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di Marta Capaccioni e Karim El Sadi - Foto
Our Voice alla manifestazione: nel silenzio c’è responsabilità

“Denunciamo il governo fascista di Piñera, responsabile della gestione politica violenta che impone condizioni economiche e sociali di disuguaglianza e di indifferenza contro la popolazione cilena. Denunciamo la crudele e illegale repressione sociale dei carabinieri che ha perpetrato violenze selvagge, mutilazioni oculari, abusi sessuali, torture, sparizioni e morte. Denunciamo l’impunità dei politici corrotti, criminali e genocida in Cile”.
Ieri mattina urla rivoluzionarie hanno svegliato la città di Milano. Nel giorno in cui si commemora l’assassinio dell’ex presidente cileno Salvador Allende, diverse associazioni e gruppi hanno protestato di fronte al consolato cileno contro le vergognose condizioni umane in cui riversa il popolo mapuche, contro l’attuale governo dittatoriale di Sebastian Piñera e infine contro il vergognoso silenzio di tutta la comunità internazionale di fronte alle sue politiche repressive. Red Internacional en defensa del pueblo Mapuche, gli organizzatori dell’evento, insieme al Movimento internazionale Our Voice e a tanti altri, come un’unica voce, hanno fatto tremare le mura del consolato.
Le persone presenti ieri alla manifestazione di fronte al Consolato del Cile potevano contarsi sulle dita di una mano, ma nelle loro gambe sembravano camminare di nuovo i grandi rivoluzionari come Che Guevara, Victor Jara o Martin Luther King. La denuncia è stata forte e chiara: “Esigiamo la cancellazione del modello neo-liberale che distrugge e annienta i diritti umani del popolo mapuche e del popolo cileno”.
“La responsabilità”, ha detto Geraldine Diaz della Red Internacional, una delle organizzatrici, “non è solo di Sebastian Piñera, ma di tutti quei governi in cui abbiamo avuto fiducia dopo la dittatura di Pinochet e che nonostante tutto si sono comportati nello stesso modo: hanno continuato ad applicare un modello neo liberale, a fare gli interessi economici dei ricchi di sempre, a guadagnare sulla educazione, sulla salute e a privatizzare i beni comuni naturali e soprattutto hanno continuato a perpetrare violenze e repressione contro il popolo mapuche e contro il popolo cileno”. E ha continuato dicendo “siamo stati ingannati, repressi e dimenticati nei nostri diritti sociali che ci meritiamo come persone”.

Il popolo Mapuche: perseguitato e privato di ogni diritto umano
La storia Mapuche è una storia per l’indipendenza e per la terra. In particolare ciò che questo popolo reclama è il diritto all’autodeterminazione e il diritto di vivere in quelle che sono le sue terre ancestrali, strappategli violentemente dalle potenti multinazionali energetiche, minerarie e agricole che ne sfruttano le risorse. Queste ultime particolarmente invasive con le loro coltivazioni estensive di cotone ed eucalipto che desertificano l’area distruggendo l’ecosistema. Dopo un riconoscimento e un alleviamento delle condizioni di povertà grazie alle politiche dell’ex presidente cileno Salvador Allende, il generale Augusto Pinochet nel 1973 prese il potere istituendo una delle dittature militari più sanguinarie dell’America Latina durata 17 anni.

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La Costituzione di Pinochet, tuttora vigente in Cile, non riconosce l’esistenza dei popoli originari. Non solo: durante gli anni della giunta militare, nel 1984, fu varata per i Mapuche una speciale “legge antiterrorismo” ancora oggi in vigore, che permette carcerazioni preventive nei confronti degli attivisti. Emarginazione sociale, politica, povertà diffusa, disuguaglianze e repressione di Stato si sono affermate sempre più prepotentemente nella vita delle comunità indigene. Una condizione tuttora rimasta immutata. Chi prova ad opporsi a questo sistema neo coloniale viene brutalmente messo a tacere dalle forze di sicurezza le quali possono contare su una vasta impunità istituzionale garantita appunto dalla “legge antiterrorista” che consente loro di soffocare con la forza le manifestazioni non violente di studenti e giovani attivisti senza essere perseguiti dalla legge. Ancora oggi, nel 2020, gli indigeni vivono in comunità isolate e militarizzate dalla polizia dove vengono sorvegliati dai così detti “Vigilantes”, una trentina invece sono detenuti in carceri cilene, molti dei quali in condizioni precarie e sottoposti a torture.

