Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

maldonato santiago manifestazioneA un anno dalla morte dell'attivista della causa Mapuche
di Jean Georges Almendras
“Mai Mari Kompuche, Mari Mari Po We Nui. Questo primo agosto convochiamo tutti all’incrocio della ruta 40 e ‘el Maitén’, dove abbiamo visto vivo per l’ultima volta Santiago, e dove era arrivato per solidarietà verso la causa mapuche chiedendo libertà per Facundo Jones Huala”.
“Ricordiamo la sua lotta, rivendichiamo la sua forza”.
“Lì all’incrocio accenderemo il fuoco per richiamare la sua memoria, lì dove le menti ed il potere perverso dello Stato portarono via il suo corpo dal territorio in cui Santiago era arrivato, con la coscienza lucida e il cappuccio in testa”.
“Non annegò, fu la Gendarmeria”.
“E poi abbandonarono il suo corpo”.
“Facciamo resistenza e ribellione”.

Così recitava l'invito all'adunanza delle comunità mapuche della Lof Cushamen della provincia di Chubut per questo 1° agosto, ad un anno della sparizione forzata e successiva morte di Santiago Maldonado.

“Ad un anno dalla sparizione forzata e la morte di Santiago, pretendiamo Verità e Giustizia. Lo Stato è responsabile”.

“Manifestazione a Plaza de Mayo. 1° agosto 2018 alle 17:00. Alle 18:00 l’evento centrale”.
“Santiago è solidarietà”.

