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diga-webdi Stella Spinelli - 11 gennaio 2012
I governi africani stanno, uno dopo l’altro, rinunciando al diritto all’acqua per i prossimi decenni a tutto vantaggio di multinazionali che stanno strappando accordi vantaggiosissimi in nome del profitto. Decisioni che ricadranno sulla pesca, sull’agricoltura e sulla pastorizia di milioni di persone.

Si tratta di accordi sbrigativi, segreti e unilaterali che minacciano da vicino la stabilità sociale e ambientale di molte aree. A lanciare l’allarme sono i ricercatori dello International Institute for Environment and Development (Iied) che denunciano come capi di stato e aziende private stiano usurpando uno dei diritti umani basilari per la vita.

Alcuni investitori in Mali e Sudan hanno già ricevuto accesso illimitato alle risorse idriche. Poco importa se a parole le Compagnie che comprano le terre destinate all’agricoltura irrigua si pronuncino a favore del diritto all’acqua, perché gli impegni contrattuali a lungo termine impediranno l’accesso all’acqua ai contadini locali. Lo ha spiegato chiaramente Lorenzo Cotula, fra gli autori della ricerca dello Iied, il quale ha anche precisato: “Questo andrà a colpire non soltanto le popolazioni che abitualmente usavano quelle terre e che se le vedranno portar via, ma anche persone che abitano a distanze inenarrabili, persino in altri paesi confinanti, e che però avevano in quella risorsa idrica l’unica fonte in centinaia di chilometri di terre”.

Un esempio è il Gibe III dam, in Etiopia, il più grande progetto idroelettrico mai concepito in Africa, che da un lato permetterà l’irrigazione di migliaia di ettari di terra di proprietà degli investitori, ma dall’altra altererà in modo drammatico i flussi stagionali dell’Omo e avrà un enorme impatto sui delicati ecosistemi della regione e sulle comunità indigene che abitano lungo le sponde del fiume fino al suo delta, al confine con il Kenya. La portata dell’Omo – denunciano gli scienziati – subirà una drastica riduzione. Il fenomeno interromperà il ciclo naturale delle esondazioni che periodicamente riversano acqua e humus nella valle alimentando le foreste e rendendo possibile l’agricoltura e la pastorizia nei terreni rivivificati dalla acque. Tutte le economie di sussistenza legate direttamente e indirettamente al fiume collasseranno compromettendo la sicurezza alimentare di almeno 100.000 persone.
“La crisi globale dell’acqua è una crisi di gestione dell’acqua, non di quantità” ha dichiarato il direttore dello Iied Jamie Skinner.  “Una buona gestione dell’acqua dinnanzi al cambiamento climatico – ha concluso – è possibile solo se risulta chiaro che l’acqua appartiene a coloro che detengono il diritto di usarla e se la sua distribuzione avviene in maniera trasparente”.

Tratto da: eilmensile.it