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rio20Emanuele Bompan* - 26 giugno 2012

Rio de Janeiro. Si è chiuso ieri a Rio de Janeiro il summit delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, noto come Rio+20. Il vertice ha adottato una dichiarazione finale che apre la via per una crescita verde del pianeta, più ecologica e sociale, ma senza impegni precisi. Il risultato come atteso è stato mediocre. ”A Rio 1992 alle belle parole del documento non sempre seguì un’azione concreta”, commenta Maurice Strong, primo direttore UNEP e presidente della conferenza ONU nel 1992 incontrato dall’autore. ”Oggi nemmeno le parole sono sempre di qualità”.


Sull’agenda dei negoziati l’aggiornamento degli accordi del 1992, una road map per la green economy (l’economia a favore dell’ambiente), la riforma della Governance delle agenzie ONU per indirizzarle verso politiche ambientali, lotta alla povertà, una nuova strategia per misurare lo sviluppo sostenibile (per sostituire gli Obbiettivi di Sviluppo del Millennio nel 2015), il taglio dei sussidi ai combustibili fossili.
Molti di questi temi tuttavia sono rimasti sulla carta o sono stati enunciati come propositi di principio senza alcun piano di implementazione fattuale. ”Un’occasione sprecata”, spiega Mauro Albrizio di Legambiente. ”A Rio+20 e’ stato fatto un drammatico passo indietro» dichiara il Presidente dei Verdi Angelo Bonelli. ”I processi legati ai cambiamenti climatici in atto metteranno a rischio la sovranità alimentare dei paesi più opulenti e cosiddetti industrializzati che oggi, come ieri, stanno bloccando ogni possibilità di salvezza del Pianeta e dei suoi popoli”.
Per il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini tuttavia il bicchiere è mezzo pieno. Il testo ”certo è debole. il mondo è già più avanti. E poi mancano impegni vincolanti”, dichiara in Plenaria. Aggiunge però alla stampa che ”era il miglior accordo possibile. È importante che la green economy entri nel linguaggio delle Nazioni Unite e che si ponga l’accento sulla sicurezza alimentare”. E poi ricorda: ”eravamo ad un passo dal fallimento del negoziato”. Una serie di interviste con alcuni membri di agenzie Onu in forma anonima hanno confermato che le ”aspettative per questo meeting erano già basse. E il Brasile, che ha guidato il processo negoziale nella fase finale, ha ulteriormente semplificato ed alleggerito il testo. Qua e la tuttavia ci sono elementi importanti per proseguire sulla strada di sviluppo”.
Dal punto di vista geopolitico Rio segna il rinnovato protagonismo dei BRICS, mentre l’Europa rimane ancora una volta all’angolo, nonostante tante proposte interessanti. L’unione EU infatti chiedeva obbiettivi più ambiziosi da includere nel testo finale mentre i G77, il gruppo di paesi in via di sviluppo (inclusa Cina) ponevano come precondizione l’allocazione di finanziamenti per lo sviluppo.
Schiacciata dalle richieste di fondi, ha preferito abbandonare le sue richieste senza far arenare il negoziato. Nella partita per tagliare i sussidi ai combustibili fossili come il petrolio, fortemente voluta dalla UE e ritenuta da Clini «un processo complesso ma necessario» l’europa è andata nuovamente sotto quando i paesi africani hanno preteso in cambio il taglio i sussidi per l’agricoltura. Bisognerà forse attendere il prossimo summit G20 per tornare a discutere di come porre fine ai sussidi ai petrolieri.
Dalla conferenza emergono nuove relazioni di cooperazione, South-to-South, e South-to-Nord, come ha ricordato sempre Clini, che qua a Rio ha firmato un partenariato sullo sviluppo sostenibile Italia-Brasile-Africa. ”è tempo di comprendere i nuovi equilibri globali anche nello sviluppo”, ha spiegato alla stampa il ministro. E che nei prossimi anni, guidati dall’agenda sulla green economyu approvata potrebbero aprire nuove opportunità ad imprese italiane del settore delle energie rinnovabili e del risparmio energetico.
