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di Giulia Baruzzo - Intervista
Parla Corinne Vella, sorella della giornalista di Malta uccisa il 16 ottobre 2017. La magistratura ipotizza che dietro la sua morte possano esserci due politici, di cui Caruana Galizia scriveva spesso nel suo blog

“Sono una persona normale, cui il 16 ottobre 2017 è stata uccisa la sorella". Si presenta così Corinne Vella, una delle sorelle di Daphne Caruana Galizia: la giornalista maltese, autrice di un popolare blog, fatta saltare in aria insieme alla sua macchina il 16 ottobre 2017. Un attentato dietro cui la magistratura ipotizza possano essere coinvolti due ex membri del governo laburista guidato da Joseph Muscato, dimessosi lo scorso dicembre: il suo capo di gabinetto Keith Schembri e l'ex ministro Conrad Mizzi. Due uomini di cui Daphne Caruana Galizia aveva scritto molto. Proprio qualche mese prima di morire aveva pubblicato i dati di alcuni bonifici ricevuti da società panamensi riconducibili ai due politici laburisti.
Ma gli scandali di Malta non riguardano solo la politica, visto che l'isola è considerata dalla criminalità organizzata meta d'elezione per ripulire il denaro sporco guadagnato con il traffico di droga, le estorsioni, la corruzione. Realtà che Daphne, nel suo blog, non aveva paura di raccontare. Per questo a suo nome è nata una fondazione - Daphne Caruana Galizia Foundation - che non solo è impegnata nella ricerca di verità e giustizia per la sua morte, ma anche nella tutela dei giornalisti d'inchiesta. Corinne Vella è in prima linea nella lotta. Quest'anno, insieme alla rete europea Chance (Civil Hub Against orgaNised Crime in Europe), avrebbe dovuto partecipato alla Giornata nazionale della memoria e dell'impegno promossa da Libera a Palermo, che purtroppo causa coronavirus è stata rinviata, ma l'abbiamo intervistata. Una chiacchierata in cui ci ha rivelato il lato umano e femminile di sua sorella: "Dicevano che era una donna sola, con il suo computer, stereotipavano la sua immagine facendo passare l’idea che non avesse niente da fare. Ma mentre scriveva di politica, Daphne viveva una vita normale e bellissima".

Corinne, com'è cambiata la vostra vita dopo la morte di sua sorella?
Anche se la nostra quotidianità all’apparenza sembra la stessa, è cambiato radicalmente il nostro ruolo pubblico e la nostra esposizione mediatica. Nel mio caso specifico è cambiato anche ciò che faccio. Ora lavoro full time sulla campagna per ottenere giustizia per Daphne, insieme a tutta la famiglia, agli avvocati, agli attivisti che ci supportano giorno per giorno.

Quale impatto pensa che l'uccisione di Daphne abbia avuto sulla mentalità delle persone?
Ha costretto molti a capire che ciò che vedono non è sempre bello come sembra. Bisogna cambiare i preconcetti su questi luoghi, che sembrano perfetti solo a uno sguardo superficiale. In un certo senso la situazione è simile a quella italiana: se tu visiti l’italia come turista, pensi sia un posto meraviglioso. Ma in realtà ci sono gravi problemi e ci sono molte persone che rischiano la loro vita a causa di questi problemi.

Oltre la giornalista, chi era davvero Daphne?
Non so davvero da dove cominciare. Oggi in molti la conoscono perché è stata uccisa e per i lavori pubblicati sul suo blog. Ed è bene ricordare che Daphne ha scritto molte storie importanti, rotto ambiguità e tabù. Quelle storie spesso parlano dei nessi tra le strutture di potere – la politica e le attività imprenditoriali – e la criminalità organizzata. Non perchè lei stesse investigando in particolare su questioni criminali: scriveva di politica e così facendo ha scoperto importanti storie di corruzione, arrivando ai crimini finanziari e alle relazioni con la criminalità organizzata. Ma in pochi sanno che, mentre faceva queste importanti scoperte e pubblicava decine di articoli, viveva una vita normale nella sua bellissima casa, circondata da famiglia e amici: amava il giardinaggio, l'arte, la lettura, e lavorava al suo magazine “Taste&Flair” che parla di cibo, arte, cultura, e architettura d’interni e che noi ancora pubblichiamo. Un lato che veniva nascosto da chi denunciava, con il proposito di screditarla.

Cioè?
Stereotipavano la sua immagine facendo passare l’idea che non avesse niente da fare, che passasse il tempo al suo laptop facendo gossip su politici e imprenditori. Una prassi che abbiamo visto adottare anche in un caso giudiziario contro di lei. L’avevano denunciata perché aveva raccontato nel suo blog di una serata del ministro Cardona in un bordello durante una missione in Germania. Durante l’udienza, l'avvocato del ministro affermò pubblicamente che lei era "una donna sola con il suo computer" per screditare quanto aveva scritto. Questo è solo uno dei tanti episodi. Non sapevano quanto impatto avrebbero avuto le sue parole, anche dopo la sua morte.

Una passione per la bellezza e i piaceri della vita che andava oltre il suo attivismo politico, quindi.
In realtà Daphne non era un’attivista. Era solo una scrittrice e un'opinionista. Per aver condiviso le sue opinioni politiche è stata tacciata di essere una giornalista alle dipendenze di un partito o di uno schieramento, ma non era così. Daphne ha sostenuto per molti anni il suo blog da sola, senza accettare spazi pubblicitari e contributi privati, e ci è riuscita grazie alla buona distribuzione del suo magazine. Non ci guadagnava, l'ha sempre fatto solo perchè credeva nel suo lavoro. Scriveva perchè amava scrivere, partendo dai fatti di politica sino ad arrivare al cibo.

