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di Mattia Fossati
Tra interferenze politiche e veleni con altre Procure: ecco perché si è dimesso il Di Pietro brasiliano

Dopo sei anni la finestra si è chiusa. Deltan Dallagnol (in foto), capo del pool di Curitiba, ha deciso di lasciare la guida della Lava Jato, la più grande indagine contro la corruzione mai realizzata in Brasile. Ufficialmente, come ha dichiarato nel video pubblicato sulla sua pagina Facebook, pesa sulla scelta le precarie condizioni della figlia di appena un anno, la quale soffrirebbe di un ritardo nello sviluppo intellettivo. In realtà, come ipotizzano molti osservatori verdeoro, la decisione sarebbe stata determinata dai numerosi ostacoli incontrati dai magistrati dall’inizio della Presidenza di Jair Bolsonaro.
Difficoltà che si sono acuite in questi ultimi mesi. Il 24 aprile, Sergio Moro (ex giudice dell’inchiesta Lava Jato) ha rassegnato le dimissioni come Ministro della Giustizia, accusando Bolsonaro di avergli fatto delle pressioni per sostituire i capi della Policia Federal con uomini di sua fiducia. Una richiesta che aveva fatto drizzare i capelli dell’ex magistrato curitibano: “Nemmeno durante la Lava Jato vi è stata questa interferenza politica” - dichiarò in conferenza stampa. Da parecchio tempo Moro lamentava lo scarso interesse di Bolsonaro nei confronti della lotta contro la corruzione, tanto che il Congresso aveva largamente rimaneggiato il pacchetto anticrimine presentato dall’ex Ministro della Giustizia esautorandolo di tutte le norme che potevano aiutare i procuratori di Curitiba a proseguire l’inchiesta Lava Jato.
In quegli stessi mesi era intervenuta anche la Corte Suprema (STF) a rallentare il lavoro dei magistrati del pool. Ad esempio, gli ermellini verdeoro avevano stabilito che la competenza per i casi di finanziamento illecito ai partiti (reato cuore della Lava Jato) appartenesse ai tribunali elettorali e non alla giustizia federale. In questo modo, i processi istruiti dal pool finirono sotto la giurisdizione di corti che non erano strutturate per giudicare i reati di corruzione e riciclaggio di denaro. Risultato: i tempi dei procedimenti si sono talmente dilatati che buona parte degli imputati, anche se raggiunti da prove forti, hanno iniziato a sperare nella prescrizione o nell’annullamento della condanna.
Una speranza che è diventata di giorno in giorno più grande quando sempre i giudici dell’STF hanno interpretato retroattivamente la nuova legge sugli accordi di collaborazione. Così facendo molti processi scaturiti dalla Lava Jato sono ripartiti da capo poiché, in base alle nuove regole, era necessario ascoltare come testi prima i collaboratori di giustizia e solo in seguito le persone da loro citate.

L’uscita di scena di Sergio Moro e le bordate della Corte Suprema hanno solo fatto da apri pista al vero colpo di spugna contro l’inchiesta: la nomina di Augusto Aras come nuovo Procuratore generale della Repubblica. Di prassi questa figura è scelta dal Presidente della Repubblica fra una lista di nomi proposti dall’Associazione nazionale magistrati ma Bolsonaro, per la prima volta dal 2003, ha deciso di rompere questa consuetudine indicando Aras in maniera del tutto arbitraria. Una scelta dovuta, secondo il giornale Estado de São Paulo, alla vicinanza ideologica tra questo magistrato e l’Esecutivo di Bolsonaro. D’altro canto Aras non ha mai nascosto di non condividere i metodi messi in campo del pool di Curitiba. “Questi magistrati tengono nel proprio archivio i dati di 38 mila persone. Non è accettabile che un’istituzione diventi una cassa di segreti” - affermò durante una teleconferenza del luglio scorso assieme ad alcuni avvocati degli imputati della Lava Jato.
Una dichiarazione al vetriolo che ha seguito di qualche settimana la visita agli uffici del pool della procuratrice Lindora Araujo, coordinatrice della costola politica dell’inchiesta alla Procura Generale. La capatina ha lasciato di stucco i magistrati curitibani poiché il delegato della Policia Federal, che ha accompagnato la Araujo, ha preteso di ispezionare l’apparecchiatura per le intercettazioni telefoniche utilizzata dal pool. Ancora più strano, secondo gli uomini di Dallagnol, è stata la richiesta della procuratrice di accedere alla banca dati sull’inchiesta Lava Jato senza “precisarne il motivo”. Una tesi smentita dalla stessa Araujo, la quale ha spiegato di avere già presentato il 13 maggio una domanda di accesso agli atti non ricevendo alcuna risposta dal pool di Curitiba.
Ad ogni modo, questa visita è stata interpretata come una grave interferenza dai procuratori paranaensi. Una denuncia che non ha prodotto una reazione di difesa da parte dell’opinione pubblica, come invece accadeva negli anni precedenti.
Ne ha approfittato Aras prorogando per soli 4 mesi il lavoro del pool anticorruzione che il 31 gennaio 2021, salvo ribaltoni, sarà smantellato. Una scelta facente parte di un progetto di riforma più ampio che prevede l’accentramento delle indagini contro i colletti bianchi in un unico organo con sede a Brasilia, Unidade Nacional de Combate à Corrupção, il cui capo sarà nominato dal Procuratore Generale della Repubblica. Quindi di fatto sarà una scelta governativa.
Tutto ciò ha incentivato Deltan Dallagnol a prendere la palla al balzo ed allontanarsi dalla scena che sembra imporre un sipario sull’operazione Lava Jato in attesa della scadenza della legislatura. Un’occasione ghiotta per rientrare in campo da protagonista al fianco di Sergio Moro, unica figura che secondo i sondaggi sarebbe capace di battere Jair Bolsonaro al secondo turno.
Dopo averci provato dalle aule di giustizie, agli ex magistrati della Lava Jato potrebbe offrirsi la possibilità di cambiare il Brasile direttamente dalla Presidenza della Repubblica.

Foto © José Cruz

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