La falsa democrazia, Piñera come Pinochet
La repressione di Stato contro il popolo Mapuche ha subito un'accelerazione durante l’attuale governo di stampo neo liberale di Sebastian Piñera che ha accentuato le diseguaglianze sociali nel Paese. In autunno dello scorso anno il malcontento popolare, dovuto a decenni di politiche restrittive nei confronti delle fasce meno abbienti, nelle quali rientrano le comunità Mapuche, è esploso portando centinaia di migliaia di cileni in piazza. Le richieste dei manifestanti - il 25 ottobre a Santiago del Cile si riversarono per strada un milione di persone - erano le dimissioni del presidente Sebastian Piñera e della sua squadra di governo ritenuta responsabile del caro vita, della corruzione e della strisciante disuguaglianza sociale, la più elevata tra tutti i paesi dell’OCSE. Quella di Piñera è difatti una democrazia fasulla, quasi fatiscente e a tratti nostalgica del regime pinochetista: la Costituzione è rimasta praticamente immutata da quel tempo, la diffusa politica repressiva e militarizzata ricorda appunto drammaticamente quel periodo, in cui intolleranza e violenza erano le armi principali di repressione. Durante le proteste sono stati numerosi i casi di desaparecidos, una trentina i morti, circa 13mila i feriti e 30mila i manifestanti arrestati, tanto da preoccupare il direttore di Human Rights Watch, José Miguel Vivanco, che nel suo rapporto ha concluso segnalando l’esistenza di "una cultura di abusi da parte dei Carabinieros senza subire alcuna conseguenza".
I cittadini devono far tesoro delle violenze subite e della povertà ancora dilagante quando a ottobre saranno chiamati a votare per il referendum costituzionale. Un referendum ottenuto solo grazie alla mobilitazione di un intero popolo contro un sistema capitalista e liberale che da troppo tempo schiacciava il respiro economico e sociale di tutti.


La collusione dell’Italia nello sterminio del popolo Mapuche e cileno
“Anche noi che viviamo qui possiamo fare tanto, non è un caso che in Cile nel 2019 durante le proteste si siano sperimentati dei metodi repressivi”, ha detto uno dei sostenitori dell’evento spiegando poi che “uno dei presidenti della nuova Finmeccanica, il progetto Leonardo, era il signor De Gennaro, quello che organizzò il G8 a Genova. Era colui che era riuscito a far entrare i signori di OTO Melara (società controllata di Finmeccanica S.p.a.), che costruiscono armi per attaccare i popoli mapuche, in territorio mapuche. Sono gli stessi personaggi che sono qui in questa città a Milano e che continuano a stringere patti con aziende del bresciano che lavorano solo ed esclusivamente con le armi. Per cui quale miglior occasione per il governo militare cileno di mettere in pratica tutte queste pratiche”. Un quadro allarmante, in cui “la catena si chiude” tutto si collega all’interno di un unico sistema criminale e assassino, il quale si nutre di corruzione e collusione politica, economica e militare. Un sistema nel quale l’Italia è compromessa fino al collo. Come ha chiarito poi uno dei giovani ragazzi del movimento Our Voice, Dennis Pinzone, “i governi, le multinazionali, e i proprietari terrieri in primis, per puri scopi economici finanziano affinché venga ucciso tutto il popolo mapuche, affinché venga sfrattato in modo illegale e brutale. E noi in primis contribuiamo a tutto ciò. Multinazionali come Levi's hanno le mani piene di sangue, come i Benetton hanno le mani piene di sangue di bambini, di donne e di comunità che vengono uccise illegalmente e in modo brutale”. Nessun innocente in questa guerra e in questo sterminio: o si è complici direttamente o lo si è con l’ignoranza e l’indifferenza.