Perché ha dato così fastidio?
Ha fatto nomi e cognomi di molte persone con cariche pubbliche, e spesso anche dei loro familiari, perché connessi ad attività illecite. Ha criticato direttamente il governo, facendo della sua libertà di parola uno strumento di lotta all’impunità. Ma non solo: sin da giovane aveva deciso di rapportarsi con i poteri forti del suo Paese e, quindi, con gli uomini al potere. L’atteggiamento nei suoi confronti è sempre stato misogino, legato a una cultura prettamente maschilista. A un certo punto i media hanno cominciato a chiamarla "sahhara" ossia "incantatrice" in maltese. E se inizialmente l'accezione non era negativa, negli ultimi anni il termine è stato sempre più abusato ed è diventato equivalente di persona pazza, diabolica, da isolare e allontanare. La dignità di mia sorella è stata violata in modo costante e crescente. Veniva considerata responsabile di tutto quel che di male accadeva nell'isola. Un giorno fu persino attaccata per strada da un gruppo di persone: per sfuggire all’inseguimento si rifugiò in un convento. Anche le persone che leggevano il suo blog ed erano d’accordo con lei, non la sostenevano pubblicamente, perché spaventate.

Un odio legittimato dallo Stato?
Sì, ecco perché possiamo parlare di un primo omicidio metaforico di Daphne, che era già in corso da molto tempo per mano governativa, e poi di un reale omicidio per mano criminale coordinato da figure di potere che stiamo ancora cercando di dimostrare in tribunale, udienza dopo udienza.

Atteggiamenti che possono essere definiti mafiosi e che ricordano gli attacchi al giudice Falcone, di cui il 23 maggio scorso è ricorso il 28mo anniversario della morte. Possiamo fare un parallelo?
Certo, le le bombe che hanno tolto la vita al giudice Falcone e a mia sorella sono solo l’ultimo atto di un processo diffamatorio dai tratti mafiosi. E ciò che è accaduto a Daphne ricalca molte peculiarità di un attentato mafioso: l’uccisione pubblica per mezzo di una bomba nella sua auto, la spettaccolarizzazione della sua morte, il perpetrarsi dell’impunità per ciò che è accaduto, l'organizzazione a più livelli che sta dietro all’attentato. A me è chiaro che il suo omicidio sia avvenuto per mano di un’associazione criminale che è stata in grado di muoversi nell’area grigia degli interessi politici ed economici di questo paese, e non solo. Quando si è davanti a un crimine impunito come questo, è palese che esistano inflitrazioni criminali a vari livelli che hanno minato nel profondo la nostra democrazia. Si dice spesso che la mafia arriva dove lo Stato non è presente, ma è anche vero che se lo Stato c’è e non è in grado di agire correttamente esistono inflitrazioni di tipo mafioso. Daphne lo ha dimostrato con le sue inchieste, non ultimo il caso Siemens: abbiamo chiesto all'azienda tedesca di rescindere i contratti stipultati con il consorizio maltese Electrogas, per via degli evidenti i reati di corruzione e collusione. Uno dei partner commerciali del consorzio Electrogas, Yorgen Fenech, è accusato di aver architettato l’assassinio di mia sorella. Il fatto che lo Stato sia in affari con un uomo accusato di omicidio non è normale. Il caso evidenzia anche le molte connivenze internazionali implicate nel riciclaggio di denaro.

Un quadro preoccupante, ma voi continuate a battervi.
Sì, la nostra famiglia, insieme ad avvocati, attivisti, giornalisti continua a chiedere che questi crimini trovino dei colpevoli. Grazie a Europol vi è una squadra investigativa integrata che ora sta lavorando sul caso di Daphne, travalicando i confini maltesi e collaborando con le forze di polizia lituane, italiane (e non solo) per superare l’interesse nazionale e guardare a una giustizia europea. Ciò che è accaduto è infatti un problema europeo, non di Malta. Il progetto giornalistico Daphne project lo ha dimostrato: quando esperti e professionisti uniscono competenze senza badare alle frontiere, possiamo sperare di raggiungere risultati impensabili a livello nazionale.

A che punto sono le indagini e quali possono essere i futuri scenari?
La situazione ancora non è chiara e il vero processo non è iniziato. C'è da notare che tutte le persone accusate di essere coinvolte in qualche forma nell’omicidio hanno cercato di ottenere la libertà vigilata a causa della pandemia: uno degli ultimi che ha fatto questo tentativo è stato proprio l’imprenditore Yorgen Fenech, ma la richiesta gli è stata negata. Un passo in avanti nel riconoscere pubblicamente che ancora non sono state definite tutte le responsabilità dietro l’omicidio. Un altro fatto importante, che abbiamo denunciato attraverso la nostra fondazione come conflitto d'interesse è il passaggio di Charles Mercieca dall’ufficio del procuratore generale alla squadra di difesa di Yorgen Fenech. Siamo certi che non tutti gli implicati nel caso siano già stati identificati. Ai più alti livelli è ancora in corso un’ostruzione sistematica del sistema giudiziario. E questa ostruzione alla giustizia è essa stessa un reato, anche se nessuno sinora ne è stato accusato. C’è ancora molta strada da fare.

Un ultimo messaggio.
La corruzione uccide, è come un diavolo che può sempre vincere se non lo si combatte, ma una donna sola con il suo computer – come chiamavano Daphne – può cambiare l’ordine delle cose.

Tratto da: lavialibera.libera.it

In foto: Daphne Caruana Galizia da giovane (a sinistra) con la sorella Corinne Vella

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