Questa è stata la convocazione dei parenti ed amici di Santiago Maldonado, e delle organizzazioni di Diritti Umani, per questo 1º agosto, ad un anno dalla sua sparizione forzata e successiva morte(1).
Con forza forza dirompente a diversi livelli e in differenti ambiti salvaguarda e si preserva la memoria del giovane artigiano morto in circostanze che ancora oggi sono motivo di controversia, per quanto i fatti sembrano indicare in modo convincente le forze repressive come responsabili della tragedia, (nell’ambito di un'azione strettamente criminale e di sopraffazione, ad opera di funzionari dello Stato), in un paese il cui governo oramai non può dissimulare né mantenere segreta la grossolana ed illegittima applicazione di un regime di persecuzione e di criminalizzazione contro i popoli nativi, in ogni angolo del territorio argentino.
Territorio teatro di massacri in tempi passati contro i popoli nativi da parte degli uomini bianchi con la complicità di altri potenti uomini bianchi di altri territori, che non differiscono molto dai massacri di oggi. L’unica differenza è la modernità e le sottigliezze di una vita politica palesemente più corrotta, più perversa e molto più incisiva e sofisticata, ovviamente a disposizione delle idee capitaliste più criminali dei tempi attuali.
Ma i massacri sono gli stessi. Le perversione e le crudeltà sono le stesse.
Né sono assenti oggi le morti, le ingiustizie, la sopraffazione dei diritti, le arbitrarietà, le incostituzionalità, le manovre mediatiche ed i più spietati cinismi.
Il 1º agosto, nella ruta 40 della Provincia di Chubut, in territorio della Lof Cushamen, un irrazionale e doloso abuso delle proprie funzioni da parte delle forze della Gendarmeria Nazionale scatenarono un fatto criminale caratterizzato, dovunque lo si guardi, da irregolarità e crudeltà più che di correttezze e legalità.
È impensabile immaginare un ridotto gruppo di mapuche che quel giorno mette alle strette i gendarmi, superiori in numero ed in armi.
Furono le forze di sicurezza ad agire con accanimento. Ad agire al margine dalla Legge. Infangando l'istituzione e l'uniforme che vestivano, agirono eseguendo degli ordini precisi. Agirono così perché la macchina dell'infamia era molto ben oliata. In realtà era l’azione del potere sui "terroristi", sui rivoltosi, sugli "indios". Quindi tutto era lecito. Dare loro la caccia e persino ammazzarli.
All’interno delle forze repressive non immaginavano che uno dei mapuche non era tale, ma un "winca" (uomo bianco) biondo con gli occhi chiari che si trovava con loro, con i terroristi mapuche che protestavano contro la carcerazione incostituzionale del Lonko Facundo Jones Huala. Un "winca" che li sosteneva impegnato in una causa che non era sua.
È in quel teso, criminale e drammatico momento dove la priorità era “dare la caccia” ad un mapuche, che “cacciarono” lui, Santiago Maldonado. E dopo averlo preso e soffocato, lo portarono via.
I repressori non potevano mai immaginare, che quel momento avrebbe segnato un prima ed un dopo nella lotta dei mapuche.
Non potevano mai immaginare, i repressori, che l'infamia della loro irruzione a colpi di arma da fuoco nelle terre della Lof Cushamen, disubbidendo alla disposizione del giudice che aveva autorizzato unicamente lo sgombero della strada si sarebbe trasformato in un boomerang, in un problema enorme.
Non potevano mai immaginare, i repressori, che il solo atto di forza di entrare nella Lof Cushamen sputando piombo ed odio, avrebbe portato ad un'altra infamia ancora maggiore: la morte di un essere umano e la sua sparizione forzata. Infine, mesi dopo, l’atto criminale di abbandonare il suo corpo sulle rive del fiume Chubut per chiudere la storia con la grossolana "montatura" di una morte per asfissia per immersione. E chiuderla così, come un semplice caso di annegamento nelle acque del Chubut. Come se tra il 1° agosto di un anno fa ed il momento del ritrovamento del corpo di Santiago, 78 giorni dopo, non fosse successo niente. Assolutamente niente.
In questo lasso di tempo ci sono state cospirazioni ad alti livelli. Intenti criminosi al solo fine di coprire la Gendarmeria con la protezione dell'impunità. Intenti criminali maturati tra le fila governative, sviluppati e commessi in nome della verità e della giustizia. Intenti criminali di uomini e donne dell’ambito giudiziario, della procura, delle forze di sicurezza e dei mezzi di comunicazione, soprattutto di quei mezzi che fanno parte del circo scimmiesco che circonda il potere di turno. Intenti criminali di giornalisti che si sono presi gioco dei mapuche e del dolore della famiglia Maldonado. Che hanno distorto la verità e le informazioni. Intenti criminali di veri pagliacci di un sistema criminale radicato nelle file del governo macrista e del potere giudiziario argentino.
In questo lasso di tempo c’è stato dell’altro, oltre che persecuzioni contro i mapuche della provincia di Chubut: repressioni ingiuste, tergiversazioni di testimonianze, delegittimazione di persone, minacce, intimidazioni e vigilanza completamente illegale su testimoni, avvocati, e parenti diretti dello scomparso Santiago Maldonado.
In questo lasso di tempo, il governo ha cercato di cambiare le carte in tavola: indagare su querelanti e vittime.
