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Video-intervista
di Margherita Furlan

Il 28 giugno scorso a Genova sono stati abbattuti i resti del ponte Morandi, improvvisamente crollato il 14 agosto 2018 insieme a 43 persone che hanno perso la vita in un batter d’ali. A cancellare le pile 10 e 11 del viadotto, 20mila metri cubi di materiale, circa una tonnellata di esplosivo tra plastico e tritolo e un’esplosione lunga 6 secondi. Un anno fa, Genova, la mattina del 14 agosto, si svegliava sotto una pioggia pesante e compatta. Alle 11.36 un boato squarciava la città e il ponte Morandi, costruito tra il 1963 e il 1967, improvvisamente veniva giù. A poche centinaia di metri, verso il mare, la zona dell'Italsider, dove c'era la cocheria, dove la gente apriva la finestra e toglieva la polvere di carbone. Dall'altro lato, verso la collina, Bolzaneto e i ricordi macchiati di sangue del G8 del 2001. In mezzo il Polcevera, l'unico torrente di Genova non ancora tombato. Quando piove non è lui a preoccupare, ma il Fereggiano, che i suoi morti li già fatti, o il Bisagno. A cinquanta metri di distanza, dall'altra parte della ferrovia, le case popolari di Sampierdarena, miracolosamente risparmiate al crollo.

A distanza di un anno dal disastro, sulle cause del crollo, ancora parzialmente oscure, sui costi della nuova opera progettata da Renzo Piano, e sul futuro di Genova, raccogliamo il parere di un eminente esperto, il Professor Enzo Siviero, già docente di Teoria e Progetto di Ponti, oltre che di Tecnica delle Costruzioni, presso l’Università Iuav di Padova, ora rettore dell’Università telematica eCampus. Siviero, architetto e ingegnere, noto in tutto il mondo per professionalità, esperienza, pubblicazioni e un approccio progettuale che contempla sapienza costruttiva e ricerca estetico-formale, è da sempre innamorato dei ponti progettati dall’ingegnere Riccardo Morandi. Considerava il ponte di Genova un “monumento” dell’architettura italiana e come tale, secondo il Professore, andava “salvato” dalla demolizione.

Professor Siviero, perché era contrario alla demolizione del ponte Morandi?
La mia contrarietà ha principalmente un'origine di carattere tecnico: non abbiamo ancora capito perché è crollato quel ponte. Tenerlo in piedi sarebbe servito in primis a comprenderne esattamente lo stato di salute. Successivamente sarebbe stata doverosa un’analisi dei costi e dei benefici dei lavori necessari, da effettuarsi in base alla matematica e certa comprensione di quanto avvenuto. In secondo luogo, vorrei portare l’attenzione sul fattore tempo, determinante per la vita della città di Genova. Costruire ex novo circa 250 metri (necessari a sostituire la parte di ponte crollato) e sistemare con un’operazione di consolidamento - chiamata in termini tecnici “retrofitting” - i restanti mille metri (comprensivi anche della parte cosiddetta “strallata”, lunga 400 metri circa) è un’operazione che avrebbe richiesto un periodo di tempo compreso tra i 12 e i 18 mesi. Mentre la sola demolizione, come abbiamo visto, per motivazioni di carattere tecnico, ambientale e organizzativo, ha portato via circa 8 mesi di tempo. Non ho timore alcuno nel definire ciò che fin qui abbiamo visto come “improvvisazione”, dettata semplicemente dal panico.

Come saranno smaltite le macerie? E’ vero che sono presenti tracce di amianto?
Una demolizione controllata che non preveda un piano preventivo per lo smaltimento delle macerie è un unicum negativo nella storia ed è accaduto purtroppo a Genova. Ancora non sappiamo come saranno smaltite le macerie ma è certa la presenza di amianto, anche se non ne conosciamo l’entità. Il materiale utilizzato per il calcestruzzo aveva infatti al proprio interno dell'amianto in quantità modeste ma è noto che la pericolosità dell’amianto dipende esclusivamente dall’eventualità che siano rilasciate fibre aerodisperse nell’ambiente e che possano venire inalate. Finché l’amianto resta intrappolato in una struttura di calcestruzzo, non provoca problemi a nessuno, ma una volta liberato, come in questo caso, il vento, il mare, le condizioni climatiche, o più semplicemente le modalità di trasporto, possono generare dei rischi per la popolazione difficilmente determinabili con precisione. Tant’è che il ministero dell’Ambiente non ancora dato il via alla procedura di smaltimento delle macerie: se i limiti di dell'amianto risultassero infatti superiori a quelli consentiti dalla legislazione italiana, il costo economico delle macerie lieviterebbe drasticamente, allo stesso modi del tempo necessario allo smaltimento.

Quale avrebbe potuto essere l’alternativa migliore, secondo Lei?
L'alternativa era assolutamente chiara: ricostruire il pezzo crollato. D’altronde, prima della demolizione, sono state eseguite le prove di carico che hanno dimostrato la piena salute del ponte. Inoltre, non è affatto detto che il nuovo ponte duri di più di quello precedente. La nuova “idea progettuale” di Renzo Piano sposta il sedime del ponte precedente di 20 metri e ciò significa costruire nuove fondazioni. Il disegno immagina anche luci delle campate (le distanze tra i piloni) ogni 50 metri, anziché ogni 100 metri - come invece precedentemente progettato da Morandi -, pile in calcestruzzo anziché in impalcato metallico e un cassone chiuso che, sic stantibus rebus, non consentirebbe il ricambio dell’aria ma necessiterebbe di una ventilazione forzata (e quindi di costante manutenzione) attivabile solamente attraverso macchinari costruiti ad hoc. Oggi, così, possiamo parlare di una previsione di spesa pari a quasi 600 milioni di euro, una cifra superiore al doppio rispetto al costo di mercato. (Il progetto presentato da me e dai miei studenti prevedeva invece una spesa di 40 milioni di euro che sarebbero saliti a 120 con la sistemazione dell’intero viadotto.) Un giorno, forse non lontano nel tempo, potremmo dunque assistere a una pronunciamento della Corte dei Conti per danno erariale, dato che il ponte Morandi era di proprietà dello Stato. Il progetto, secondo gli addetti ai lavori, non vale più di 3mila euro al metro quadrato; comunque non più di 4.500 euro, date le condizioni di emergenza. Invece si prevede una spesa intorno ai 7mila euro al metro quadrato, una cifra che supera addirittura il costo del ponte di Millau in Francia, uno dei ponti veicolari più famosi al mondo, anche perché più alto della Torre Eiffel. Ed è bene anche ricordare che Morandi ha costruito altri ponti simili: il “General Rafael Urdaneta” a Marcaibo, in Venezuela, il ponte “Laureano Gomez” in Colombia, il “Paul Sauer Bridge”, noto anche come “Storms River Bridge” - ponte ad arco costruito in Sud Africa -, e il ponte sul Wadi Kuf in Libia, ristrutturato tra i 1996 e il 2000, spendendo l'equivalente di oggi di meno di 10 milioni di euro.





Il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha espresso diverse perplessità sul progetto del Ponte sul Polcevera, firmato Renzo Piano e affidato alla cordata Salini Impregilo con Fincantieri e Italferr. Il parere tuttavia non è stato ritenuto vincolante, visto lo spazio di manovra di deroga in cui agisce la struttura commissariale nominata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Cosa ne pensa?
Il progetto non è eclatante da un punto di vista tecnico e non adotta situazioni nuove, cosa che sarebbe parsa necessaria dato che il ponte Morandi, pur non essendo né la Torre di Pisa né il Colosseo, ha fatto la storia dell’ingegneria italiana. Il Consiglio superiore dei lavori pubblici non ha bocciato formalmente il piano ma l’ha vivisezionato in 85 pagine che evidenziano puntualmente tutte le criticità. Soprattutto in relazione alle luci delle campate, per le quali il Consiglio superiore ha suggerito di attenersi alla distanza di 100 metri, l’una dall’altra, perché, appunto, la scelta dei 50 metri pone problemi di durabilità dell’opera e costi aggiuntivi e significativi di manutenzione. Il fatto che s’ignori totalmente il parere del massimo organo tecnico dello Stato è di una gravità assoluta, in Italia non era mai successo prima. Il motivo? Bisogna accontentare tutti, anche i produttori di calcestruzzo. Si fa così… Si è fatto così anche nell’alta velocità come nelle autostrade. Ma già Dante lo sapeva! “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!”, scriveva il sommo poeta nel Purgatorio, Canto VI, verso 78. E aggiungeva, al Canto XVI, verso 97: “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?” Di recente, tale analisi è stata sviluppata da Guido Rossi in “Il gioco delle regole” (ed. Adelphi, 2006), saggio nel quale l’autore descrive “comportamenti che ovunque assumono sempre più le forme di un’illegalità diffusa e diffusamente accettata”. Personalmente credo che ormai siamo in una fase d’involuzione darwiniana: non c'è più un’evoluzione dalla bestia all’uomo, bensì penso che stiamo attraversando un periodo d’involuzione al contrario, dall’uomo alla bestia, e che siamo governati da persone che con la natura umana non hanno molto a che fare. D’altronde nessuno ha avuto niente da eccepire, tantomeno il PD, di cui è chiara espressione l’archistar Renzo Piano.

Qual è il danno economico per la città di Genova?
a Camera di Commercio di Genova già nello scorso autunno stimava 100/120 milioni di euro di perdite indirette al mese. Chi le risarcirà? Di certo non la società Autostrade per l’Italia SpA.

Autostrade per l’Italia SpA il 14 dicembre scorso ha clamorosamente annunciato un risarcimento di 50 milioni di euro ai familiari delle vittime in cambio della rinuncia a costituirsi parte civile. Perché?
E’ una procedura classica. Significa togliere un fardello per rafforzare la posizione processuale.

Crede che la concessione a Benetton di autostrade debba essere rinnovata?
Credo che il problema non stia semplicemente nel rinnovo - tra l’altro penso che il contratto sia impossibile da revocare date le condizioni - ma nel controllare se lo Stato abbia agito correttamente. Se lo Stato, che deve controllare, delega il suo compito, affidando un incarico formale a chi dev’essere controllato, si crea un evidente conflitto d’interessi. Lo Stato dunque avrebbe fatto bene a rafforzare la squadra degli ispettori, meramente sottopagati, piuttosto che andare a discutere. D’altronde il problema delle concessioni (non solo quella di Autostrade per l’Italia SpA) è serio perché sono state costruite ad hoc per salvaguardare il privato in maniera indegna, non solo da un punto di vista procedurale, ma anche sociale. Ci sono degli intrecci di interessi, delle commistioni complessive che non possono essere ignorati: è oramai una ragnatela di connessioni più o meno esplicite, più o meno occulte, ma che ricopre l’intero Paese.

