articolo abbiamo già trattato di alcune delle tappe precedenti a questo incontro, in cui tutto è emerso da parte dei paesi partecipanti fuorché l’intenzione di prendere decisioni veramente efficaci e vincolanti.

.Recentemente, dal 30 agosto al 5 settembre 2012, si è svolta a Bangkok una conferenza informale sui cambiamenti climatici con l’obiettivo di elaborare delle soluzioni in vista di Doha. Le questioni sul piatto erano le seguenti, ognuna sviluppata da un gruppo di lavoro ad hoc: il secondo periodo di adempimento del protocollo di Kyoto (“Kyoto 1” scade il 31 dicembre prossimo); le strategie da adottare nel quadro della convenzione sui cambiamenti climatici; i passi necessari per la negoziazione di un nuovo accordo sul clima entro il 2015 (da attuare nel 2020, come deciso alla COP17 di Durban, quando si è preferito posporre il problema al prendere delle decisioni concrete e immediate).

In sintesi, questi gli esiti della conferenza: la stesura di un emendamento al testo del primo protocollo di Kyoto che, se approvato a Doha – e, comunque, tra le difficoltà riguardanti i tempi di ratifica –, sbloccherebbe “Kyoto 2”; il sostanziale disaccordo rispetto alla durata di quest’ultimo, che potrebbe arrivare al 2017 o al 2020; il mantenimento di strategie fondate sul ricorso a meccanismi di mercato, già presenti in Kyoto 1 – punto delicatissimo, specialmente per chi, come noi, non crede che il mercato possa offrire delle soluzioni ai problemi del clima o dell’ambiente in generale –; la richiesta da parte dei paesi industrializzati di “strategie flessibili” che tengano conto degli effetti della crisi sulle economie nazionali, in prospettiva di nuovi accordi in materia di clima. In sostanza, un gioco al ribasso.

Lentezza, false soluzioni, mancanza di reale azione comune. Finché a guidare l’azione dei governi saranno la competizione economica tra stati e gli interessi delle lobby dei combustibili fossili, la temperatura del pianeta non farà che continuare a salire. Per fare un semplice esempio pratico, basti pensare all’atteggiamento dei candidati Obama e Romney sul il tema del riscaldamento globale alla vigilia delle elezioni presidenziali USA: il primo, dopo aver dato il via a nuove trivellazioni petrolifere, promosso la green economy e ignorato a lungo la questione, ora rispolvera un ambientalismo da spot elettorale; il secondo ostenta disinteresse, scetticismo o addirittura sarcasmo, e intanto solo nel 2011-12 intasca per la sua campagna più di 2 milioni di dollari dalle lobby dei combustibili fossili.

Nel frattempo, i media omettono più o meno volontariamente e colpevolmente di informare i cittadini su un tema così importante, tralasciando le decisioni politiche che (non) vengono prese a livello nazionale e internazionale per la riduzione delle emissioni dei gas serra responsabili del riscaldamento climatico. E’ necessario che la qualità dell’informazione e l’attenzione sull’argomento crescano fortemente, e che di conseguenza il dibattito – quello sì – si riscaldi. L’interesse verso ciò che realmente va fatto per affrontare l’emergenza ambientale e sociale deve svilupparsi non solo tra ambientalisti e addetti al settore: questa emergenza va comunicata in termini concreti e comprensibili, sui media, nelle scuole, sui luoghi di lavoro (rifiutando la dicotomia ambiente/occupazione) e nel mondo della cultura, che pure può fare molto. .

L’occasione per mettere in pratica questa mobilitazione etica e pratica può essere proprio l’accendersi dei riflettori dell’interesse popolare sulla scadenza del protocollo di Kyoto e sulla conferenza di Doha. Molti movimenti, che da sempre si occupano di questi temi in Italia e in altri Paesi, sono già pronti. Serve l’aumentare della massa critica e della pressione su chi decide. Va benissimo arrabbiarsi e protestare per gli scempi di Polverini &C; ma intanto allarghiamo lo sguardo, informiamoci, passiamo parola e non rimaniamo in silenzio.

Tratto da: dailystorm.it