Scoperto un business da 3000 euro a tratta
di AMDuemila
La Guardia di Finanza sta eseguendo 14 provvedimenti di fermo nei confronti di italiani e stranieri appartenenti ad un sodalizio criminale che avrebbe gestito il traffico di migranti tra la Tunisia e le coste siciliane con gommoni veloci.
I componenti del clan, capeggiato da un tunisino, sono accusati a vario titolo di sfruttamento dell'immigrazione clandestina, contrabbando di tabacchi lavorati e fittizia intestazione di beni e attività economiche. L'operazione, denominata "Barbanera", ha dimostrato come l'organizzazione era in grado di coprire il tratto di mare che separa le due sponde del Mediterraneo in poche ore. Ad ogni traversata venivano trasportati tabacchi, per un carico "che raggiungeva in alcuni casi il peso di qualche quintale", ma anche dai 10 ai 15 migranti irregolari. La banda reclutava i profughi e raccoglieva grosse somme di denaro per il viaggio: fino a 3.000 euro.
L'indagine dei finanzieri del Comando Provinciale di Palermo, in collaborazione con personale dello Scico e dei Comandi Provinciali di Trapani e Agrigento, nonché del Reparto Operativo Aeronavale, è stata coordinata dal Procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi, dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dal pm Gery Ferrara.
Nel corso dell'operazione è in corso anche un sequestro per un valore di 3 milioni di euro. Alcuni indagati sono stati bloccati nel porto di Palermo, mentre erano in partenza per la Tunisia, con denaro contante per oltre 30mila euro.
Gli inquirenti hanno ricostruito il modus operandi dell'organizzazione.
L'organizzazione, composta da cittadini tunisini e italiani che operavano tra il Paese nordafricano e le province di Trapani, Agrigento e Palermo, rubava natanti e motori, già usati per i viaggi verso l'Italia e sequestrati dalla Finanza, e acquistava tabacchi di contrabbando che poi portava in Sicilia e rivendeva grazie alla rete di distribuzione che aveva nei mercati rionali palermitani.
Il business aveva portato enormi guadagni reinvestiti, tra l'altro, in una azienda agricola di Marsala, in un cantiere nautico di Mazara del Vallo e in un ristorante. Secondo gli inquirenti, l'organizzazione era in grado di cambiare rotte e modalità dei viaggi sfruttando la vicinanza dell'isola di Lampedusa alle coste tunisine, la disponibilità di due pescherecci italiani - particolarmente attivi sul tratto di mare che separa l'isola italiana dalla costa africana - e grazie alla complicità di italiani in grado di eludere i controlli delle forze dell'ordine e far allontanare dalla costa i profughi una volta sbarcati.
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