Il governo di Mauricio Macri non ha avuto alcuna sensibilità di fronte ad un caso di sparizione forzata in piena democrazia. Il governo di Mauricio Macri non ha avuto, e non ha, altro che odio e razzismo verso i popoli originari, demonizzandoli, giudicandoli e criminalizzandoli gratuitamente.
E se ciò non bastasse, l'infamia ebbe il suo apice quando si produsse il ritrovamento del corpo di Santiago in un punto del fiume Chubut che era stato ispezionato molte volte con risultati negativi.
E se ciò non bastasse, l'infamia toccò il suo punto massimo quando il grande circo forense certificò la morte per annegamento senza aggiungere altro e senza procedere ad una perizia forense eseguita da professionisti estranei al governo, come richiesto dall'avvocato della famiglia Maldonado.
Dalla Casa Rosada la persecuzione ai mapuche è stata sempre monitorata. Anche quanto accaduto quel 1º agosto nella Lof Cushamen. Uomini di fiducia del governo parteciparono attivamente al monitoraggio, e anche nella serie di ciniche testimonianze elargite al mondo attraverso "giornalisti compiacenti”.
Ma non tutto attorno al caso Maldonado è sterco fuoriuscito dal potere.
Prima del 1º agosto, durante e anche dopo, nel 2017, il giornalismo libero e gli uomini e donne liberi dell'Argentina, della regione e del mondo hanno compreso molto bene il bieco messaggio del governo repressore e predatore dei mapuche e dei valori della giustizia.
Così come si protestò contro l'ingiusta prigionia del Lonko Facundo Jones Huala (rinchiuso illegalmente in attesa di estradizione in Cile), quel 1º agosto nella Lof Cushamen (lontani dal supporre che quella protesta sarebbe stata teatro di uno squallido assassinio di Stato) le proteste da quel momento in poi, chiedendo dove si trovava Santiago Maldonado, si diffusero in tutta l'Argentina, e non solo, con assordante strepito. Le proteste, da quel momento in poi, e il frastuono delle richieste della sorte di Santiago Maldonado si diffusero in tutta l'Argentina e non solo.
Il fragoro tipico dell'impotenza, della rabbia e dell'indignazione di fronte a tanta arbitrarietà e criminalità mascherata da "democrazia" e "legalità".
Lo strepito che nasce in quegli uomini e donne, e nei giovani liberi di questa putrida società moderna e "civilizzata" che fomenta intolleranze e razzismo, per affrontare il potere ed esigere senza ipocrisie che la giustizia e la verità siano preservate e difese e non devono essere calpestate né distorte.
Lo strepito di una parte della società latinoamericana che non è servile ad ideologie o interessi letteralmente prigionieri di un capitalismo criminale che non fa altro che erodere le democrazie e reprimere le proteste sociali e le rivendicazioni alla libertà, per la giustizia e per il diritto alla vita.
Dal 1º agosto ad oggi le mobilitazioni a sostegno della famiglia Maldonado e della causa delle comunità mapuche si sono fatte sentire in ogni angolo della terra argentina, come contrapposizione alla serie di iniquità messe in atto da file governative e giudiziarie e da ambiti legislativi e giornalistici, fino ad oggi che ci troviamo a scrivere queste righe.
Dal 1º agosto 2017, la figura di Santiago Maldonado è l'emblema della libertà, della solidarietà, e della pretesa di giustizia per le comunità mapuche. Ma è anche l'emblema della lotta dei popoli originari, perché pagò con la sua vita l’aver preso parte, insieme a loro, ad una protesta e una mobilitazione brutalmente repressa dall'uomo bianco.
Dal 1º agosto 2017 molta acqua è passata sotto i ponti.
Si è continuato ad assediare i mapuche: ancora repressioni, infamie, l'omicidio del giovane mapuche Rafael Nahuel a Bariloche e l'impunità dei suoi assassini del gruppo Albatros della Prefettura Navale Argentina, il processo contro il Lonko Facundo Jones Huala dove alla lettura della sentenza la repressione fu presente all’esterno del Tribunale Federale di Bariloche, dove anche noi siamo stati testimoni della carica della polizia a puro piombo e gas su mapuche di differenti età.
Si è continuato a seguire l'applicazione di politiche di intolleranza, pregne dell'indecenza di voler intorbidire la verità, come ad esempio nel caso del crimine di Stato di Rafael Nahuel dove si pretende di tenere lontano dalla giustizia il prefetto che causò la sua morte. Un prefetto di nome Francisco Javier Pintos che non ha oramai più argomenti per dimostrare la sua innocenza, bensì tutto il contrario, troppe evidenze contro di lui dimostrano la sua colpevolezza.
Ma dal governo si insiste nel dire, ovviamente mentendo, che il 25 novembre 2017, giorno in cui Rafael venne ammazzato, i mapuche avrebbero sparato contro i repressori che li stavano facendo sgomberare. Una bugia dietro un'altra, come un castello di carte false sostenuto solo dalle iniziative del potere, per preservare l'impunità e calpestare la verità.
E la ciliegina sulla torta in questo pandemonio di ingiurie e di bestemmie contro la verità e la giustizia proviene dalla voce di un terrorismo mediatico patrocinato dal governo che lancia ripetutamente missili contro la libertà degli uomini e contro il diritto alla vita e alla terra delle comunità mapuche.
Ne è un esempio il giornalista argentino Jorge Lanata del Gruppo Clarin, che è un emblema dell'infamia reazionaria e dell'emarginazione della stampa putrefatta strettamente al servizio del potere, che ha infamato crudelmente la famiglia Maldonado ed ha insultato coloro che reclamano verità e giustizia in un caso di terrorismo di Stato in piena democrazia argentina.

