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di Piero Innocenti
Un sintetico quadro della situazione del traffico di sostanze stupefacenti nel quadrante asiatico, redatto sulla base delle risultanze dell’attività repressiva delle forze dell’ordone e della documentazione ufficiale
Dalla Malesia a Singapore, passando per Honk Kong

In Malesia non si può certo dire che la legislazione antidroga sia “tenera” con i narcotrafficanti se si pensa che è sufficiente la detenzione di poco più di 15 gr. di eroina e di 40 gr. di cocaina per la pena capitale e, a giudicare dalle centinaia di condanne eseguite ogni anno, c’è da star sicuri che da queste parti non si scherza.
Il fenomeno della tossicodipendenza, tuttavia, nonostante tutto ha assunto dimensioni preoccupanti se si riflette che su una popolazione di poco superiore ai 32 milioni di abitanti le stime dei tossicodipendenti - in prevalenza eroinomani, ma anche dipendenti da amfetamine - sono di oltre 250mila persone.
Nonostante il paese non sia produttore di stupefacenti, sono stati individuati, sull’isola di Peneng, alcuni laboratori di raffinazione dell’eroina gestiti da gruppi di cinesi, thailandesi e malaysiani ma anche laboratori per la produzione di metamfetamine.
La Malesia, oltre ad essere un paese di transito per gli stupefacenti diretti in Europa, costituisce anche una sorta di “buco nero” per i latitanti (anche italiani) che giungono nella capitale Kuala Lumpur, per poi “sparire” verso ignote destinazioni.
Anche nella vicina Repubblica di Singapore, considerata, a ragione, la “Svizzera dell’Asia” per la tutela che viene garantita al segreto bancario, la severità della legislazione antidroga è assicurata dalla pena di morte (reintrodotta nel 1979) che è possibile infliggere a coloro che detengono oltre 15 gr. di eroina, oltre 30 gr. di cocaina e 500 gr. di cannabis. Che si tratti di pene reali e non virtuali lo si può rilevare da fonti governative che parlano di una persona “giustiziata” a cadenza quasi settimanale.
A Singapore, paradiso fiscale per eccellenza, sono attive da anni le Triadi cinesi oltre a gruppi criminali di nigeriani, ghanesi e sudamericani. Nel panorama asiatico, la Repubblica di Indonesia continua a rappresentare uno dei paesi maggiormente coinvolti nel contrabbando, nell’emigrazione clandestina e nel commercio degli stupefacenti. Indipendente dall’Olanda sin dal 1949, l’Indonesia (è il più grande arcipelago dell’Asia con oltre 13mila isole e 270milioni di abitanti) ha attraversato momenti di gravissime crisi con violenti scontri tra il governo centrale e gruppi di varie etnie e religioni disseminati in varie province.
Nella lotta alla droga la diffusa corruzione nei vari apparati amministrativi gioca ancora un ruolo determinante. Il paese è territorio di insediamento di gruppi di narcotrafficanti di provenienza africana, europea, russa, giapponese e cinese che provvedono a smistare l’eroina in molti paesi dalle città di Jakarta e Denpasar.
La regione a statuto speciale di Macao, per anni considerata la “gemella ricca” di Hong Kong, rappresenta un piccolo ma efficiente sistema economico-criminale sotto il controllo delle Triadi cinesi e della criminalità organizzata sudamericana che, sin dal 1997, vi ha aperto propri “uffici di rappresentanza”. Nel paese sempre più diffuse le droghe sintetiche prodotte in laboratori artigianali e destinate ai locali notturni e ai casinò.
Un lontano ricordo è, ormai, la stabilità che sembrava caratterizzare l’ex colonia inglese di Hong Kong (indipendente dal luglio 1997), divenuta territorio cinese ma in regime di amministrazione speciale con una particolare autonomia (sono ben noti i fatti di questi ultimi mesi con violente proteste).
La presenza nel paese di 170 banche internazionali e 60 locali, 200 società finanziarie e oltre 150 sportelli di banche straniere, fanno ben intendere come Hong Kong continui ad essere un polo straordinario di attrazione per la ricchezza, anche di quella, ingente, proveniente, dal narcotraffico e dall’evasione fiscale. Non è una novità la presenza, da anni, di cellule delle mafie italiane, russa, giapponese, colombiana, interessate al traffico degli oppiacei e delle droghe sintetiche.

