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di Agustín Saiz
Contrariamente rispetto al resto del mondo e messa alle strette da una crisi senza precedenti, l'Argentina punta disperatamente alla cieca e si prepara ad essere la nuova cavia della tecnologia nucleare cinese.
L'Argentina ha saputo essere un paese all'avanguardia e pioniere della tecnologia nucleare quando a metà degli anni 70, nel mezzo della dittatura militare, inaugurò il suo piano nucleare con l'idea di completare il ciclo dell'uranio, dall'estrazione fino alla produzione di combustibile ed il suo riprocessamento a fini bellici, con l'obiettivo di collocarsi nella regione come potenza nucleare. Proprio come il Brasile, il suo competitore più vicino, i piani nucleari di entrambi i paesi furono successivamente subordinati alla politica estera degli Stati Uniti e con l'arrivo della democrazia, soprattutto per l'Argentina, dopo la sconfitta nella guerra delle Falkland con la Gran Bretagna, l'idea di un progetto nucleare sovrano divenne praticamente impossibile. I piani nucleari furono scartati lasciandoli alla deriva nel tempo, nella cornice delle politiche neoliberali di deindustrializzazione, dipendenza tecnologica, (dell'economia primaria) e di indebitamento.
Recentemente, a partire dal primo decennio del 2000, durante i governi progressisti di Lula e Kirchner, l'idea di ripristinare quella strategia è stata ripresa andando controcorrente ai paesi nuclearizzati che affrontano ancora oggi, grandi impegni tecnologici e finanziari per smantellare i loro reattori e per trovare un'altra soluzione al problema dei rifiuti oltre alle testate dei missili nucleari o seppellirli nei paesi del terzo mondo. Sotto l'insegna dell'emancipazione sovrana antiamericana, Lula cercò di essere il principale protagonista dell'industria militare nella regione e con il benestare dei governi alleati del resto dell'America latina intraprese una crociata al comando della nuova lobby militare. Ma paradossalmente, la continuità di questo progetto oggi cade pericolosamente nelle mani del suo avversario politico, Bolsonaro, che ha ereditato un sottomarino nucleare facendo scattare tutti gli allarmi degli organismi internazionali di controllo su quello che stava succedendo.
Ma mentre in Brasile questo è possibile grazie alla protezione dell'alleanza strategica con gli Stati Uniti e Israele, in Argentina le cose sono molto diverse. Dopo la multipla crisi prodotta dal governo di Macri, l'Argentina negozia con le mani legate una via d'uscita finanziaria, che nel caso della Cina rimane condizionata dall'elemento estorsivo dell'installazione di un reattore dalla tecnologia sconosciuta. In Argentina non c'è posto per la razionalità nel definire la migliore politica energetica, anche se in piena crisi possiede le migliori condizioni del mondo per sviluppare le sue necessità a metà del prezzo. La posta in gioco è la necessità di sopravvivere ad un tracollo finanziario e di fronte alla possibilità di fallire, l'Argentina è disposta a qualunque cosa, come un senzatetto senza futuro che è stato scelto dall'industria farmaceutica per testare gli effetti secondari di una nuova droga prima di farla uscire sul mercato.

