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eternit-webdi Christian Elia - 6 febbraio 2012
“Ora andiamo avanti con lo Stato al nostro fianco”. Il Comune di Casale Monferrato, in Piemonte, ha deciso: non accetterà il risarcimento economico proposto dagli imputati nel processo che arriverà a sentenza il prossimo 13 febbraio che vede alla sbarra i proprietari dell’azienda Eternit, ritenuta responsabile della morte di circa 1800 cittadini del comune piemontese.

A titolo di transizione, i legali di Sthepan Schmidheiny, imputato assieme a Louis de Cartier, nel maxi processo amianto di Torino, avevano offerto al Comune di Casale la somma di oltre 18 milioni di euro. Dopo le pressioni dei familiari delle vittime e dopo un tavolo di lavoro con il ministro della Salute Reanto Balduzzi e il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, il 26 gennaio scorso, la Giunta comunale si è risolta a dire no.

“Questa amministrazione si è trovata davanti a una decisione difficile”, ha dichiarato il sindaco di Casale Monferrato, Giorgio Demezzi. “Non accetteremo, però, che una volta respinta l’offerta e passata la sentenza di primo grado l’emergenza torni nel dimenticatoio”. La strategia degli accusati, puntando sui tempi lunghi del risarcimento che Casale potrà ottenere, era di liquidare un risarcimento che avrebbe spinto la cittadina a ritirarsi quale parte civile nel processo alleggerendo così la posizione degli imputati.

Silvana Mossano è una brava giornalista della Stampa di Torino, che ha seguito da sempre la storia dell’Eternit, nata e cresciuta come lei a Casale Monferrato. Un libro, Malapolvere, edito da Sonda, raccoglie le storie della sua città, tradita dall’Eternit.

”A novembre scorso, Schmidheiny aveva offerto al comune di Casale quella cifra, ma non per filantropia, come lui vuole far credere, bensì per ottenere la revoca del comune quale parte civile nel processo (e quindi negli eventuali altri gradi di giudizio) per il quale è attesa la sentenza di primo grado per il 13 febbraio prossimo”, spiega al telefono Silvana Mossano. ”Inoltre il comune, accettando quei soldi, finiva per impegnarsi a non promuovere mai più azioni legali contro di lui. Eredi e dipendenti compresi, in tutte le aziende a lui riconducibili. Una proposta indecente, che io ho ribattezzato ‘offerta del diavolo’. Su questa offerta, però, si era spaccata la città”.

Qualcosa che non era mai accaduto prima, visto che in questa tragedia l’unità delle vittime è stata sempre una forza. ”L’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Giorgio Demezzi, era orientata ad accettare questa offerta per spenderla sostanzialmente in tre modi: bonifica del territorio, ricerca scientifica a livello internazionale per il mesotelioma e per lo sviluppo della città di Casale, che a causa dell’amianto, è danneggiata anche come immagine”, spiega la cronista.

”Una grande parte della città si è però indignata, a volte in modo anche rabbioso. Ha parlato in primis la sofferenza: ex lavoratori, e familiari delle vittime, magari di persone che con l’eternit non hanno avuto nulla a che fare, magari dei paesi attorno. Manifestazioni spontanee, dove la politica classica non c’entrava nulla – spiega l’autrice di Malapolvere – anche se qualcuno ha tentato di far passare questa rabbia come una strumentalizzazione politica. Non è vero, basta guardare i social network, dove si esprimevano cittadini che dichiarano di aver votato per questa maggioranza”.

”C’è stata una bella esplosione di democrazia dal basso, che nessuno avrebbe immaginato, neanche coloro che si sono battuti. Questa esplosione ha portato all’intervento sulla vicenda del ministro della Salute Balduzzi, che ha dimostrato grande pragmatismo, incontrando le associazioni e le istituzioni locali, fissando un calendario di incontri”, che sono iniziati appunto il 26 gennaio scorso.

”Si è creato il contesto giusto per la decisione di oggi, preceduto da un’altra situazione positiva. Sette piccoli comuni del territorio, Balzola, Coniolo, Mirabello, Ozzano, Pontestura, Villanova, Morano – a cui Schmidheiny aveva offerto 16mila euro a testa – hanno rifiutato il risarcimento. Questo perché era importante dare un segnale, quello del ricompattamento di un fronte che si era sfilacciato, dopo che per trenta anni questa battaglia contro l’amianto è stata combattuta con coralità, al di fuori di logiche politiche”.

E adesso? ”Adesso aspettiamo il 13 febbraio, dove grazie al lavoro esemplare dei pubblici ministeri, si otterrà la sentenza di un processo difficile, iniziato il 10 dicembre 2010, che in pochi credevano possibile, dopo sessanta udienze e una mole di documenti immensa. Il più grande processo per reati ambientali da lavoro in Europa. Chiedono venti anni di carcere per ciascuno dei due imputati”, spiega Silvana Mossano. “Perché, come dicono i pm, questa strage è stata compiuta scientemente, sapendo che l’amianto causava il mesotelioma. E mistificando la realtà, minimizzandone i rischi, in nome del profitto”.

Valori, principi che finiscono per non riguardare solo Casale. ”Questo processo può rappresentare un atto di giurisprudenza, cui guarderà tutto il mondo, perché Casale è la città simbolo della lotta all’amianto. Un simbolo che si è ribellato. Questo processo può aprire la strada ad altri processi, in altre parti del mondo, portando gli imprenditori come ha detto il pm Guariniello e, come dice la mitica Romana Blasotti Pavesi, ultraottantenne combattiva presidente dell’Associazione delle Vittime dell’Amianto, non si può andare a lavorare e morire”.

Tratto da: eilmensile.it