Il Triangolo d’Oro
Al centro del “Triangolo d’Oro” (il nome deriva dal toponimo che in lingua thai indica il punto in cui il fiume Mae Sai confluisce nel Mekong) dell’oppio asiatico, sta il Myanmar, repubblica socialista resasi indipendente dal Regno Unito sin dal gennaio 1948.
Il paese, sottoposto da anni ad un rigido embargo economico da parte dell’UE in relazione alla grave e perdurante situazione di violazione dei diritti umani, occupa il secondo posto, dopo l’Afghanistan, nella graduatoria mondiale dei paesi produttori di oppio e di amfetamine (alcuni anni fa si parlava di una produzione stimata annua di oltre un miliardo di pasticche). L’estensione delle coltivazioni di papavero da oppio che una quindicina di anni fa erano di circa 110mila ettari, sono scese a circa la metà negli ultimi due anni con una produzione stimata annua di oppio di circa 600 tonnellate.
Le zone di maggiore concentrazione delle coltivazioni sono la regione di Shan, Wa e Kokang, al confine con la Cina, dove pure sono ubicati i laboratori di raffinazione , resi “mobili” per sottrarli ai controlli di polizia. Il commercio dell’oppio e dell’eroina è indirizzato in prevalenza verso la città di Kunming, capitale della confinante regione dello Yunnan e rappresenta l’entrata principale nelle casse delle organizzazioni criminali sino-thai-birmane.
Va anche ricordato che la coltivazione del papavero da oppio si è diffusa in questa regione asiatica durante il XIX secolo, introdotta proprio dai mercanti dello Yunnan e dalle ondate migratorie delle hill-tribes provenienti dalla Cina. Lo Yunnan si era coperto di coltivazioni di oppio dalla fine dell’Ottocento, dopo che gli inglesi, nel 1886, avevano imposto diverse limitazioni al commercio di questa droga, usata, per anni, come mezzo per equilibrare la bilancia commerciale con la Cina. Senza dimenticare che la Cina, per aver cercato di impedire questo traffico, era entrata in conflitto con gli inglesi ben due volte, uscendone sempre sconfitta.
Le colture di papavero si erano poi espanse durante il periodo dei “signori della guerra” che, negli anni Venti, erano riusciti a rendersi praticamente indipendenti da Pechino, al punto che le autorità dello Yunnan si finanziavano vendendo consistenti quantitativi di droga ai francesi, in Indocina.
Tornando ai giorni nostri, va detto che da queste parti è particolarmente diffuso il fenomeno della tossicodipendenza nonostante una severa legislazione sugli stupefacenti che prevede la pena di morte per i detentori di quantità di eroina o di cocaina superiore ai 3 grammi.
Pena capitale anche nella Repubblica Democratica Popolare del Laos che, però, scatta al possesso di ben 500 grammi di eroina. Poco più di sei milioni di abitanti, con un tasso di povertà molto elevato, il paese, nel 2018, avrebbe prodotto circa 100 tonnellate di oppio proveniente dai 15mila ettari coltivati da alcune migliaia di famiglie e distribuiti, per lo più, nelle zone centrali e nel nord. Le organizzazioni criminali che controllano il mercato (anche di amfetamine) sono cinesi, vietnamite e thailandesi, le stesse che gestiscono i rifornimenti dei precursori chimici necessari alla raffinazione delle droghe.
La normalizzazione dei rapporti tra la Cina e il Laos ha determinato, anni fa, la nascita di una rotta carovaniera di trafficanti sino-laotiana in luogo di quella thailandese. Anche parte dell’oppio e dell’eroina prodotti in Myanmar dalle tribù al confine con la Cina, passa ormai attraverso il Laos con una presenza di narcotrafficanti che vede in prima fila i nigeriani, i camerunensi, i giapponesi e le Triadi cinesi.
Le attività di contrasto delle autorità laotiane, secondo quanto annotato nella relazione della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga del 2016, sarebbero diventate più problematiche negli ultimi anni in relazione al “potenziamento dei collegamenti e delle infrastrutture di trasporto regionali nell’ambito dell’implementazione della Comunità Economica dell’ASEAN” (Association of South-East Asian Nations).
Nella capitale Phnom Penh la presenza di decine di sportelli bancari e di case da gioco agevola la ripulitura del denaro proveniente dal commercio degli stupefacenti e dal contrabbando di armi e preziosi.

