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barcone.immigrati foto marinadi Jean Georges Almendras
Tributo? Rispetto? Considerazione verso la loro scelta di cercare una vita migliore - fuggendo dalla violenza - per poi soccombere nell’intento nel mare Mediterraneo? Valorizzazione postuma di un sacrificio ricorrente che dal 1993 mette in discussione l'efficacia delle inumane politiche di immigrazione imposte in Europa?
Mi vengono in mente le immagini del 2 settembre 2015, del bambino Alan sulle coste della Turchia, della spiaggia Bodrum: il bambino Alan Kurdi, di due anni di età, con la sua morte rappresenta il dramma dei rifugiati che cercano asilo come unica possibilità di sfuggire alle guerre che devastano i loro rispettivi paesi. Immagini di Alan, con addosso una maglietta rossa e pantaloni corti, faccia in giù sulla sabbia. Immagini della crudezza di una tragedia che ha un nome e un cognome in cui ci identifichiamo tutti (puntandoci il dito accusatore).
E mi vengono in mente anche altre immagini: chiatte o barche fatiscenti che affondano nelle acque mediterranee fagocitando uomini, donne e altri bambini.
Mi vengono alla mente immagini di soccorritori che salvano vite, nonostante il rischio di scontrarsi con le autorità. Autorità spietate che hanno imposto (e continuano ad imporre), norme e politiche migratorie implacabili, mancanti di umanità e sensibilità.
Recentemente il diario catalano "El Periódico" ha titolato in centro della prima pagina "I nomi dell'orrore", riportando tutto attorno i nomi di 35.597 esseri umani che hanno perso la loro vita inghiottiti dalle acque del Mediterraneo. Esseri umani che già dal momento stesso in cui decidono di abbandonare le loro terre di origine in cerca di altre, vengono divorati dall’indifferenza del mondo. Quello stesso mondo che dopo li vede annegare e lottare per sopravvivere, un drammatico spettacolo di un mondo divoratore che fagocita uomini, donne e bambini. Come se fosse qualcosa di naturale. Come se fosse una pratica inevitabile. Un danno collaterale, doloroso, ma inevitabile.
Inevitabile? Così credono alcuni, ma che invece potrebbe essere evitato. Evitato al cento per cento, se non predominasse l'individualismo, l'egoismo e l'insensibilità più spregevole, emblemi indistruttibili della società moderna e della civiltà di questo terzo millennio, assoggettato più al materialismo che all'umanità.
La lista riporta i nomi di tutti gli esseri umani morti in acqua dal 1993. Un elenco obbrobrioso per l'umanità di questo secolo. Abominevole per la comunità internazionale. Obbrobrioso per l'anima umana.
"I nomi dell'orrore" in pratica è un'edizione speciale di 51 pagine che contiene monografie, interviste e reportage relativi al dramma (la tragedia), dell'emigrazione.
Il drammatico elenco, secondo l'attivista turca che lo ha redatto, ha come obiettivo "diffondere i nomi per promuovere così la solidarietà e fare appello alla resistenza contro le politiche in materia di immigrazione adottate negli ultimi anni nei paesi più conservatori d'Europa".
La significativa cifra di 35.597 morti dovrebbe farci vergognare, perché tutti siamo responsabili di ognuna di queste morti. prima pagina el periodico
Le agenzie di stampa internazionale hanno riferito che l'elenco delle vittime ha ispirato un'opera dell'artista turca Banu Cennetoglu presentata nel Paseo de Grazia di Barcelona. Un’esposizione artistica (che ripropone lo stesso argomento del quotidiano catalano), e che rientra nel progetto socio-artistico "Umbral” (Soglia) organizzato dal Municipio di Barcelona: "Per contribuire al dibattito sul fenomeno migratorio ed il suo arrivo in città" e per combattere il discorso dell’odio", ha detto il sindaco Ada Colau.
Un'opera artistica e la prima pagina di un quotidiano, nel preciso momento in cui in alcuni paesi dell'Europa si inaspriscono le politiche anti immigratorie.
Il quotidiano catalano pubblica una foto dell’AFP di una donna annegata in mare, sui resti di un'imbarcazione.
Una foto scioccante, come scuote la foto dal bambino Alan.
Un'edizione speciale che ci colpisce e ci denuncia come "complici" di un atto criminale, se vogliamo. L'atto criminale di restare indifferenti di fronte alla morte di persone alla mercé delle acque, nel tentativo di cercare solidarietà, pace e tolleranza.
In definitiva un'edizione speciale dove l'identità di ognuno dei morti abbatte l’anonimato che ci allontana sempre dalla verità. Perché ora ogni morto ha un nome.
Un'identità che li eleva alla qualità di esseri umani. Un'identità che rende loro onore.
Un’identità che ci sminuisce come esseri umani e ci indica come responsabili. Parte responsabile di questa tragedia.
Basta ipocrisie. È così e basta: lei che legge ed io siamo responsabili delle 35.597 vite perse nel Mediterraneo.
Per il semplice fatto di avere girato lo sguardo altrove e continuare a farlo in ogni circostanza, momento o luogo.
Solo per questo motivo.
Anche noi siamo responsabili.
Basta ipocrisie.

*Foto di Copertina: www.tn.com.ar
*Foto 2: www.página12.com

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