“Un evento per Maldonado, voi capite cosa sta succedendo? Maldonado è annegato, mi dispiace per lui, è una pena. Nessuno sta dicendo che questo sia buono. È annegato in un contesto di repressione della Gendarmeria. Ora non capisco: "un anno senza Santiago" non capisco, è annegato. È una pazzia. Ci sono settori di questo paese che sono disgiunti dalla realtà".

La realtà di Lanata è molto differente della nostra. E proviamo vergogna che un uomo della stampa parli così. Superbo, insensibile e, più grave ancora: ancorato all'immoralità di un governo criminale, nell'esercizio equivoco di una professione che svolge al servizio del potere, immerso nei miasmi della superbia giornalistica, al punto che in realtà, mi fa dire che è lui ad essere non solo disgiunto dalla realtà, ma anche più vicino ad essere complice del crimine ed a trasformarsi in un elemento chiave della macchina dell'impunità imperante.
Noi, come giornalisti liberi in questo mondo prigioniero del sistema, e come altri colleghi di media alternativi (En Estos Días e La Izquierda Diario tra altri) continueremo non solo sul sentiero della verità e della denuncia, ma lotteremo anche per la Verità e la Giustizia insieme alle famiglie di Santiago Maldonado e di Rafael Nahuel.
Il governo argentino che è un governo democratico dell'America Latina ha le mani sporche di sangue. E denunciarlo è etico. Smascherarlo ancora di più.
Dovremmo provare vergogna come “persone civili” come crediamo di essere, nel vedere con i nostri occhi che le pratiche colonialiste europee di altri tempi e di altri continenti, sono orrendamente attuali nella nostra America Latina.
Sempre nelle mani di sudamericani negligenti, viziati ed assetati di potere politico e denaro che non esitano a vendersi agli imperi, alle multinazionali ed al terrorismo di Stato.
E che, insensibili e spietati, si rendono complici di atti criminali di lesa umanità, commessi contro paesi e persone.


*(1) Organizaciones que convocan a la movilización de Plaza de Mayo: Encuentro Memoria Verdad y Justicia, la Asociación de Ex Detenidos Desaparecidos (AEDD), el Centro de Profesionales por los Derechos Humanos (CeProDH), la Coordinadora contra la Represión Policial e Institucional (Correpi), el Servicio de Paz y Justicia (Serpaj), Familiares y Amigos de Luciano Arruga y Liberpueblo, la Asociación por el Esclarecimiento de la Masacre Impune de la Amia (Apemia), H.I.J.O.S. Zona Oeste, la Asociación de Profesionales en Lucha (APEL), el Centro de Abogados por los Derechos Humanos (Cadhu), la Coordinadora Anterrepresiva por los Derechos del Pueblo (Cadep), la Coordinadora Argentina por los Derechos Humanos (CADH), el Equipo Argentino de Trabajo e Investigación (Eatip), Hermanos de Desaparecidos por la Verdad y la Justicia, el Colectivo Memoria Militante, integrantes del EMVJ, Abuelas de Plaza de Mayo, Madres de Plaza de Mayo Línea Fundadora, la Asamblea Permanente por los Derechos Humanos (APDH), la APDH La Matanza, H.I.J.O.S. Capital, la Asociación Buena Memoria, el Centro de Estudios Legales y Sociales (CELS), la Comisión Memoria, Verdad y Justicia Zona Norte, Familiares de Desaparecidos y Detenidos por Razones Políticas, Familiares y Compañeros de los 12 de la Santa Cruz, la Fundación Memoria Histórica y Social Argentina y la Liga Argentina por los Derechos del Hombre

Foto di Copertina: www.eldestape.com

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos