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di Jean Georges Almendras
Accusato di coprire i responsabili dell'attentato del 1994 -con esplosivi ad alto potenziale- contro la sede dell'Associazione Mutualità Israelita Argentina (AMIA), della città di Buenos Aires), nel 2015, fu istituito un processo contro l'ex presidente argentino Carlos Menem, ma giovedì 28 febbraio, il Tribunale Federale 2 (TFO 2), lo ha assolto. L'ex presidente argentino era sospettato di essersi avvalso del suo potere per evitare che si indagasse su una famiglia di origine siriana, di cognome Kanoore Edul, che si ritiene lo abbia sostenuto nella sua campagna elettorale. Senza pregiudizi nei confronti di questa assoluzione, che fu di fatto una notizia scioccante e sorprendente, (che oltre ad aver fatto il giro del mondo ha suscitato scalpore e alimentato ogni tipo di commenti in Argentina), la Corte ha condannato l'ex giudice Juan José Galeano e gli ex pubblici ministeri Eamon Mullen e José Barbaccia, oltre all'ex segretario dell’Intelligence di Menem, Hugo Anzorreguy, insieme al suo secondo in carica Carlos Anchezar.
Recentemente, su queste pagine, abbiamo affrontato il tema dell'attacco bomba all'AMIA facendo riferimento all’illuminante libro del collega e scrittore argentino Juan José Salinas, dal titolo "La Infamia", perché in verità, per potere comprendere e districare i terribili intrighi che il caso in sé presenta, questo libro non va ignorato. Ed ora che siamo giunti all’epilogo delle vicende giudiziarie iniziate tempo addietro (descritte dettagliatamente nel libro), con le dovute sentenze (anche se l'ex presidente Menem è uscito indenne dal processo a suo carico), sicuramente trarremo le stesse conclusioni alle quali è giunto minuziosamente e scupolosamente Salinas, cercando di entrare in una nuova fase delle indagini che effettivamente rimangono ancora da fare, affinché l'esplosione (che fece tremare la città, metaforicamente e fisicamente), non rimanga nell'impunità. E neppure l'esplosione all'Ambasciata di Israele, fatto criminale antecedente a quello dell'AMIA.
Tutta la stampa argentina e mondiale si è fatta eco dei procedimenti giudiziari eseguiti dal TFO 2 e le novità emerse con il passare delle ore, precisamente in un momento critico -politico, sociale ed istituzionale - dell'amministrazione Macri. Un momento in cui sul tavolo abbiamo non solo l'esplosione all'AMIA ma anche quella contro l'Ambasciata di Israele.
L’esplosione all'AMIA -del 18 Luglio 1994- provocò la morte di 84 persone e oltre un centinaio di feriti.
Ma ritornando al verdetto del Tribunale Federale di Buenos Aires dobbiamo indicare che gli Organi giudiziari hanno accertato il pagamento di tangenti per deviare l'inchiesta al fine di ostacolare le indagini sull'esplosione. In sintesi, per i giudici argentini è dimostrata “una grave violazione dei diritti umani", ciononostante le pene inflitte all’ex giudice istruttore Galeano e agli ex pubblici ministeri Mullen e Barbaccia sono state lievi.
Al di là dello stupore e delle critiche alla sentenza nei suoi molteplici scenari si è appreso (da fonti giornalistiche non appena resa pubblica la sentenza) che tra i parenti delle vittime e i sopravvissuti all'attentato (e tra i vari querelanti), regna un clima di riconoscenza (o apprezzamento), del fatto che la Corte Federale abbia confermato -anche se 25 anni dopo l'esplosione- che c’è stato un piano di insabbiamento che vede la responsabilità degli ex funzionari. I media argentini hanno riferito che si ricorrerà in appello contro queste condanne, considerate lievi, e anche contro le assoluzioni.
Ad esempio Adriana Reisfeld, di Memoria Activa, ha dichiarato alla stampa: "Questa sentenza dimostra che tutto quello che i parenti hanno denunciato era reale, nonostante le pressioni sul tribunale da parte del Governo". Ed è andata oltre, chiedendo le dimissioni del Ministro di Giustizia Germán Garavano "per i suoi spudorati tentativi di salvare gli ex pubblici ministeri (riferendosi a Mullen e Barbaccia. Se ha il senso della vergogna dovrebbe dimettersi oggi stesso (riferendosi al 28 febbraio).
L'ex giudice Juan José Galeano è stato condannato a 6 anni di prigione e l'ex capo dell’Intelligence di Menem, Hugo Anzorreguy, a 4 anni e sei mesi; mentre le pene sono state minori per gli ex pubblici ministeri Mullen e Barbaccia.
Le cronache sull'ultima udienza (dopo quattro anni di processo), riferiscono che è iniziata alle undici del mattino del 28 febbraio. In un primo momento il Tribunale ha concesso la parola a Carlos Menem ed al suo capo dell’Intelligence Anzorreguy, ovviamente prima di dettare la sentenza. Delle 13 persone accusate, restava solo a loro ad aver il diritto a prendere la parola. Sorprendentemente, Menem e Anzorreguy hanno rifiutato.
Preso atto, i giudici Jorge Gorini, Karina Parrilli e Néstor Costabel hanno chiesto una quarta pausa fino alle 16:00, momento in cui puntualmente hanno dato lettura alla sentenza, unanime, preceduta da alcune precisazioni.
Come dicevamo sopra -sull'attentato alla sede dell'AMIA- i membri della Corte, pur considerando l’insabbiamento come una grave violazione dei diritti umani, non lo hanno ritenuto reato di lesa umanità, ma ne hanno comunque convalidato l’imprescrittibilità. I giudici argentini hanno anche respinto ognuna delle richieste di annullamento del processo avanzate dalle difese per poi dare lettura alle condanne sopracitate che si basavano tutte sul pagamento di 400 mila dollari al ricettatore d'auto Carlos Telleldin affinché inventasse il coinvolgimento di poliziotti di Buenos Aires nell'esplosione.
Una delle pene più alte è stata quella inflitta all'ex giudice Galeano: sei anni di prigione per la sua partecipazione alla corruzione, prevaricazione, insabbiamento e manomissione di prove. Da ricordare che Memoria Activa ne aveva richiesto 20 anni.
La seconda pena più elevata è stata quella inflitta a Anzorreguy, 4 anni e sei mesi di carcere; il sottosegretario dell’intelligence Anchézar è stato condannato a tre anni di prigione, per manomissione di prova e falsificazione di documenti pubblici.
Simili imputazioni pesano sul Commissario di Polizia Carlos Castañeda, mentre Carlos Telleldín è stato condannato a tre anni di prigione per tangenti, e alla restituzione dei 400 mila dollari incassati per deviare l’inchiesta.

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La corte ha condannato a pene più brevi l'ex moglie di Telleldín, Ana María Boragni, ed ai due ex pubblici ministeri: 2 anni con la condizionale, imputati di inadempimento ai propri doveri di funzionari pubblici. Entrambi erano stati accusati di partecipazione in corruzione e di avere privato indebitamente della libertà i poliziotti incolpati ingiustamente da Telleldín, per il coinvolgimento in loco degli iraniani per fare esplodere la bomba nel marciapiede dell'AMIA: quei poliziotti, parte lesa nel processo, hanno scontato 7 anni in prigione e subito un processo.
Il quotidiano Pagina 12 scrive "le imputazioni che hanno dato luogo alle condanne non fanno riferimento all'interruzione delle indagini sulla cosiddetta "pista siriana" per far luce sull’attentato; pista che portava l'attenzione su Alberto Kanoore Edul, un cittadino proveniente da una famiglia di origine siriana in buoni rapporti con Menem ed il suo clan".
Si è appreso inoltre che l'ex giudice Galeano ordinò addiritura delle perquisizioni nella casa di questa persona oltre le intercettazioni delle sue linee telefoniche, elementi di prova che furono manomessi e poi fatti sparire dopo una riunione tra Kanoore Adul padre e Munir Menem, all’epoca segretario della Presidenza.
Per il giornalista Ailín Bullentini di Pagina 12 “forse la mancanza nella lettura della sentenza di ogni riferimento al fatto in questione spiega l'assoluzione di Carlos Menem (uno dei punti della sentenza che ha suscitato più scalpore). Bisognerà aspettare le motivazioni della sentenza che saranno rese pubbliche a partire dal prossimo 3 maggio".
Il giornalismo argentino ha riferito che sono stati assolti anche Jorge "Fino" Palacios incaricato delle perquisizioni a casa di Kanoore Edul figlio; l'agente dell’intelligence Patricio Finnen, l'ex avvocato di Telleldín, Víctor Stinfale; e l'ex dirigente della DAIA Rubén Beraja che ugualmente ne è uscito indenne.
Appena resa nota la sentenza, le reazioni si sono fatte sentire, quasi immediatamente: Adriana Reinsfeld, di Memoria Activa, è stata categorica: "In parte è stato raggiunto l'obiettivo poiché tutto quello che Memoria Activa ha detto è stato dimostrato"; l'avvocato dell’Organizzazione Rodrigo Borda ha dichiarato che ricorreranno in appello per quanto riguarda le assoluzioni e le riduzioni dell'ammontare delle pene: “Sono basse, soprattutto quella di Galeano a carico del quale sono in corso di accertamento reati molto gravi. Ci rimane questo sapore amaro", ha scritto Pagina 12.

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Laura Ginsberg di APEMIA ha puntualizzato a Pagina 12: "Non vanno tutti in prigione, questa è la cosa più difficile da digerire. Queste condanne non sono sufficienti, per quanto dimostrino delle responsabilità di funzionari di prima linea dello Stato. Noi sappiamo che non finisce qui, che ci sono molti altri coinvolti in questo piano di depistaggio criminale da parte dello Stato argentino e che lo Stato in quanto tale è responsabile. Bisogna ancora fare molto lavoro per il resto, cosa che ovviamente non succederà nei tribunali ma che richiede una commissione investigatrice indipendente e l'apertura degli archivi segreti".
Da parte sua Sergio Burstein, querelante per il raggruppamento 18J è stato categorico: “La cosa principale è che quelli ci hanno privato della possibilità di sapere la verità sull'attentato all'AMIA sono stati condannati. Quei tre figli di puttana che avevano detto che noi avevamo montato tutto per riscuotere le indennità oggi sono stati condannati".
La parlamentare ed avvocato Myrian Bregman, del ‘Frente de Izquierda de los Trabajadores’, ha scritto: "Un'altra vergogna della giustizia nella causa AMIA. Continueremo a pretendere una Commissione Investigatrice indipendente per conoscere la verità. Dalle cloache non nascono fiori".
Ma quando cominciò esattamente questo processo il cui epilogo lo abbiamo avuto giovedì 28 febbraio 2019, cioè quattro anni dopo?
A causa del depistaggio nell’inchiesta AMIA, il processo iniziò solo nel mese di agosto del 2015, esattamente dieci anni dopo essere stato dichiarato nullo l’operato del Tribunale, all’epoca diretto da Juan José Galeano, e riconosciuta falsa la pista che aveva portato sul banco degli imputati dei poliziotti di Buenos Aires legati a demolitori di auto”.
Da ricordare al lettore che in precedenza l’allora presidente dell'Argentina Cristina Fernández aveva chiesto con veemenza l’apertura di un dibattito nella convinzione che la Giustizia doveva avanzare per far luce sull'attentato. Ma purtroppo la posizione (o la risposta), dell’Esecutivo (nell'orbita di ‘Cambiemos’), fu di opposizione, generando un grande scandalo in quei giorni. Uno scandalo che sfociò in una denuncia penale contro il Ministro della Giustizia Germán Garavano, che ebbe come accusatore niente meno che dall'ex dirigente dell'Unità AMIA Mario Cimadevilla (nominato da Macri a dicembre del 2015) e recentemente rimosso dal suo incarico, e che fece opportune e forti denunce portando alla luce il depistaggio ratificato con la sentenza dello scorso giovedì 28 febbraio.
Perché in definitiva (e facendo dei parallelismi con il processo Tratattiva Stato Mafia, processo che ha portato avanti il magistrato Nino Di Matteo a Palermo, e che si è concluso con delle sentenze in primo grado che dimostrano - alla luce del sole - che quello che molti dicevano e su cui il pubblico ministero ha lavorato per diversi anni per ricostruire i fatti, è stato finalmente ammesso ed ufficializzato: c’è stata una trattativa tra lo Stato italiano e la mafia che portò a delle gravi conseguenze, tra cui gli attentati contro i giudici antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nel 1992). Proprio così come queste sentenze hanno permesso di dimostrare –con la firma dei tre membri di un Tribunale Federale che l’inchiesta sull’attentato all’AMIA, è stata offuscata da ogni sorta di imbrogli ed illegalità (depistaggi) precisamente, per impedire che la verità venisse alla luce. Ancora una volta, come in Italia, un processo, convalida "segreti" a voci.
Sebbene le sentenze segnino un passo in avanti, l'impunità dei responsabili dell'esplosione all'AMIA è ancora lì, presente.
A questo proposito, il quotidiano Pagina 12 ha riferito nelle ultime ore: "Il primo riscontro rispetto al cambiamento di direzione dell'accusa del Ministero della Giustizia risale alla fine del 2017, con le dimissioni di uno degli avvocati rappresentanti, Marina Stilman, motivata dal fatto che Garavano aveva ordinato di abbandonare una posizione attiva nel processo. Stilman si era unita al gruppo dopo l’insediamento dell'attuale Ministro di Giustizia. La causa era iniziata sotto la direzione di Luciano Hazan, il quale si dimise appena ‘Cambiemos’ assunse la presidenza, mesi dopo l'avvocato Elizabeth Gómez Algorta fece lo stesso. Dopo entrambe le dimissioni, il Ministero mandò via Ezequiel Strajman, collega dello staff di Stilman, attribuendogli "perdita di obiettività", e lo sostituì con Miguel Inchausti. Tramite lui, Garavano cominciò a tracciare una nuova direzione all’imputazione".
In questa serie di scandali, ne scoppiò un altro quando fu evidente che nonostante la sostituzione di Stilman lo scontro interno non era cessato ma continuava più acceso che mai.
Pagina 12 scrive che "dopo le ferie giudiziarie del 2018 il processo per il depistaggio dell'attentato si inasprì dopo che la dirigenza in mano a Garavano rimpiazzò l'avvocato che doveva leggere il testo di accusazione che corrispondeva loro e di conseguenza il suo contenuto. Così, Enrique Ventos, uno dei tre avvocati che avevano rimpiazzato Stilman, rimpiazzato da Santiago Otamendi, braccio destro di Garavano. Il suo sostituto, José Console, fu incaricato di dare lettura dimostrando di non essere più in linea con le conclusioni del pool di magistrati specializzati nell'attentato – che già allora aveva chiesto delle condanne per tutti gli accusati tranne che per l'ex commissario Jorge Palacios - di aver salvato a sorpresa dal carcere gli ex magistrati Eamon Mullen e José Barbaccia. Ambedue ebbero motivi per festeggiare ieri quando i giudici Jorge Gorini, Karina Perilli e Néstor Costabel hanno inflitto loro pene non detentive.
Ma lo scandalo culminò con il salvataggio da parte del Governo dei due accusati di aver partecipato al pagamento di tangenti per tracciare una pista falsa all'investigazione. Settimane dopo, il TOF 2 esortò il Ministero a rimpiazzare Console, il quale, oltre ad essere funzionario del Consiglio della Magistratura della città di Buenos Aires era avvocato dell’accusa, funzione incompatibile con il suo ruolo di rappresentante dell’Esecutivo nazionale nel dibattito. Benché dovette ritirarsi, il Tribunale Federale ammise il testo di accusa della vergogna. Dopo quell'episodio, Garavano, sostenuto da Macri, sciolse l'Unità AMIA, fino ad allora diretta dall’allora ex senatore radicale Mario Cimadevilla. Meno di un mese fa, è stato reso noto il rapporto in cui l'ex funzionario muove le sue critiche al Dirigente per il cambio di posizione. "Il documento presentato a Macri parla di un nuovo insabbiamento. Si suppone che come querelanti dobbiamo lavorare per conoscere la verità ed accusare chi ha delle responsabilità. Quando mi fu chiesto di chiedere l'assoluzione dei pubblici ministeri, io dissi loro che non avrei coperto nessuno", ha raccontato Cimadevilla a questo giornale.

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Attorno ad uno scenario così intricato, prologo del giorno delle sentenze, vale la pena rievocare dal passato alcuni fatti non meno significativi. Uno di questi: il 18 Luglio 1997 (a tre anni dall'esplosione), in un atto dimostrativo di fronte alla sede della strada Pasteur, i parenti delle vittime lanciarono una drammatica denuncia per mezzo della loro portavoce Laura Ginsgberg: "io accuso il governo di Menem e Duhalde di consentire l'impunità, di consentire l'indifferenza dove tutti sanno e tacciono, di consentire l'insicurezza, l'imperizia e l'inettitudine. Io accuso il governo di Menem e Duhalde di occultare la connivenza locale che è servita per ammazzare i nostri famigliari".