A un anno dalla tragedia, constatiamo la mancanza dei video integrali delle telecamere presenti. Persino la Commissione del ministero dei Trasporti non ha potuto visionare l’intera documentazione. Alcuni video sembrano essere ricostruiti. E’ normale tutto ciò?
E’ semplicemente allucinante. Le giustificazioni sono tra l’altro piuttosto deboli, dal momento che abbiamo ascoltato versioni tra loro differenti: “la telecamera si è bloccata perché c'era il sisma”; “la telecamera si è bloccata perché c’era la pioggia”; alcune telecamere ci sono prima e poi non ci sono più, etc. Persino la cosiddetta “prova regina”, il video pubblicato dalla Guardia di Finanza - guarda caso il giorno dopo che è stato demolito l'intero ponte - mi lascia molto perplesso per non dire turbato. Per i tecnici video è chiarissimo come tutte le immagini che abbiamo visto non siano originali, perché alcuni fotogrammi sono stati evidentemente tolti, altri sono stati rallentati, altri ancora sono stati sostituiti rivelando palesi incongruenze. Io dico che in un Paese serio una cosa del genere non sarebbe mai dovuta accadere. Credono di poterci prendere tutti per cretini? Perché dovremmo credere a delle cose palesemente false? Personalmente ritengo che questa sia un'altra delle vergogne che in Italia prima o poi dovrà essere evidenziata, ma purtroppo su questa questione c'è una cortina di silenzio e un muro di omertà che induce a pensare che qualcosa di strano sia potuto accadere. Ovviamente spero che non sia così però rilevo che non è ancora stata offerta alcuna seria motivazione ai ritocchi presenti nelle immagini. Non si tratta di vere e proprie manipolazioni, sia chiaro, ma almeno alla difesa dovrebbe essere consegnata l’intera ed esaustiva documentazione. Inoltre, al bagliore che si osserva nel video pubblicato appena sette minuti dopo il crollo su YouTube da Davide Di Giorgio - un cittadino che abitava nei pressi della tragedia - non è ancora stata data un’adeguata spiegazione. Si è parlato di un fulmine, di un contatto elettrico e di altre situazioni quasi rocambolesche. Eppure siamo di fronte a fatti oggettivi, per quanto stranissimi. Tuttavia, ciò che principalmente mi ha fatto pensare, almeno inizialmente, a una situazione artificiale sono le modalità del crollo, ancora molto strane, desuete, non completamente capite. Innanzitutto osservo che a crollare è stata la parte del ponte con il minor numero di abitazioni sottostanti. Soprattutto sappiamo che il ponte è crollato sostanzialmente scarico, con 30 macchine e un paio di camion, sotto una forte pioggia e un po’ di nebbia. Altra stranezza sono i lavori notturni avvenuti la notte antecedente, in pieno agosto, sotto la pioggia, a riflettori accesi, nello stesso punto del crollo. Queste sono tutte situazioni che possono fare pensare a qualche cosa di strano. Io continuo a essere fortemente speranzoso però - ripeto - stanno facendo di tutto per darci da pensare. Stanti così le cose, mi sono concentrato su quello che si poteva fare e che non è stato fatto - come una valutazione costi - benefici -, sui danni alla città di Genova ma soprattutto a quella che per me è la questione fondamentale: non ci si può permettere di demolire un'opera come questa. Quel ponte era da anni il più monitorato d’Italia. Che ci fosse bisogno di un cosiddetto “retrofitting” era chiaro: si vociferava da anni che fosse malmesso e che gli interventi per sistemarlo in presenza di traffico - che nessuno voleva interrompere - sarebbero stati onerosissimi, anche sul piano della sicurezza. Però sebbene fior di professionisti si fossero occupati di quel ponte prima che crollasse, nessuno tra essi aveva avanzato il benché minimo dubbio che ci fossero rischi di crollo, bensì avevano rilevato una semplice riduzione di capacità portante. Ma alla fine il ponte è crollato scarico. Senza dubbio era un ponte tecnicamente fastidioso, economicamente ingestibile, e per questo erano già stati commissionati degli studi sul suo abbattimento. C’era un interesse economico a buttarlo giù? Ritengo sia del tutto legittimo, in nome della verità, che la magistratura indaghi anche su questo punto, considerato anche il fatto che le procedure per un appalto di “retrofitting” erano già state avviate.

Perché i puntoni principali della struttura portante hanno ceduto con modalità così diverse? Perché la trave Gerber non è caduta perpendicolarmente come la prassi vorrebbe ma è volata orizzontalmente sulla ferrovia per 40 metri finendo sotto la pila 10?
Credo che in queste domande ci siano tutte le perplessità che portano a spingere verso una criticità di comportamento difficilmente spiegabile per motivi naturali. Io mi sono fatto un'idea del tutto personale: penso che abbiano ceduto i puntoni inclinati ma per me resta ancora dubbio come mai quei piloni, che sono di una portanza e di una forza incredibile, si siano avvitati su loro stessi come in una danza mortale. Che i puntoni siano stati manomessi oppure che siano crollati da soli, questa è una cosa che si può scientificamente appurare con ricostruzioni, rilievi, modulazioni. Certo è che se non ci fosse stata la demolizione avremmo potuto avere il “prototipo” su cui fare anche delle prove.

Visita: margheritafurlan.com

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