L’urlo di Our Voice contro il silenzio delle istituzioni, per questo complici e colluse
Un urlo che quasi rompeva i finestrini delle auto della polizia e dei militari, presenti davanti all’consolato. “Oggi ricordiamo Salvador Allende e non è solamente un giorno di memoria”, ha detto il direttore di Our Voice Sud America, Matias Guffanti, “oggi ricordiamo la dittatura del Cile di Pinochet e non è solamente un giorno di ricordo per i desaparecidos e per le vittime. Oggi quando noi parliamo di assassini e di persone assassinate e torturate, non solamente nel passato ma anche nel presente, stiamo parlando di qualcosa che in realtà non è scollegato dal mondo, non è scollegato da quello che sta accadendo in Italia e in qualunque altro paese. Stiamo parlando di un unico sistema criminale che sta assassinando i giovani e le persone che cercano di ribellarsi contro questo sistema. Un unico apparato repressivo assassino che ci perseguita, che ci assassina, che ci tortura, che viola donne e bambine, in questo stesso momento mentre noi stiamo parlando qua, mentre siamo davanti all’consolato del Cile. In questo stesso momento stanno uccidendo giovani in Cile, in questo stesso momento il governo del Cile deve pronunciarsi”.

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Il giovane attivista, figlio della rivoluzione sud americana, con tutta la voce che aveva, si è rivolto con forti e chiare parole di denuncia direttamente agli agenti di polizia e ai militari presenti sul posto, ai consoli in giacca e cravatta dentro e fuori dal consolato e alle telecamere che lo stavano riprendendo: “Tutti quelli che stanno lì davanti: voi che ci state guardando, la polizia che ci sta filmando, il signore con la camicia deve venire qua a parlare e darci una risposta, anche se è polizia italiana, anche se è polizia del Cile. Tutti, perché ogni giovane assassinato, ogni bambino assassinato in Cile e in qualunque parte del mondo merita che si fermi tutto, merita che fermiamo tutto. L’ambasciata non può continuare a lavorare se esiste una dittatura in Cile da parte di Piñera. L’ambasciata si deve pronunciare per gli assassini del passato e del presente, per tutto quello che sta accadendo, per la collusione dell’Italia, delle multinazionali italiane, del governo italiano. Stiamo parlando all’ambasciata, alla polizia, ai militari, ai servizi segreti e stiamo parlando alla mafia. Perché questa è una lotta contro tutti, perché ci state uccidendo, tutti voi ci state uccidendo. Tutti voi che siete fermi laggiù, non so se capite questa cosa: voi state uccidendo il mio popolo, non facendo niente, non dicendo niente, non aiutandoci a tutti noi a parlare di queste cose. State uccidendo ragazzi come me, ragazzi che stanno morendo in questo momento. Il vostro silenzio è la nostra morte, però noi come il popolo cileno, come il popolo argentino, Sud americano, palestinese, di tutto il mondo che fa la resistenza non ci fermiamo e non lo faremo mai. Non ci fermiamo e urleremo questo davanti all’ambasciata del Cile, a quella degli Stati Uniti che sono responsabili di tutto questo e controllano tutta l’Italia. Voi sapete di essere i responsabili di queste morti. Nelle vostre mani, nei vostri vestiti c’è il sangue di quelle morti. C’è sangue anche in quella telecamera che ci sta registrando, che mi registra per dare quell’informazione alla polizia e per poi la polizia lavorare con quella informazione. C’è sangue lì dentro, in quella telecamera c’è il sangue. Non possiamo più permettere tutto questo e non lo permetteremo. Come giovani cittadini italiani e del mondo ci ribelliamo a tutto questo e lo faremo sempre perché noi dobbiamo lottare fino alla fine”.

“El Pueblo Unido Jamás Será Vencido!” (il popolo unito non sarà mai sconfitto) hanno cantato in molti durante la manifestazione e i giovani di Our Voice, portavoci di questa rivoluzione, sicuramente vogliono dimostrarlo.

(Prima pubblicazione: 12 settembre 2020)

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