Cambogia, Vietnam e Filippine
La Cambogia, colonia francese sino al 1949, raggiunta la propria autonomia nel 1953, ha avuto un storia travagliata, caratterizzata dal regime di Pol Pot dei Khmer comunisti, dalla invasione dei vietnamiti dal 1978 al 1989, sino alle prime elezioni libere del 1993 che sancirono la nascita di una monarchia costituzionale.
Non sono mancati, negli anni seguenti, altri momenti di turbolenza fino alle elezioni del 1997 e a quelle successive del 2000 con il successo del leader Hun Sen che, pare, avesse interessi in un potente gruppo finanziario diretto da Theng Boonma, un ricchissimo e spregiudicato cambogiano che avrebbe sostenuto con molto denaro la campagna presidenziale di Hun Sen. A questi collegamenti mafia-politica, si sono aggiunte, nel tempo, le pericolose infiltrazioni della criminalità del narcotraffico nelle istituzioni della polizia, della dogana, negli ambienti governativi.
La capitale Phnom Penh e la città di Siem Reap, sono i due poli di maggiore gravitazione dei gruppi criminali che vedono in prima fila i nigeriani (insediatisi in Cambogia, dopo aver sposato cittadine del luogo, dopo il ritiro delle forze di pace ONU-UNCTAD di cui facevano parte), i camerunensi, i giapponesi e le Triadi cinesi.
Particolarmente fiorente è ancora il traffico marittimo delle droghe (in particolare della cannabis la cui produzione stimata è di circa 2mila tonnellate annue) diretto in Thailandia e “scortato” da “pirati” cambogiani. Nella capitale, la presenza di decine di sportelli bancari e di case da gioco agevola il riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico e dal contrabbando di armi e preziosi.
La corruzione rappresenta anche per la Repubblica Socialista del Vietnam un fardello che si è cercato di svuotare, di tanto intanto, facendo ricorso a maxi processi e a condanne esemplari. Giusto una ventina di anni fa, nel marzo del 1999, si concluse una delle più importanti inchieste giudiziarie con numerose condanne a morte di politici, poliziotti, imprenditori e doganieri.
Il paese, con i suoi 90 milioni di abitanti, sta attraversando ancora un buon periodo di sviluppo economico legato, per lo più, all’industria dell’abbigliamento e del turismo. Particolarmente diffuso il fenomeno della tossicodipendenza con una produzione stimata, annua, di oppio di poco più di una tonnellata proveniente dalla coltivazioni concentrate soprattutto tra le montagne di Nghe An, una provincia in cui accanto a gruppi della criminalità vietnamita (che ha diramazioni anche in alcuni paesi dell’Est, in Francia e in Germania) sono attive le Triadi cinesi di Hong Kong e di Macao.
Nella Repubblica delle Filippine, alcuni anni fa, le autorità di polizia locali censirono oltre duecento organizzazioni di narcotrafficanti, alcune delle quali con “articolazioni” internazionali, con un ruolo preponderante nel commercio di stupefacenti attribuito alle Triadi e alla mafia giapponese (Yakuza).
Una presenza significativa di italiani provenienti dalla Campania, dalla Calabria, dalla Sicilia e dall’Australia, viene segnalata in particolare a Manila dove sono molti i concittadini che gestiscono ristoranti, night club e locali di divertimento.
Nonostante una politica antidroga governativa severissima (il presidente Duterte è noto per i sistemi “sbrigativi” utilizzati nei confronti degli spacciatori e di chi fa uso di droghe), il fenomeno della tossicodipendenza è ancora un serio problema con oltre un milione e mezzo di tossicodipendenti (consumatori di eroina ma anche di marijuana e metamfetamine, di inalanti e di cocaina) su una popolazione totale di circa 103 milioni di abitanti.
Laboratori di amfetamine sono attivi su imbarcazioni di pescatori filippini che possono lavorare indisturbati nelle acque internazionali, navigando continuamente tra Taiwan, Hong Kong e le coste giapponesi.
(9 Dicembre 2019)

Tratto da: liberainformazione.org

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