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di Viviana Mazza
L’Iran sta arricchendo «più uranio di quanto facesse nel 2015», prima della firma dell’accordo sul nucleare. Ad annunciarlo è il presidente iraniano Hassan Rouhani. «Il nostro governo lavora quotidianamente per impedire la guerra» ha aggiunto Rouhani, che però ha anche avvertito che l’appoggio europeo alla politica di Trump potrebbe avere effetti collaterali sulle truppe europee nella regione, a riprova di quanto sia sottile la linea tra la guerra economica e l’escalation militare. «Oggi il soldato americano è in pericolo, domani potrebbe toccare al soldato europeo».

Come siamo arrivati qui
Nel 2015 il governo di Rouhani ha negoziato l’intesa con i «5+1», i membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania. Il Piano d’azione congiunto globale o «Jcpoa» (le iniziali in inglese) prevedeva il ridimensionamento del programma nucleare di Teheran in cambio della rimozione delle sanzioni. Ma dopo il ritiro unilaterale di Donald Trump e il ripristino delle sanzioni americane nel 2018, a partire dalla scorsa estate Teheran ha risposto sottraendosi progressivamente ai suoi impegni, fino a comunicare questo mese (dopo l’uccisione del generale Soleimani il 3 gennaio) che non rispetterà più i limiti sull’arricchimento.
Allo stesso tempo, le autorità iraniane continuano a sottolineare che vogliono tenere vivo il patto e che tutte le misure sono reversibili se le sanzioni verranno rimosse.

La posizione europea
Germania, Francia e Regno Unito - i Paesi europei firmatari dell’accordo - hanno avviato l’altro ieri il cosiddetto «meccanismo di risoluzione delle dispute», una procedura prevista dall’articolo 36 del Jcpoa nel caso in cui le parti vengano meno agli impegni presi. Se la «disputa» non viene risolta, in un paio di mesi possono essere riattivate le sanzioni Onu, il che porterebbe alla fine effettiva del patto. L’Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Josep Borrell, fino a ieri assicurava che l’Europa vuole tener viva l’intesa del 2015, affermazioni simili a quelle fatte da Berlino. Ma il premier britannico Boris Johnson ha suggerito in un’intervista alla Bbc che il Jcpoa dovrebbe essere sostituito con «l’accordo voluto da Trump», che affronti questioni come l’appoggio dell’Iran a gruppi armati nella regione e il programma di missili balistici. I rapporti tra Londra e Teheran erano degenerati già dopo l’uccisione di Qassem Soleimani, quando il ministro della Difesa Ben Wallace ha difeso il diritto di Trump a eliminarlo come «autodifesa», in quanto il generale iraniano stava «coordinando omicidi e attacchi contro cittadini americani». Poi, sabato scorso, l’ambasciatore di Londra a Teheran Rob Macaire è stato brevemente arrestato ad una veglia per le vittime dell’aereo ucraino, trasformatasi in protesta: ayatollah e media locali lo accusano di fomentare i disordini e ne chiedono l’esplusione. Ieri Macaire era rientrato a Londra «per una visita».

La minaccia dei dazi
L’Europa ha difeso a lungo l’accordo del 2015 ma non è riuscita a contrastare l’effetto delle sanzioni americane. Il Washington Post ha rivelato che una settimana fa Trump avrebbe fatto pressione sugli europei minacciando dazi del 25% sulle auto, se non avessero attivato il meccanismo di risoluzione delle dispute. Lo ha confermato ieri il ministro della Difesa tedesco Annegret Kramp-Karrenbauer.

La risposta di Teheran
L’Iran ha criticato la scelta «illegale» e «strategicamente sbagliata» dell’Europa, ricordando che i primi a non rispettare gli impegni sono stati gli americani. «Se volete vendere la vostra integrità, fate pure», ha commentato il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, che nel 2015 negoziò in prima persona il Jcpoa a Vienna. «Avete ceduto al bullo del liceo».

Tratto da: Il Corriere della Sera del 17 Gennaio 2020

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