La resistenza antinucleare Argentina si chiama MARA
Al di là delle differenze politiche e perfino ideologie, esiste un forte movimento antinucleare in Argentina, (MARA) composto da diverse organizzazioni di cittadini che cercano di fermare l'avanzamento del piano nucleare che si estende su tutta l'enorme estensione del territorio. Abbiamo parlato con Pablo Lada, un referente storico e che dalla Patagonia è sempre presente nelle successive battaglie che ancora oggi si continuano a combattere. La più recente ha a che vedere col tentativo di installazione di Hualong One nella provincia di Rio Negro nell'anno 2017. La grande e massiccia mobilitazione simultanea nelle diverse città della Patagonia portò all'approvazione della legge provinciale che proibì la realizzazione del reattore che in seguito andò a finire a Zarate, provincia di Buenos Aires.
"… Dobbiamo incominciare a vedere il piano nucleare come qualcosa di cui l'Argentina sta soffrendo, un erroneamente chiamato piano pacifico il cui percorso incominciò con l'ultima dittatura, ai tempi del generale Castro Madero in cui si pensava a 6 centrali nucleari di potenza e alla gestione dell'intero ciclo, che dopo continuò ad avanzare attraverso i differenti governi in democrazia. Il sogno della dittatura era quello di far esplodere una bomba atomica, non lo dichiararono apertamente, ma arrivarono a dire "simpaticamente" che avrebbero generato una detonazione "pacifica". Dopo riuscirono ad avanzare in differenti strutture governative e tecnologiche durante la democrazia che oggi perdurano nell'Argentina e che vanno dall'estrazione e arricchimento dell'uranio, fino alle centrali nucleari che possediamo e quelle che si stanno progettando. Questo è il quadro della lotta che stiamo portando avanti in ognuna delle differenti tappe… Oltre alla lotta interna che oggi è molto forte. In Argentina esiste una casta nucleare che ha un potere importante e che con il cambio di governo vedono una nuova opportunità, ma che viene allontanata dall'affare di fronte alla proposta di portare un reattore dalla Cina, creandosi quindi un conflitto interno perché vengono messi da parte."
Il reattore sperimentale fu una delle basi fondamentali del dibattito nella lotta che finì con il rifiuto dell'installazione del reattore cinese a Rio Negro: "… Quando si cercò di installare a Rio Negro, nei dibattiti sul Hualog One dicevamo che è un reattore sperimentale, che bisogna considerarlo così perché non ce ne sono altri in funzione nel mondo. Oggi i media lo stanno scoprendo, ma lo affermavamo già al dibattito nel 2017, e abbiamo ottenuto la legge grazie ad una mobilitazione massiccia della gente. Ciò era la base dei dibattiti perché ci vedevamo di fronte ad un problema maggiore, perché malgrado non esista l'energia nucleare sicura, questo era ancora più grave. Sappiamo che i Cinesi vogliono essere all'avanguardia di questo business che in realtà non è un affare perché le imprese private dopo decenni sono tutte sul lastrico... La Cina e la Russia sanno chiaramente che è vincolato al potere che cercano di schierare in Sudamerica e che entrare in questo affare in declino implica il controllo attraverso la dipendenza tecnologica. Il vero impulso che sta dietro tutto questo sono le questioni geopolitiche."
Sotto il governo di Macri si cercò di costruire il Hualong One, poi i negoziati incrociati col FMI ostacolarono gli accordi con la Cina. Dopo la riunione del G20, alla fine del 2018 a Buenos Aires e nonostante una forte e insistente pressione di Trump sull'Argentina, l'accordo venne nuovamete ripristinato: "Sono reattori che cercano di vendere come la soluzione alla stagnazione dell'industria nucleare che presubimilmente sono più affidabili, anche se non lo hanno potuto standarizzare. E ora la Cina insiste con venderci un reattore, è molto grave… saremo le loro cavie. Ne stanno costruendo un altro in Cina ma ancora non è in funzione. Erano orientati su un paese emergente come il nostro. Persino quando l'Argentina ha cessato i pagamenti e non era affidabile, la Cina voleva insistentemente venderci lo stesso questo tipo di reattori."
Il piano nucleare a lungo termine prevede la risoluzione dei problemi storici causati dall'estrazione dell'uranio, 6 milioni di tonellate di rifiuti non trasformati abbandonati in differenti punti del paese e i rifiuti radioattivi di Atucha 1 e 2 e Embalse a Cordova. Ma sono in sospeso anche i tentativi della lobby nucleare di trasformare l'altopiano della Patagonia in una discarica che accolga i rifiuti del primo mondo. In questa cornice, nella 2006 l'Argentina ha vinto una gara d'appalto per la vendita di un reattore sperimentale all'Australia con la clausola "unica" di portare indietro i rifiuti. La Cina, un paese devastato ambientalmente, ha sul suo territorio 45 reattori in funzione ed altri 15 in fase di sviluppo, molti sospettano che dietro c'è un business molto grande per trovare la soluzione a quell'enorme volume di rifiuti altamente radioattividi, sacrificando alcune terre inospitali e molto lontane dell'America latina: "... La disputa che si diede in Patagonia è stata molto forte. Come è possibile che vogliano vendere questo tipo di reattore?
Col movimento antinucleare di Chubut negli anni 80 abbiamo rifiutato un deposito di scorie radioattive altamente pericolose noto come la discarica nucleare di Gastre. Abbiamo ottenuto le leggi provinciali e le norme nazionali, ma oggi abbiamo una grande battaglia contro l'estrazione mineraria generale e quella dell'uranio. Sfortunatamente abbiamo i giacimenti di uranio più importanti del Sudamerica e c'è l'intenzione togliere le proibizioni che siamo riusciti ad ottenere nel 2003. Oggi i tentativi continuano e con la pressione dei russi è stato firmato un memorandum anche se le miniere a cielo aperto sono proibite. Il governo nazionale ha firmato questo accordo, poi dissero che non è così perché in realtà sono le province a decidere. Noi siamo usciti sulle strade per riaffermare questa posizione. Abbiamo avuto sempre la minaccia nucleare ovunque".
La necessità è la madre di tutti i mali. In Argentina sono in gioco decisioni politiche che devono essere guidate dalla gente verso la politica e non viceversa. Una crisi così profonda può servire per schiacciare o per emancipare la volontà dalla gente. La Patagonia ha dimostrato che è possibile ed il resto del paese può prenderne l'esempio ed agire di conseguenza perché il momento di agire è adesso.
Il drago Cinese ruggisce un fuoco radioattivo mortale. Speriamo che Hualong One non diventi il nome di una futura mitologia che ricorderà alla popolazione sopravvissuta al collasso ambientale che un tempo esisteva un posto chiamato l'Argentina.

Foto: www.anred.org

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