In quei giorni accadde qualcosa che sorprese molte persone: dopo che Laura Ginsgberg puntò il dito accusatore, la dirigenza della comunità ebrea capeggiata dal presidente della DAIA, Rubén Baraja andò alla Casa Rosada per dissociarsi, immediatamente, dalle accuse formulate. All'uscita dell'incontro con l'allora presidente Carlos Menem, la dirigenza della comunità ebrea non si mise dalla parte dei parenti dei morti nell'AMIA, ma al fianco dei sospettati come complici del favoreggiamento.
Lo scontro giunse allo scoperto: i negazionisti dell’insabbiamento cercavano principalmente impunità, al punto che dalle ambasciate degli USA e di Israele, premevano per porre fine alle investigazioni basate su false piste.
WikiLeaks, Memoria Activa e persino l'atteggiamento di Néstor e Cristina Kirchner (che permisero l'apertura degli archivi e la dichiarazione degli agenti dell’intelligence), si sommano alla volontà di smascherare i ricettatori, cosa che finalmente è avvenuto con il processo iniziato nel 2015 e concluso il 28 febbraio scorso.

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Processo e sentenza, nonostante le sottigliezze, hanno ratificato che l’insabbiamento c’è stato e che i famigliari dei morti erano nel giusto, quando puntavano il dito accusatore contro l’operato dalle file dello Stato, della polizia e da ambienti giudiziari, che cercavano esclusivamente impunità, e non la verità.
Nell'era Macri si è cercato ad ogni costo di difendere gli insabbiatori ma hanno fallito nel tentativo. E ciò che più fa indignare, ovviamente, è che Carlos Menem e Rubén Beraja siano stati assolti.
Ma è vero che sono stati assolti? È un dato di fatto che sotto il loro mandato: “c’è stata manipolazione, insabbiatura, e manomissione per evitare che si sappia la verità, hanno la responsabilità politica. Giovedì, non sono stati condannati penalmente ma l’insabbiamento è stato dimostrato e quindi è stata inflitta loro una devastante condanna politica. Le motivazioni diranno che "non diedero l'ordine", "non sapevano", che non c'è prova diretta della loro partecipazione nel depistaggio sulla pista Siriana o della tangente a Telleldín. Ma il tutto è avvenuto comunque sotto i loro mandato. Ovviamente cercheranno di manipolare anche questa lettura reale della sentenza, in faccia a loro io non esiterei nel dire "siete stati voi i governi dell'insabbiamento" scrive Raúl Kollman di Pagina 12.
Nella direzione da seguire nell'esigere la giustizia e che il peso della legge ricada sui responsabili dell’attentato (e dei “governanti dell’insabbiamento”), non dobbiamo dimenticare il contributo del enorme lavoro giornalistico di colleghi che vogliono la giustizia e la verità: uno di questi, ed il lavoro più recente, è quello del nostro amico e collega Juan José Salinas che molto ha detto e scritto sull'attentato all'AMIA. E oggi, sentenze in mano, i suoi scritti ed i suoi dette le sue parole hanno un senso ed un significato molto più vicino alla verità che alla retorica giornalistica; sono fondati e convincenti: è tutto racchiuso nel suo recente libro "La Infamia" che raccomandiamo nuovamente di consultare, per collegare tra loro i risvolti dell’investigazione, che ha come unico fine quello di cercare la verità e punire i colpevoli: sia per via giudiziaria ordinaria, sia con ordinario procedimento giudiziario, sia mediante una Commissione Investigatrice Indipendente, come ha detto la legislatrice Bregman.
Poiché gli insabbiatori -che hanno distorto i fatti in ogni modo possibile– sono stati smascherati, bisogna proseguire. Le tinte fosche dell’insabbiamento (e dei favoreggiatori), sono la prova sufficiente per renderci conto con chi abbiamo a che fare: pezzi grossi della corruzione e del crimine, dentro e fuori lo Stato.
Che non è cosa da poco.
(2 marzo 2019)

*Foto di Copertina: www.pagina12.com/AFP
*Foto 2: www.pagina12.com/NA
*Foto 3: www.globedia.com/attentato all’AMIA
*Foto 4: www.pajarorojo.com/Mario Cimadevilla
*Foto 5: www.pajarorojo.com/Juan José Salinas presenta il suo libro.

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