Alla ricerca di risultati concreti –pochi quelli contenuti nel documento finale – Ban Ki-Moon, per ovviare alla mancanza degli attesi obbiettivi di sviluppo (SDG) definiti, ha lanciato l’iniziatica Zero Hunger, finalizzata ad eliminare la fame nei prossimi anni. 5 gli obbiettivi: accesso del cento per cento della popolazione mondiale al cibo, zero morti per fame dei bambini sotto i due anni, rendere al cento per cento sostenibili i sistemi di produzione e distribuzione di alimenti, aumentare del cento per cento la produttività e il reddito dei piccoli produttori agricoli, contadini, eliminare il cento per cento dello spreco di cibo, promuovendo il consumo responsabile. Invito tutti a collaborare con me», ha detto Ban Ki-Moon.
Il segnala sull’urgenza di agire arriva sopratutto dalla Società civile e dal mondo delle imprese, con due visioni diametralmente opposte ma con un obbiettivo comune: rendere lo sviluppo sostenibile una pratica quotidiana diffusa. I movimenti rilanciano la necessità di agire subito: fame ed ambiente non possono attendere. Grazie ad un’economia locale, sostenibile, e non a processi di capitalismo verde, guidati da corporazioni e da principi di finanza ambientale (tutte le risorse naturali hanno un prezzo, dalla Co2 alle foreste).
Forte la volontà da parte dei network di città e di amministratori di prendersi sulle spalle il carico dell’azione. ”Alla nostra scala è più facile agire”, dichiara a Famiglia Cristiana David Cadman, presidente dell’ICLEI. ”Questo summit ci indica la direzione, ma noi sappiamo come lavora ogni giorno nelle nostre città per raggiungere questi obbiettivi”
Per il mondo del business, presente con migliaia di delegati al summit a Rio, «sono le imprese prendersi il carico dell’inazione dei governi», spiega Peter Bakker, presidente del World Business Council for Sustainable Business. «Non ha senso nel dire che le imprese non stano facendo del loro meglio o vogliono sabotare il processo. Ci sono solo buone compagnie e cattive compagnie. Il settore corporativo attualmente offre la migliore opportunità per salvare il mondo». Durante il summit è stato prodotto un’importante documento dall’UNGlobal Compact (la piattaforma ONU aperta al mondo delle imprese) Corporate Sustainability Leadership, una guida all’azione per le imprese responsabili che illustra una strategia globale per affrontare uno sviluppo sostenibile per eliminare la povertà e sostenere l’ambiente. Inoltre anche nel testo finale si «sottolinea l’importanza della CSR, Corporate Social Responsbility» (Par. 46), un successo importante sostengono gli addetti del settore. Ma anche una pericolosa esposizione dell’ambiente al capitale.
Tante le imprese italiane presenti al summit. Enel, che ha curato il padiglione italiano; Eni (che ha promesso di investire 5 miliardi per ridurre la propria impronta di emissioni); Gucci, che ha promosso la moda sostenibile; ed infine Illy che ha promesso di ridurre le emissioni di Co2 legate alla produzione del caffè del venti per cento entro il 2020.
La buona notizia insomma potrebbe proprio essere che l’inazione dei governi, se ben esposta dai media, potrebbe essere la scintilla per innescare l’azione dal basso, sia che venga dalle associazioni, dal mondo religioso o da quello degli affari. «Il fallimento di Rio+20 – osserva Elisa Bacciotti, direttrice campagne di Oxfam Italia – darà nuova linfa alla crescente insicurezza e rabbia delle persone. Come Oxfam continueremo a stare al fianco dei nostri partner e alleati per trasformare questa rabbia in una irresistibile domanda di cambiamento».
*inviato a Rio da CityFactor

Tratto da: eilmensile.it

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